DOPO LA LEGGE 7. Giuseppe Chicchi: “Marketing statico? Colpa del prodotto”

DOPO LA LEGGE 7. Giuseppe Chicchi: “Marketing statico? Colpa del prodotto”

L'assessore regionale al turismo, Andrea Corsini, ha detto senza mezzi termini che il cantiere che porterà alla revisione sostanziale della normativa

L’assessore regionale al turismo, Andrea Corsini, ha detto senza mezzi termini che il cantiere che porterà alla revisione sostanziale della normativa che in Emilia Romagna da quasi vent’anni detta la linea, è aperto a tutti gli effetti e arriverà a conclusione entro il 2016. Il dibattito è aperto e chi vuole può dire la sua. Quali sono stati i punti di forza e quelli di debolezza della legge regionale 7 del 1998? Su cosa è preferibile puntare per il futuro?
Dopo l’opinione di Aureliano Bonini (Trademark Italia) pubblichiamo l’intervista a Giuseppe Chicchi, che sul turismo, anche per gli incarichi che ha ricoperto, vanta una indiscutibile competenza. Oltre ad essere stato assessore regionale al turismo dal 1987 al 1990, sindaco di Rimini dal 1991 al 1999, dal 2002 al 2006 amministratore delegato di Apt Servizi, ha anche insegnato politica ed economia del turismo al Master della Facoltà di Economia della Università “La Sapienza” di Roma e fa parte del comitato scientifico di Tourism Real Estate.

La Regione Emilia Romagna sembra intenzionata ad avviare il superamento della legge regionale 7/98.
Se ne parla da tempo, già l’assessore Melucci aveva aperto una riflessione. Ora leggo l’intervista di Corsini a Rimini 2.0: mi pare determinato ad andare avanti. Va cercata una sintesi efficace fra marketing di prodotto e marketing di destinazione. L’esigenza è matura ma bisognerà tenere l’attenzione sulla riforma in corso dell’art. 117 della Costituzione e su ciò che ne verrà dopo, perché quell’articolo definirà lo spazio d’azione delle Regioni.

Cosa dice l’art. 117 e perché è così importante per il turismo?
Premessa necessaria: l’Italia è un paese strano. Pensi che nel maggio 2001, poco prima della fine di quella legislatura, il Parlamento approva la Legge 135, una buona legge quadro in materia di turismo (correlatore fu il senatore Gambini). Nell’ottobre successivo, il nuovo Parlamento vara una riforma costituzionale di tipo “federalista” che, appunto nell’art. 117, confina il turismo fra le materie di esclusiva competenza regionale. Da ciò tre brillanti risultati: 1) viene resa inapplicabile la legge 135 di pochi mesi prima; 2) lo Stato si spoglia delle competenze in materia turistica, infatti nel bilancio statale il turismo in pratica scompare; 3) lo Stato si deresponsabilizza su una materia che produce il 15% del PIL nazionale, le Regioni si fanno concorrenza fra loro, l’Italia perde quote di mercato.
E’ divertente poi che la riforma del 2001 collochi il commercio estero fra le materie di legislazione concorrente fra Stato e Regioni e, al contrario, il turismo nella competenza esclusiva delle Regioni. Forse qualcuno non aveva capito che il turismo “è” commercio estero, anche se si consuma in Italia.

Siamo nel 2015, dal 2001 ad oggi cosa è successo in un quadro istituzionale così confuso?
Si è aperto un ping pong istituzionale fra Stato e Regioni. Lo stato prendeva decisioni e c’era sempre una Regione che faceva ricorso. Addirittura nel 2007 la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che giustificava “in deroga” l’intervento statale in materia; un settore economico gestito “in deroga”! In quell’anno la Commissione Parlamentare Attività Produttive avviò, su mia iniziativa, un’ampia consultazione fra gli attori del turismo, comprese le Regioni. Ebbene, tutti concordarono sulla necessità di intervenire sull’art. 117. Ne fa fede la relazione conclusiva approvata nel febbraio del 2008, pochi giorni prima della caduta del Governo Prodi. Vedo con piacere che un gruppo di parlamentari ha ripreso ora la relazione del 2008 assumendone la proposta di riforma costituzionale (Atti Parlam. n.2221) e vedo che il Parlamento sta lavorando sul tema.

