Se i comunisti che mangiano i bambini incontrano un democristiano che da molto tempo ha smesso di mangiare i comunisti, nasce il marketing turistico:
Se i comunisti che mangiano i bambini incontrano un democristiano che da molto tempo ha smesso di mangiare i comunisti, nasce il marketing turistico: la rustida di burdèl. Attenzione: non c’è trucco e non c’è inganno. Qui si scrive del volume di uno storico e per di più magnifico rettore, non di “Balle” di Carlo Giovanardi.
Tre non più comunisti (tranne uno, però ormai barone, anche se rosso, e dunque fortemente depotenziato) e un “già e non ancora” democristiano erano un segno premonitore. Facevano ben capire che il banchetto era stato preparato per non appesantire. Un risino bianco con una spolverata di grana e un cucchiaino d’olio dei Colli di Rimini (per la gioia di Enrico Santini, nelle prime file della Sala del Giudizio). Mica come ai bei tempi, quando l’olio extravergine serviva a condire quella salutare dieta bilanciata che nutriva il corpaccione rubicondo del Pci di bambini paffutelli, mattoni e pile di Unità con quel buon sapore di piombo. Le stagioni sono cambiate, figurarsi la politica.
Pubblico delle grandi occasioni
Ieri pomeriggio al Museo della Città è stato presentato l’ultimo libro di Stefano Pivato: I comunisti mangiano i bambini. Storia di una leggenda. In sala tanta gente e anche tanti comunisti col tovagliolo legato intorno al collo. E pure qualche mangiacomunisti, attirato da un titolo senza punto interrogativo (e con il punto esclamativo ne sarebbero arrivati anche di più: I comunisti mangiano i bambini!). Comunque solo posti in piedi perché, si sa, l’antropofagia tira più della Notte Rosa.
Fra quelli che siedono nelle prime sedie c’è pure un super abbronzato Bruno Tani, pronto ad aprire il gas prima di passare alla cottura dei frugoletti. C’è Marco Lombardi venuto a toccare con mano il primo comandamento della fede berlusconiana, c’è Giuseppe Chicchi che si chiede perché un vero comunista debba starsene fra il pubblico come uno qualunque, c’è Alberto Ravaioli, che è la prova vivente di come i comunisti mangino non solo i bambini visto che ha governato il comune di Rimini per circa 12 anni standosene nella pancia di Maurizio Melucci.
I relatori: sorrisi e coltellate
Da una parte Stefano Pivato (si narra che nei listini per la nomina dei nuovi soci in Fondazione Carim saltò di lista in lista, perché ritenuto troppo comunista, fino ad approdare in quella degli ex democristiani: Ioli & c.), Piero Meldini e Andrea Gnassi. Dall’altra Massimo Pasquinelli, che per via di qualche chilo di troppo assorbito e di frequentazioni molto comuniste, risultava il più trinariciuto della compagnia.
Attacca Meldini: la via slow food allo spezzatino dei pargoletti. Presentato come “uno che di antropofagia se ne intende”, in sala si è avvertito un brivido. Il primo. Finalmente si tirano fuori coltelli e forchettoni! E invece no. La festa artusiana dei comunisti messa in tavola da Pivato è proseguita con qualche negazionismo di troppo. Noi? I bambini? Ma quando mai! Eppure si parlava di storia, perché l’autore è docente di storia contemporanea. E ciò nonostante nessuno ha ricordato che i comunisti avevano un bell’appetito. Magari di bambini se ne sono mangiati pochi ma cento milioni di vittime del comunismo sono state inventariate nel famoso libro nero di Stéphane Courtois, che ha provocato in Silvio Berlusconi orgasmi leggermente superiori a quelli captati dalla procura di Milano ai festini di Arcore.
Dello stomaco capiente dei figli di Stalin e Lenin parla ad esempio uno che nell’ex Unione Sovietica se lo sarebbero mangiato volentieri e ci sono andati vicino, ma anche in casa nostra l’élite della cultura gramsciana, pur nutrendosi di egemonia – ben più sostanziosa delle carni innocenti – lo avrebbe volentieri affettato in mezzo a uno sfilatino: Vasilij Grossman. Invece i relatori hanno messo a tacere secoli di falce, martello e cannibalismo, cavandosela con la solita “diceria” e con la propaganda democristiana e clerico-fascista. Meldini ha puntato il dito contro la “disinformazione” cinica e bara che si è abbattuta sul comunismo.
Pasquinelli, ovvero, vatti a fidare dei democristiani coi quali condividi il desco
Altro relatore altri brividi. “Partecipo molto volentieri a questo incontro in una veste privatissima”, ha esordito Massimo Pasquinelli, che dalla moderatrice era stato presentato come presidente della Fondazione Carim. In sala non sono mancate occhiate che nascondevano pensieri cattivelli. Ma come: in Fondazione condivide il desco coi comunisti e fuori fa i distinguo? Mah!
