Come mai improvvisamente il comune di Rimini turba i sonni di Calvano e Boccia?

Come mai improvvisamente il comune di Rimini turba i sonni di Calvano e Boccia?

Che cosa i "compagni" riminesi non riescono più a garantire agli occhi di Bologna e Roma? Di certo non si può giustificare, oltreché comprendere, lo scontro in atto e i continui rinvii delle decisioni sul candidato sindaco solo con una prospettiva riminicentrica.

Mentre nel centrodestra siamo al “papa straniero” (che però non dice “se mi sbaglio mi corigerete” ma – intervista al Carlino – corregge quanti non l’hanno gradito e si autoattribuisce un 9 pieno avendo “già dimostrato di sapere amministrare bene”) lo stallo nel Pd è la vera questione seria. Perché ormai a spiegarla non basta più la solita narrazione sulla frattura fra le due anime del Pd, Gnassi e Melucci, che pure c’è ed è evidente. Ma non si può giustificare, oltreché comprendere, quello che sta accadendo solo con una prospettiva riminicentrica. Anzi, l’ingresso nella gestione della partita di un arbitro prima bolognese (il segretario regionale Calvano con guardialinea Bonaccini o l’inverso fate un po’ voi) e poi romano (Francesco Boccia) è qualcosa di inedito che fa ben comprendere come i livelli superiori del partito sentano la necessità di commissariare (di fatto) il Pd locale. La domanda è: perché? Che cosa il partito riminese non riesce più a garantire? Come mai improvvisamente il comune di Rimini turba i sonni di Boccia e Calvano?
Perché da Rimini passano anche trame che sono molto importanti nel disegnare la mappa del potere regionale. Economiche anzitutto.
Un tassello assolutamente prioritario è quello della alleanza fieristica sull’asse Rimini-Bologna. Lo scontro che si è consumato negli ultimi mesi racconta di una lotta all’arma bianca che ruota attorno alla governance del nuovo soggetto che conta di unire le forze fra Ieg e BolognaFiere. Per ora è tutto rimandato a dopo le elezioni e questo significa che i nuovi sindaci eletti a palazzo Garampi e a palazzo d’Accursio avranno in mano il destino di questa operazione che, checché ne dicano ufficialmente le parti in commedia, è ancora avvolta da molte nebbie felliniane.
A leggere certe prese di posizione dei soci privati di BolognaFiere («Lo stop al progetto di fusione nasce dal comprensibile scettiscismo sulla governance pretesa da Rimini»), e a metterle a fianco della decisione di attendere le elezioni di ottobre (Vincenzo Colla, assessore al Lavoro della Regione Emilia Romagna: «Un secondo dopo le elezioni di Bologna e Rimini, definiremo la fusione. Che si fa. È giusto che un progetto di tale portata venga definito coi nuovi sindaci»), verrebbe da pensare che l’intralcio possa essere anche l’attuale sindaco di Rimini, in un primo momento accreditato a ricoprire un ruolo di spicco al vertice della realtà fieristica allargata a seguito della fusione.
Scriveva ieri Il Sole 24 Ore Radiocor Plus, che «le quotazioni (di Ieg, ndr) erano cadute dell’8,7% dopo che il sindaco di Bologna, Virginio Merola, aveva annunciato un “rallentamento” nel dialogo con Rimini per arrivare alla alleanza tra le due società fieristiche, mentre la conferma arrivata con una nota da parte della società ha, dopo un primo rimbalzo, innescato un nuovo calo in Borsa (-1,7%)». Cioè mica si scherza.
Ora sembra che il Pd regionale e quello centrale non possano permettersi di lasciare il boccino in mano ad una classe dirigente del Pd riminese che non può più garantire unità di vedute, ranghi stretti e obiettivi condivisi, e dunque nemmeno quel gioco finalizzato al successo delle operazioni che contano. Una prassi che nella tradizione della sinistra emiliano-romagnola al potere ha sempre significato, alla fine di tutto, obbedienza alla causa superiore (del partito).
I colpi all’insegna delle “carte bollate” assestati da Maurizio Melucci nelle ultime settimane (che hanno solo bilanciato all’interno del partito un altro potere, quello del suo rivale ma per interposte persone), al di là delle intenzioni che nessuno può conoscere, hanno certamente indebolito il dominus Gnassi. Spostando a Roma il tavolo delle decisioni sul candidato sindaco, però, Melucci rischia di avere indebolito anche se stesso.

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Per il resto sembra crederci solo Enrico Piccari, capogruppo del Pd in consiglio comunale, che da una parte c’è il grande manovratore e dall’altra solo sostanze angeliche. Nelle favole, forse.

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