Quindi lei propone un ritorno del turismo al potere centrale mentre tutti parlano di federalismo?
No, sono un federalista convinto, anche per avere lavorato in Regione per dieci anni. Il fatto è che il federalismo forte ha bisogno dello Stato. Non a caso i paesi europei più marcatamente federalisti hanno alle spalle uno stato forte. Due esempi: Germania e Spagna. Come può un paese turistico sopravvivere nella competizione globale senza uno Stato pienamente responsabile e in grado di orientare il sistema Italia nella stessa direzione?

Dunque la riforma Renzi va nella giusta direzione?
Non voglio entrare in questa sede nel merito generale della revisione costituzionale, ma per quanto riguarda l’art. 117 e il turismo mi pare che la direzione sia quella giusta. Si va verso un ruolo dello Stato come propulsore di “Programmi strategici nazionali” che le Regioni saranno poi chiamate ad attuare. Penso che saranno linee guida vincolanti dedicate alla riorganizzazione in senso unitario e riconoscibile del sistema turistico nazionale. Ad esempio sulla “classifica alberghiera” (le stelle) che la legislazione esclusiva regionale ha frammentato rendendo impossibile capire cosa offre un hotel tre stelle in Emilia-Romagna o in Abruzzo.

Tornando alla tematica regionale, lei diceva che sono maturi i tempi per un superamento della legge Errani.
Bisogna, come dice Corsini, salvare il nucleo centrale della legge, cioè il rapporto virtuoso fra pubblico e privato. Il privato investe nella commercializzazione, si attiva nell’incoming in forme associate (ATI o consorzi) e incontra il sostegno regionale. Si è detto in questi ultimi anni che i progetti dei privati sono ripetitivi e banali. Può essere, ma il motivo va cercato nel prodotto. Se il prodotto è statico, il marketing è statico. Per avere un marketing evoluto bisogna che il prodotto sia capace di continua evoluzione. La legge Errani era centrata sulla preziosa attitudine del nostro sistema alberghiero di fare incoming, ha sostenuto e finanziato esperienze di gruppi di imprese su prodotti specifici (bike hotels, family hotels, terza età, ecc.). Forse le strutture sono rimaste un po’ indietro. Nel nuovo turismo assumono centralità anche i territori e le opportunità esperenziali che offrono. Se lavori sul prodotto “nuoto” bisogna avere la piscina olimpica come a Riccione. Se lavori sul prodotto “lirica”, devi avere teatri con capienze adeguate come a Verona. E così via.

Qualche esempio?
Cos’è il prodotto turistico post-fordista o post turismo di massa? E’ la somma delle qualità dell’impresa turistica e del territorio. Se un territorio ha un alto valore d’uso (se funziona bene, se è curato, ecc.), ha anche un alto valore di scambio, può cioè essere “venduto” ai turisti. Tradotto: alberghi eccellenti per ogni prezzo e un territorio organizzato e attivo. Perché ciò avvenga, bisogna che riprendano gli investimenti pubblici e privati. Gli alberghi della costa adriatica hanno bisogno di interventi (a partire dalla sismica e dall’energetica), i nostri territori hanno bisogno di continua innovazione infrastrutturale, il lavoro ha bisogno di formazione continua per non perdere valore. Per fare ciò ci vogliono investimenti strutturali pubblici e privati. C’è il QE di Draghi, quindi le banche ora possono finanziare le ristrutturazioni alberghiere, sostenute con incentivi regionali secondo le norme europee. I “Programmi strategici nazionali” di Renzi, per essere efficaci, devono contenere risorse mirate agli obiettivi.

Quale consiglio darebbe all’assessore Corsini che inizia ora la sua esperienza?
Corsini non ha bisogno di consigli, conosce a fondo il problema. Al massimo posso dirgli di essere, come Regione Emilia-Romagna, parte attiva nel processo in corso di revisione costituzionale, soprattutto per capire cosa succederà dopo la riforma. Le modifiche alla legge regionale 7 dovrebbero essere già in sintonia con quel processo riformatore. Posso poi segnalare tematiche da sorvegliare su ampia scala: destagionalizzazione, Adriatico e qualità del mare, questione aeroporti. Infine gli faccio gli auguri perché ne ha bisogno, il ritorno all’effimero che mi pare stia qua e là emergendo, è spesso sintomo di incerte prospettive nelle strutture portanti della nostra economia.

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