Pasquinelli ha detto di partecipare “come lettore avido ma non per questo acritico.” Un altro campanello d’allarme. Da buon democristiano ha esordito con un atto di appartenenza alla cultura cattolica, ha svolto qualche riflessione sotto il profilo storico, culturale, politico e dell’ironia, ma alla fine ha assestato il colpo gobbo. Prima i salamelecchi sul libro ben fatto e sulle qualità di Pivato, poi ha sollevato a mezz’aria “uno spunto a Pivato”, riconoscendogli che si è “mosso in un sostanziale equilibrio in questo libro, ma quello che trovo più carente – l’unico elemento – è che non rende ragione del tutto alla posizione politica dei cattolici del dopoguerra”. Tiè. “La Dc della fase costituente, Moro, La Pira, Dossetti, Fanfani, non è quella dei volantini ai quali si fa riferimento nel libro. A Rimini Alberto Marvelli o Babbi non vivevano sulle spalle di rendita di una posizione così falsa”. Ci sarebbe da discutere, anzitutto sul falso, ma poi sulla sostanza, perché Marvelli i comunisti li ha affrontati a muso duro, li vedeva come una minaccia, e d’altra parte erano gli anni in cui i cattolici davano vita anche ai gruppi armati bianchi. Alle elezioni politiche del 20 giugno 1976 uno slogan caro al Movimento Popolare era: “Se il 20 giugno dormi, il 21 Russi”. Ma Pasquinelli questa storia l’ha archiviata.
Arriviamo al profilo dell’ironia. Qui ha letteralmente esondato, facendo pensare ai comunisti in sala: ci siamo mangiati i bambini sbagliati, a questo qui perché l’abbiamo lasciato crescere? Con l’aureola ben accesa sulla testa ma con la coda da diavoletto sotto al tavolo, “Momo” (per gli amici) ha brandito il guanto di sfida: “Voi comunisti avete una grande vocazione, avete persino imparato a farvi male da soli, ma non sto pensando a Renzi, che è l’unico che può mangiare oggi i comunisti, no no, proprio voi, anche nell’utilizzo di internet. Per prepararmi per la giornata di oggi cerco su internet e trovo questo bellissimo libro: David Grieco, Il comunista che mangiava i bambini”. Colpo sotto la cintura. Con fare vescovile aggiunge: “Questo (Grieco, ndr) è il figliuolo del seguace prima di Bordiga e poi con Gramsci segretario generale del Pci”. In realtà è il nipote di Ruggero Grieco ma poco importa, il sangue scorre. “E la storia è quella di Andrej Romanovic Cikatilo, professore di letteratura russa e membro del partito comunista, che violentò, uccise e talvolta si nutrì di 55 bambini e ragazzi dal 1978 al 1991”, affonda il coltello Pasquinelli. “L’autore non è, per dire, Brunetta. No, questo è un libro che l’Unità ha distribuito nel 2005 in edicola insieme al quotidiano. Lascia un pizzico sconcertati”. Non è tutto. Ecco l’orgia del godimento che sembra assalire il Pasquinelli lettore avido, non il presidente della Fondazione, sia chiaro: “Andrea Gnassi, tu farai la Notte Rosa, farai la molo street parade, quest’anno farai il Carnival, forse ti toccherà anche pensare qualcosa del tipo: la rustida di burdèl, perché sarebbe un grande successo”. E’ guerra fredda. Seppure sotto le mentite spoglie della gastronomia e del marketing turistico.
Gnassi è ancora li che pensa ad aggiustare il computer di Rimini
Tocca ad Andrea Gnassi, che però avrebbe bisogno di una spugna imbevuta d’aceto per rifarsi da una lancia così a fondo piantata nel costato. Ci prova: “Stefano, visto che Pasquinelli ha detto quello che ha detto ti invito a lavorare al prossimo libro su cosa facevano i democristiani e le loro magagne”. Un sorrisetto strozzato e via. “La storia della sinistra italiana è fatta di un cannibalismo di cui non ne vedo la fine. Ci si spolpa all’interno e poi si arriva esausti a qualche possibile meta”, dice provocando un’altra eccitazione in Massimo Pasquinelli. Di Gnassi abbiamo praticamente già detto tutto. Perché le altre parole dal sen fuggite sono, come da lui stesso ammesso, una strumentalizzazione di quel parterre ricercato per lanciare il solito messaggio: “Quello di oggi è uno di quegli eventi che stanno aggiornando con qualche successo il software di una città che sta tentando di cambiare l’hardware”. Ma il computer è per ora in riparazione. Gnassi non lo dice ma per i presenti è un’ovvietà che non ha bisogno di prove. Insiste il sindaco: “Quando dici Rimini al di fuori della nostra città qualcuno ti guarda e sorride”. Per lui è la certezza che l’hardware… Invece in sala tutti pensano: finalmente l’hai capita!
Evviva Pivato. Fa il suo bel pistolotto, ma merita di passare alla storia solo l’incipit del suo intervento perché, fingendo superiorità, dà dello scorretto a Massimo Pasquinelli. Tutto il resto è noia.
La morale? Se è una leggenda, quella che i comunisti mangiano i bambini, è talmente credibile che ancora permette di far vendere copie (è già alla seconda tiratura e in vetta alla classifica di Amazon) a uno storico e a Berlusconi di vincere elezioni dal 1994.
Unico neo dell’evento? Assenti i comunisti che oggi si mangiano aeroporti e palacongressi. Ma c’è il sospetto che questo libro non lo scriverà quella allegra compagnia che ieri si è riunita al Museo della Città. (c.m.)
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