Torniamo all'interno di Sant'Agostino con la guida di Giovanni Rimondini. Ma questa volta non manca un "collegamento" esterno, con la vicina via Soardi.
LA TOMBA DI CLELIA IPPOLITI SPIEGATA PER LA PRIMA VOLTA
D(EO). O(PTIMO). M(AXIMO).
CLOELIAE. HIPPOLYTAE
ANTONI(I). HIPPOLYTI. PATRICI(I) ARIMINENSIS. F(ILIAE)
FAMILIAE. SVAE. SVPREMAE
FOEMINAE. PIENTISSIMAE
IOANNES. BAPTISTA. ET. PHILIPPVS. SVARDI
LVCAE. FILI(I). MATRI. OPTIMAE. MOERENTES P(IE). P(OSVERUNT),
VIXIT. ANN(IS). LXV. MENS(IBVS). IX. DIEB/VS). VIII.
OBI(I)T. A(NTE) D(IEM) XI. KAL(ENDIS). FEBR(VARIIS). ANNO. MDCCLI.
[LODE A DIO OTTIMO MASSIMO.
GIOVANNI BATTISTA E FILIPPO SOARDI, FIGLI DI LUCA, CON PIA TRISTEZZA
POSERO QUESTO SEPOLCRO A CLELIA IPPOLITI, FIGLIA DI ANTONIO IPPOLITI PATRIZIO RIMINESE ULTIMA DELLA SUA CASA, DONNA RELIGIOSISSIMA OTTIMA MADRE. VISSE 55 ANNI, 9 MESI, OTTO GIORNI. MORI’ IL 22 GENNAIO 1751.]
Dopo l’epigrafe della tomba ad arcosolio della facciata della bella chiesa intitolata a San Giovanni Evangelista, altrimenti detta e meglio nota come di Sant’Agostino, ritorno con l’amico e riminista preferito Gianni per indagare un’altra epigrafe.
Del resto egli già in passato mi aveva riferito di altri analoghi importanti manufatti contenuti in quella chiesa, ed entriamo. La lapide è posta all’interno, nel paramento murario adiacente alla porta posta a destra dell’ingresso principale; e attiene ad un sepolcro dedicato a certa Clelia Ippoliti nobildonna riminese.
Gianni, a chi si riferiscono quegli stemmi sommitali?
Si tratta dei due stemmi di matrimonio. Rappresentano l’arma dei SOARDI – LUCA SOARDI marito nel posto d’onore a destra della epigrafe: “scudo troncato – diviso da una linea orizzontale – in alto un’aquila ad ali spiegate, sotto un leone rampante”. A sinistra invece quello della moglie CLELIA IPPOLITI: “due orsi rampanti affrontanti simmetricamente una quercia”, non ci sono elementi, per esempio linee e puntini che indichino i colori.
Devi sapere che nell’attuale Via Soardi, che prese il nome da quella famiglia, vi era per l’appunto la casa dei SOARDI ed era la prima a sinistra partendo dall’attuale Corso d’Augusto, poi distrutta dalla guerra. Ma più avanti c’è ancora un’altra casa Soardi sul cui portale, al numero 21, si nota uno stemma come quello che ti mostro.
Dentro il cortile di quel palazzo c’è un portico colonnato con sopra una loggia del ‘600, cui si accede da una scala ariosa del ‘700.
L’interno dell’appartamento nobile non l’ho visto. In fondo al cortile a sinistra c’è l’attività di Alfredo Monterumisi pioniere del turismo enogastronomico, che in quel sito ha creato l’Ambasciata del Vino».
Quante cose si possono collegare ad un’epigrafe, penso e dico; ma proseguo. Ma chi erano Clelia Ippoliti e Luca Soardi?
«Erano due patrizi riminesi delle cento famiglie, ma di rango non molto elevato, per quanto i Soardi dovevano essere molto ricchi. Non ci sono titoli cavallereschi né del padre né dei figli. Il Clementini si limita a pubblicare tra gli stemmi delle cento famiglie lo stemma Ippoliti, con la data 1606, cioè dall’anno in cui ricevettero il patriziato di Rimini ed entrarono nel Consiglio Generale nel ceto nobile, senza fare cenni di sorta su eventuali titoli cavallereschi, dottorati “in utroque” – in diritto civile ed ecclesiastico -, o in attività letterarie, scientifiche o storiche. Carlo Tonini nel sesto volume della Storia di Rimini ricorda un Alessandro Ippoliti che con Ludovico Battagli nel 1616 presidiava la porta San Bartolo, ossia dell’Arco di Augusto, con la guardia rafforzata per il timore di uno sbarco della flotta turca. Oltre un certo Niccolò Paci Ippoliti capo console nel 1797 all’arrivo di Napoleone. La famiglia Ippoliti si era estinta ma doveva esserci stata una donna Ippoliti, forse sorella di Clelia, che aveva trasmesso il suo cognome ai figli».
Quale era l’origine di queste due famiglie?
«Degli Ippoliti non è emerso nulla, ma non sarà difficile sapere da dove vengono percorrendo a tappeto i regesti dei notai della prima metà del ‘600 in Archivio di Stato sezione di Rimini; bisogna aver la fortuna di trovare qualche testamento, o dote, o inventario e subito sarà tutto chiaro. Vero è che Carlo Tonini parla di un canonico feretrano Ippoliti della Torre che possedeva un codicetto malatestiano. Non dice di che secolo è, ma suggerisce che venga dal Montefeltro, forse da Pennabilli.
Luigi Pani dei Soardi traccia questa sintetica origine: “Questa famiglia illustre venne da Bergamo ad abitare questa Città, e fu al principio del XVI secolo aggregata al Ceto Patrizio”; forse l’evento avvenne al principio del XVIII. “Nel 1796 era nel Consiglio Generale Luca Soardi, ancora vivo al tempo del Pani: Luigi Pani ultimi decenni del ‘700 – prima metà dell’800. Con molti mezzi di fortuna vive signorilmente avendo ricevuto anche il patrimonio del defunto Conte Nicola Martinelli, padre di sua moglie.” L’ultimo dei Soardi morì a metà dell’800. Secondo te Salvatore ci sono tuttora cento famiglie a formare il mainstream di Rimini?»
Non credo proprio Gianni, ma soprattutto non ci sono più famiglie che legano il loro nome ad un proprio palazzo o ad un’opera d’arte. Possiamo solo mestamente assistere a qualche raro caso in cui nomi di famiglie sono stati associati a mediocri esempi di architettura del dopoguerra. E ciò dopo avere soppiantato antichi e importanti edifici religiosi e civili, a volte distrutti dalla guerra o, se scampati, distrutti insensatamente sebbene recuperabili. Mi sovviene sempre la tua mai più appropriata espressione riconducibile all’operato dei “sindaci brutalisti” (!).
Mi sono permesso di prendere in prestito da Gianni questo termine da lui coniato, sperando che mi conceda temporaneamente il copywriter.
Gianni allarga le braccia sconsolato, e ci salutiamo; alla prossima.
E la storia continua.
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