Presentato stamattina da Dreamini il libro bianco che mette in fila numeri e analisi estratti da bilanci e delibere. Siluri a Cagnoni, Vitali e Gnassi. In sala anche i sindaci di Bellaria e Riccione, perché il messaggio è chiaro: anche a Rimini si può cambiare verso. Basta con una politica che pretende di farla da padrona e che lascia sul campo macerie su macerie.
“Il libro bianco è una cosa seria, adesso il sistema fieristico-congressuale riminese ha davvero l’acqua alla gola. I numeri ci dicono che, o si sceglie con determinazione la strada della privatizzazione oppure non solo il Palas ma la stessa Fiera, rischiano di essere trascinati nel default e con loro rischia di cascarci dentro seriamente il Comune di Rimini”. Così Sergio Gambini, una lunga militanza nella sinistra riminese (rivendicata anche stamattina), ex amministratore comunale e parlamentare, alla presentazione del libro bianco che ha la paternità di Dreamini e che porta la firma di due tecnici, Mario Ferri e Andrea Bellucci. “Non vorrei che le delibere che sono state assunte in queste settimane fossero solo in vista di una rinegoziazione del debito, per cercare di prendere di nuovo tempo, senza afferrare il toro per le corna e imboccare davvero il sentiero della privatizzazione”. Da Gambini, che a questo punto sembra il candidato ideale per aggregare e guidare un fronte trasversale alternativo a Gnassi alle prossime elezioni comunali, è venuto lo scossone più forte verso il sistema politico locale, insieme al duro richiamo affinché scelga con decisione la strada della privatizzazione della realtà fieristico-congressuale guidata dal “Califfo” che di quel sistema regge da decenni le sorti e indica la via.
Gambini ha avuto anche parole di stima per Lorenzo Cagnoni (“la Fiera di Rimini è stata bene amministrata ed ha un patrimonio significativo”), ma ha lanciato un messaggio accorato ed ha chiamato in causa direttamente il sindaco Andrea Gnassi: “Il sindaco di Rimini deve metterci la faccia. Il mio è un appello alla parte politica nella quale milito: bisogna che rompa il silenzio e si decida ad esprimersi con tutta la sua autorevolezza sulla questione della privatizzazione. Non ci sarà nessun investitore internazionale che sarà disponibile a partecipare ad una privatizzazione in questa situazione di incertezza, nella quale non si sa cosa vuole il Comune e con la contrarietà ormai esplicita alla privatizzazione da parte del presidente dell’Ente Fiera”.
Rimini, è stato il seguito del ragionamento di Gambini, “ha inscritto nel proprio Dna, sin dalla metà degli anni 60, il limite di affidarsi solo alle risorse locali. In quegli anni ci fu la possibilità di internazionalizzare il turismo riminese, ma anche allora facemmo la scelta di uno sviluppo endogeno, allontanando i grandi tour operator internazionali e affidandoci solo sulle nostre risorse”. Però da allora è trascorso mezzo secolo e restare ingessati su quelle posizioni sarebbe letale. Gambini ha sottolineato che per gestire oggi “le Fiere, gli aeroporti, i palazzi dei congressi, c’è bisogno di aprirsi a realtà al di fuori di questa regione. Per questo è assurdo il modello del ‘fare sistema’ che forse aveva senso quando si fece Hera, più di dieci anni fa, anche se personalmente ho i miei dubbi che lo avesse anche allora. Nel caso degli aeroporti è evidente che se non si è dentro a una rete non si ha la possibilità di successo. Questo comincia a valere anche per le Fiere e i palazzi dei congressi. Fare il sistema regionale significa condannare a morte Fiera e Centro Congressi”. Un altro tasto dolente focalizzato da Gambini è stato il seguente: “A Rimini da anni abbiamo congelato una enorme ricchezza pubblica in alcune infrastrutture che potrebbero essere invece convenientemente gestite da parte del mercato continuando a rendere servizi indispensabili per il successo economico e per il benessere della nostra comunità. Quelle stesse risorse, se scongelate, potrebbero essere impiegate dal pubblico per realizzare altre infrastrutture che supportano servizi, ad esempio la banda larga, il mare d’inverno, le fogne”.
