Con l'inaugurazione del ponte della Resistenza, nel 1961, il portocanale fu interrotto. Da 22 anni esiste un progetto che prevede di innalzare la campata centrale del ponte per consentire la navigazione fino al ponte di Tiberio. Realizzarlo permetterebbe di collegare la zona turistica col cuore romano della città. La Lega Navale di recente ha ripresentato il progetto in Comune.
Fu un caso? Uno scherzo del destino? Un difetto di lungimiranza? O forse furono tutt’e tre le cose assieme? Non si sa e comunque non è questo il momento per indagarlo. Si era all’inizio degli anni Sessanta e precisamente nel 1961, giusto agli esordi del decennio del boom economico, di quell’età che fece di Rimini la capitale del turismo europeo quando… zac! il porto fu tagliato in due. Lo strumento fu il ponte della Resistenza. L’inaugurazione del manufatto avvenne il tre maggio e da allora le imbarcazioni, salvo quelle di bassissimo bordo, che riescono ancora ad insinuarsi, qualcuna non senza sforzo e con l’ausilio della bassa marea, sotto quegli incombenti architravi poco più che a pelo d’acqua, non hanno più accesso al tratto superiore del canale.
Il porto di Rimini è lungo circa due chilometri ma quell’ultimo ponte (il primo per chi vien dal mare, come appunto le barche che lì si arrestano) lo interseca a circa 1300 metri dall’imboccatura, quindi a circa due terzi della sua intera lunghezza, precludendo il residuo terzo, che misura ben 700 metri, più o meno, alla navigazione di buona parte dei mezzi nautici.
E dire che nella sua interezza il porto di Rimini è veramente unico. Lungo la costa occidentale dell’Adriatico anche Ravenna, Pescara e Brindisi dispongono di canali, fiumi o insenature che si insinuano nell’entroterra per uno sviluppo lineare anche molto maggiore; il ravennate Candiano, ad esempio, è lungo undici chilometri. Solo che per una buona parte del suo corso attraversa un’importantissima zona industriale.
Solo il porto di Rimini collega invece una delle spiagge più grandi, belle e frequentate del mondo con il cuore romano della città. E già da quella che fu la foce del Marecchia il canale del porto comincia a dare spettacolo, attraversando luoghi che ne attestano la lunga storia: l’elegante edificio del Club Nautico, eretto su un bunker tedesco, è il simbolo di una città che è risorta dalle distruzioni della guerra, la stessa che decapitò la torre del faro situata appena più a monte, presto tornata a splendere sull’elegante torrione del Vanvitelli. Quasi di fronte, sulla sponda sinistra, quel che rimane della Chésa lònga, uno degli edifici più antichi del porto e oggi sede della caserma della Guardia Costiera, situata subito alle spalle dei cantieri che proseguono l’antichissima tradizione dei maestri d’ascia riminesi. Di nuovo in sponda destra ecco la palazzina storica della Capitaneria di Porto e il suo giardino e poi, un po’ più arretrato, uno degli antichi magazzini del porto. Ed ora si torna alla riva sinistra, con quella teoria di basse casettine tra le quali si affaccia uno dei mercati ittici più importanti dell’Adriatico e un piccolo antico squero, oggi abbandonato e ricoperto da erbacce. Saltato il Ponte della Resistenza, ecco sempre in sinistra idraulica la chiesa della Madonna della Scala e a destra San Nicolò, l’antica parrocchia del porto che introduce nel Borgo Marina, che fu la residenza della comunità dei marinai di Rimini, per finire poi tra i contrafforti murari che, limitando verso il canale il Borgo San Giuliano, indirizzano lo sguardo verso sua maestà il Ponte di Tiberio.
Ecco, il porto è davvero la porta della città, capace di raccontarne la storia lungo una via d’acqua di rara suggestione se non fosse per… ebbene sì, il ponte della Resistenza che da 57 anni lo divide in due.
E dire che basterebbe rifarlo un po’ più alto. Il progetto c’è già e non da oggi ma da ormai ben ventidue anni. Ne fu autore l’ingegnere Giulio Dondi specialista in strade, ponti, ferrovie e aeroporti e all’epoca ricercatore presso la facoltà di ingegneria meccanica dell’Università di Bologna. Promotrice del progetto fu la Lega Navale, che da allora non si stanca di riproporlo all’attenzione del Comune. La prima volta il progetto fu presentato il 10 aprile 1996 e poi nuovamente l’anno successivo, ottenendo in entrambe le occasioni parere negativo.
La Lega Navale tornò nuovamente alla carica nel 2010, questa volta senza ottenere risposta. Recentemente la sezione riminese dell’importante istituzione ci ha riprovato, tornando a depositare il progetto nello scorso mese di dicembre. Per ora da palazzo Garampi tutto tace, ma i tempi dell’istruttoria non sono ancora scaduti.
L’innalzamento del ponte almeno nella sua campata centrale, spiega il presidente della sezione riminese della Lega Navale, l’ammiraglio Aleardo Cingolani, consentirebbe di riaprire il transito alle imbarcazioni a motore e di far diventare il porto la via d’acqua che congiunge la città turistica al Centro Storico. Un servizio di battelli potrebbe facilmente trasportare frotte di turisti dalla spiaggia al centro e viceversa, con indubbi vantaggi per tutti. Contemporaneamente si riuscirebbe finalmente a riportare ordine e decoro nel tratto a monte, dove oggi giacciono affondate almeno cinque o sei barche mentre le altre diventano spesso un dormitorio di senza dimora e sono vittime di furti continui anche delle cose più minute, come volanti e leve del cambio.
A complicare gli interventi sul tratto a monte del ponte della Resistenza c’è anche la sua condizione amministrativa. La prima parte di quei 700 metri, quella compresa tra il ponte della Resistenza e quello della ferrovia, è demanio marittimo, in concessione al Comune fin dalla costruzione del pone della Resistenza.
Il tratto a monte del ponte della ferrovia è demanio fluviale regionale, attualmente in concessione al Comune che non può a sua volta concederlo ad un diverso gestore.
La Lega Navale, spiega Cingolani, ha chiesto di sclassificare il fiume ad acque interne perché il Comune possa entrarne in possesso così da poter stipulare delle concessioni con i circoli marittimi, che si occuperebbero della riqualificazione degli ormeggi. L’operazione è però impossibile poiché per l’Autorità di Bacino quella porzione del canale e anche quella superiore, incluso il tratto, oggi asciutto, che è parte del parco a monte dell’invaso del ponte di Tiberio, è ancora Marecchia, in grado di assicurare il deflusso delle acque in caso di piene eccezionali.
L’innalzamento del ponte della Resistenza non sembra comunque avere attinenza con la complessa articolazione amministrativa del canale che gli sta a monte e rimane un progetto strategico in attesa di risposta.
Fotografia d’apertura: © Gianluca Moretti
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