Dopo Bonaccini il diluvio in regione? La propaganda del Pd smontata da Romano Colozzi

Dopo Bonaccini il diluvio in regione? La propaganda del Pd smontata da Romano Colozzi

Bonaccini & C. vorrebbero far credere che la scelta il 26 gennaio sia "fra civiltà e progresso da una parte e barbarie e involuzione dall’altra". Non è così, spiega il cesenate a lungo dirigente della Regione Lombardia, ma anche consigliere regionale, Romano Colozzi. Che in modo pragmatico svela i punti deboli, gli sprechi e lo statalismo del "modello" emiliano-romagnolo.

“I cittadini emiliano-romagnoli il 26 gennaio prossimo decideranno se continuare sulla strada dell’“usato sicuro”, affidando la guida della Regione ancora a Bonaccini, oppure se mettere alla prova, per la prima volta, amministratori portatori di modelli, idee e programmi diversi da quelli della sinistra. Ma almeno sappiano che la scelta non è fra civiltà e progresso da una parte e barbarie e involuzione dall’altra, come qualche ligio “agit-prop” vuol far credere”. Pensieri e parole di Romano Colozzi. Cesenate, spesso corteggiato dal centrodestra in vista delle elezioni amministrative per convincerlo a correre da sindaco, un passato da dirigente della Regione Lombardia ma anche da consigliere regionale sia in terra lombarda che in Emilia Romagna, interviene sempre più spesso sul Sussidiario, la testata che fa capo alla Fondazione per la sussidiarietà. E lo fa sui temi legati alla campagna elettorale in vista del voto che i sondaggi descrivono come l’occasione storica per cambiare colore alla ex roccaforte rossa.

Nell’ultima riflessione pubblicata dalla testata online, Colozzi riassume così lo “schema comunicativo” utilizzato dalla “grancassa del Pd” in Emilia Romagna:

“1) è meglio stare molto alla larga da tematiche nazionali, se non per implorare di cambiare la manovra finanziaria, in particolare sulla plastic tax, perché è chiaro il convincimento che legare le sorti dell’uscente presidente Bonaccini alle azioni del governo giallo-rosso sarebbe un vero e proprio abbraccio mortale;

2) bisogna dunque parlare solo delle “magnifiche sorti e progressive” dell’Emilia-Romagna, dipinta come la Regione meglio governata d’Italia, leader nazionale per sviluppo, qualità della vita, completezza di servizi, grazie alla cinquantennale egemonia comunista e post-comunista;

3) si individua nell’uscente Bonaccini il nocchiere indispensabile, novello Palinuro, che solo può garantire di mantenere i livelli qualitativi raggiunti, impedendo ad altri, sicuramente peggiori di lui e incapaci, di prendere la guida della caravella emiliano-romagnola”.

Romano Colozzi

Dopo Bonaccini il diluvio, insomma. “Non mi scandalizzo minimamente del fatto che un partito, che probabilmente in queste elezioni regionali si sta giocando anche il suo destino a livello nazionale, faccia di tutto per spingere il proprio candidato verso una riconferma, ma per far questo non si possono descrivere gli avversari come portatori di visioni politiche o tecniche amministrative che porterebbero allo sfacelo le istituzioni regionali e farebbero fare passi indietro alla Regione, in termini di coesione sociale e di sviluppo economico.
Pur essendo fiero di essere emiliano-romagnolo (romagnolo, per l’esattezza) e convinto che la nostra regione, insieme a Lombardia e Veneto, potrebbe essere presa a modello dallo Stato per migliorare le sue performance, ciò non mi impedisce di riconoscere che si può sempre migliorare, anche confrontandosi con modelli amministrativi diversi, che hanno dimostrato nei fatti il loro indiscusso valore”, spiega Colozzi.

In modo pragmatico, “come è doveroso quando si parla di amministrazione pubblica, in cui è necessario utilizzare le risorse, sempre insufficienti, nel modo più efficiente, così da ampliare la capacità di risposta ai bisogni”, Colozzi mette poi a confronto Emilia Romagna e Lombardia, e dimostra su alcuni temi molto importanti come non sia poi vero che il “modello” Bonaccini non abbia pecche, anzi, gli sprechi non mancano.