La conferenza stampa è stata aperta da Bruno Sacchini, presidente dell’associazione culturale Dreamini, con una sala piena di rappresentanti del mondo economico e delle professioni, e soprattuttto con i due sindaci di Bellaria e Riccione seduti nelle prime file. Giusto perché il senso dell’iniziativa risultasse plastico: dopo Bellaria e Riccione, anche Rimini può cambiare verso, per usare la metafora del rottamatore. “Nata dalla preoccupazione diffusa per le sorti di Rimini, Dreamini, assolutamente trasversale dal punto di vista ideologico e politico, nel corso della sua ricognizione sui problemi della città, si è imbattuta ad un certo punto nel buco nero di Fiera e Palas. E perché buco nero lo spiega il libro bianco che presentiamo”, ha esordito Sacchini.
Quindi è stato Mario Ferri a spiattellare una montagna di cifre che decriptano gli ultimi dieci anni di business plan, bilanci, delibere e lettere di patronage. Anche da lui un puntiglioso riferimento alla necessaria “privatizzazione vera”, non quella ventilata nella recente delibera della Provincia di Rimini. La quale, secondo Ferri, ha avviato un “percorso del processo di privatizzazione che in realtà non sembra avere nessuna intenzione di privatizzare”. Se si opta per la privatizzazione attraverso l’aumento di capitale – ha spiegato – una delle strade indicate dalla delibera della Provincia e in attesa che faccia lo stesso anche il consiglio comunale di Rimini, “il soggetto privato diventa socio del pubblico e allora temo che si ripercorra la vicenda di Aeradria, allorché il braccio di ferro fra il pubblico e gli imprenditori ha condotto al fallimento, perché il pubblico non voleva mollare la partecipazione”.
E’ toccato a Sergio Pizzolante, parlamentare del Ncd, spiegare che il libro bianco e chi l’ha promosso non esprimono il partito che “rema contro la città”, ma anzi guardano con serietà ad un futuro di sviluppo per Rimini.
Secondo Pizzolante “siamo entrati in un’epoca nuova e chi governa gli asset strategici a Rimini non se n’è accorto. E’ fallito il sistema Cagnoni, verso il quale ho sempre avuto stima, cioè l’idea delle grandi infrastrutture realizzate con investimenti pubblici ridondanti, della spesa pubblica infinita,… perché non ci sono più le risorse. Il pubblico non può più permettersi di fare l’imprenditore”. E così, se da una parte “abbiamo assolutamente bisogno che queste infrastrutture vivano perché sono cruciali per Rimini, affinché ciò succeda si devono aprire al mercato e agli investitori internazionali. L’idea che si debbano aspettare i piani della Regione, che rispondono ad una logica di controllo politico del territorio, non ha più senso”. Ed ha concluso: “Rimini è passata dai 3-4 alberghi con licenza annuale, a 300, nella fase antecendente alla realizzazione dei due palazzi dei congressi”. Ma ultimati i due colossi le licenze annuali sono praticamente le stesse: “E’ stato un fallimento spendere oltre 200 milioni di euro per costruire i due Palas, perché la ricaduta sul tessuto ricettivo, economico e turistico riminese è stata impercettibile”.
Ma l’altro schiaffo partito da Gambini è stato assestato sul faccione rubicondo del consociativismo: “Nel sistema di potere che si è creato a Rimini ci hanno mangiato tutti. Le associazioni di categoria e imprenditoriali varie, gli organi di stampa (le inserzioni pubblicitarie pagate dalla Fiera e dall’aeroporto sono state ospitate dai nostri giornali per anni). E’ ora di creare finalmente delle rotture e delle discontinuità, sia nella società civile che nelle organizzazioni di categoria, nell’atteggiamento dell’opinione pubblica e perciò anche degli organi di informazione, nei partiti,… per voltare pagina. Io credo che la possibilità ci sia perché questa città va salvata”.
Lorenzo Cagnoni aveva già convocato una conferenza stampa per mercoledì prossimo, oggi gli saranno fischiate le orecchie ed è prevedibile che coglierà l’occasione anche per rispondere al fuoco.
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