“Il fatto che l’Emilia-Romagna, con i suoi 4,443 milioni di abitanti, spenda negli stipendi dei dipendenti 184 milioni di euro, contro i 167 spesi dalla Lombardia con più di 10 milioni di abitanti, significa uno spreco di 100 milioni di euro che potrebbero tramutarsi in ampliamenti di servizi o, meglio, in nuovi investimenti pubblici, oggi particolarmente necessari. Basti pensare che straordinaria leva finanziaria sarebbe una cifra simile per dar vita, ad esempio, a un Piano di edilizia a canoni calmierati per famiglie indigenti o per giovani coppie”, scrive Colozzi.
“Un discorso analogo lo potremmo fare anche nel settore sanitario: in Emilia-Romagna abbiamo circa un dipendente ogni 79 abitanti, contro uno ogni 114 della Lombardia. Avvicinarsi a questo standard potrebbe significare un risparmio di quasi mezzo miliardo con cui potenziare, ad esempio, i servizi per la non autosufficienza o la grave disabilità, sui quali la capacità di risposta è largamente inferiore alle esigenze, come ben sanno tutte le famiglie che devono assistere anziani o minori non autosufficienti. Per queste tipologie di bisogni gli interventi sono essenzialmente di due tipi: il sostegno alle famiglie che riescono ad assistere i congiunti a casa, assumendosi di fatto la funzione di caregivers, e l’offerta di posti in residenze convenzionate con l’ente pubblico ai cui costi deve partecipare la famiglia con il pagamento di una retta. In Emilia-Romagna i posti in Residenze sanitarie assistenziali (Rsa) sono circa 16.000 (uno ogni 278 abitanti) e quelli per malati di Alzheimer 187 (uno ogni 23.800 abitanti); in Lombardia i posti in Rsa sono ca. 54.700 (1 ogni 182 abitanti) e quelli per malati di Alzheimer 2.926 (1 ogni 3.417 abitanti). Per quanto riguarda invece il sostegno alle famiglie vi sono modelli abbastanza diversi, con assegni o voucher proporzionati alla gravità dell’assistito, con un massimo di 45 euro al giorno in Emilia-Romagna e di 54 in Lombardia, dove, però, per i disabili gravi il contributo non è legato al reddito Isee”.

Non è tutto. Il 12 novembre è uscita un’altra infilzata di Colozzi. “Finché ci siamo noi, il modello lombardo no! … La centralità della sanità sarà pubblica, perché uno povero deve essere curato allo stesso modo di un ricco”: così parlò Bonaccini ad un dibattito organizzato dai sindacati. Affermazione presto demolita da chi la sanità lombarda la conosce molto bene: “Insinuare che in Lombardia un povero non abbia accesso alle cure come un ricco, a causa del modello sanitario lombardo, può avere solo due spiegazioni (non volendo neppure pensare che si tratti di semplice ignoranza di come stanno le cose): la prima è che in Bonaccini, quando cade la maschera “liberale” che indossa per compiacere soprattutto il ceto produttivo, scatta la coazione a mentire, tipica di chi ha sorbito il leninismo insieme al latte materno; la seconda è che abbia perso la testa perché sente di essere zavorrato, nella sua corsa alla riconferma, dall’abbraccio mortale del governo giallo-rosso, che sopravvive e può continuare a far danni grazie ai voti del partito dello stesso Bonaccini”. Un’asfaltata al governatore uscente che Colozzi argomenta nel dettaglio dopo aver spiegato quel che avviene effettivamente nella sanità lombarda: “Ma l’aspetto che differenzia di più il modello lombardo da quello emiliano-romagnolo lo si evince proprio dalle parole di Bonaccini: “La centralità della sanità sarà pubblica”: in questa affermazione è sintetizzato il pensiero, tipicamente statalista, per cui “pubblico” è solo ciò che è gestito direttamente dallo Stato, dalla Regione o dal Comune, mentre il punto di partenza teorico del modello lombardo, che vale per la sanità come per la scuola e, in generale, per tutti i servizi alla persona, è che “pubblico” è ogni servizio orientato a rispondere ai bisogni del cittadino, indipendentemente dal soggetto che lo gestisce, sia esso lo Stato, il privato o un soggetto del cosiddetto “privato sociale”.” Per finire con un’altra puntura: “È significativo che la Lombardia, quando lo Stato fu costretto ad emanare il decreto legge dell’8 aprile 2013, n. 35 “Disposizioni urgenti per il pagamento dei debiti scaduti della pubblica amministrazione, per il riequilibrio finanziario degli enti territoriali”, non fece uso di queste risorse perché non aveva alcun debito scaduto verso i fornitori, mentre l’Emilia-Romagna, che aveva circa 1 miliardo e 500 milioni di debiti, dovette fare ricorso ad un prestito di circa un miliardo, che grava per 50 milioni ogni anno sul bilancio regionale, riducendo la capacità di far fronte ad altre esigenze”.

Colozzi ha le idee chiare anche sull’impatto delle sardine” da piazza sulla campagna elettorale di Bonaccini: “Fino ad oggi Bonaccini ha cercato con tutte le sue forze di far percepire il prossimo voto regionale come un voto essenzialmente amministrativo, in cui giudicare la sua gestione, che lui ritiene ottima, ed impedire che la macchina regionale passi nelle meno esperte mani della Borgonzoni: in questa ottica ha cercato il coinvolgimento di centinaia di sindaci che, con il loro sostegno, confermassero la positività dell’esperienza bonacciniana per i territori emiliano-romagnoli.
Ma la piazza che si è riempita a Bologna qualche giorno fa, al contrario, era una piazza tutta politica, dove di amministrativo non c’era assolutamente nulla. Il richiamo dei quattro giovani ha avuto quell’effetto, perché è stato visto come una chiamata alle armi contro un nemico, un invasore, un “fascista” indegno della “resistente” Bologna, portatore, secondo le “sardine”, di un messaggio di odio e di una politica pericolosa. In altri termini, lo scontro evocato in quella piazza non era fra Bonaccini e la Borgonzoni, ma fra la sinistra e Salvini: esattamente quello che Salvini desidera e sta perseguendo con la sua presenza capillare sul territorio. Bonaccini e il Pd godano delle sardine, che sono notoriamente buone e gustose, ma… attenti all’indigestione“.

Fotografia: Stefano Bonaccini (© Regione Emilia-Romagna A.I.C.G.)

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