Gli archeologi studiano i reperti venuti alla luce a pochi metri dall’Arco d’Augusto durante gli scavi per la Dorsale fognaria sud: forse saranno smontati e ricollocati altrove. In via di Mezzo ritrovata una conduttura settecentesca.
Sarebbero i resti del ponte ottocentesco sull’Ausa quelli venuti alla luce in via XX Settembre nel cantiere del Psbo: è quanto informalmente comunicano gli archeologi ai curiosi che si affacciano alle transenne dei lavori in corso.
Le immagini documentano un sopralluogo durante il quale gli studiosi hanno scattato fotografie e preso misure a vari manufatti, fra i quali si riconoscono porzioni di muri in mattoni e lastricature in pietra.
Il contesto è quello degli scavi tra Largo Unità d’Italia, l’asta dell’Ausa nel parco e la via XX Settembre, a pochi metri dall’Arco d’Augusto e quindi in una zona fra le più delicate di Rimini dal punto di vista storico-artistico ed ambientale.
I mezzi di Hera – o meglio di HeraTech, committente dei lavori, una srl controllata al 100% dalla holding bolognese – dal 24 giugno scorso stanno scavando allo scopo di posare sottoterra i tubi della famosa “Dorsale sud”, in quel tratto una condotta premente di 80 centrimetri di diametro. L’opera è fondamentale per il Psbo, perché senza la nuova conduttura non potrebbe funzionare il sistema di collegamento tra le nuove vasche di accumulo e il depuratore di Santa Giustina, a suo tempo già potenziato nella capacità di trattamento delle acque reflue.
Ma non si tratta di lavori semplici, tanto è vero che sono già stati oggetto di una variante approvata da Atersir, l’authority regionale del ciclo idrico, nel giugno 2017. Nel caso specifico, come si vede dalle foto, sono stati trovati resti archeologici pochi centrimetri sotto il suolo stradale. Ad una profondità di qualche metro, invece, dovrebbero trovarsi i resti del ponte romano ma questo è un livello che non dovrebbe (condizionale d’obbligo) essere raggiunto dai lavori. Sta di fatto che i tecnici della Soprintendenza Archeologia stanno esaminando la situazione, e questo potrebbe allungare i tempi del cantiere. I reperti venuti alla luce nei giorni scorsi dovrebbero essere smontati e collocati altrove per fare spazio alle nuove infrastrutture fognarie, ma appunto questo le autorità ministeriali stanno ancora soppesando: finché non sarà chiuso il capitolo, i lavori non proseguiranno.
Il soprintendente dottor Luigi Malnati nel 2016 aveva dato il suo parere favorevole alla variante del progetto, «a condizione – si legge nel documento – che tutti i lavori di scavo a cielo aperto (sia quelli per la posa dei tubi sia quelli per la realizzazione dei pozzetti per il microtunneling) vengano effettuati sotto il diretto controllo di idonei professionisti archeologi, sotto la direzione scientifica di questa Soprintendenza», cioè la Soprintendenza Archeologia dell’Emilia Romagna. Via libera era stato dato anche dal soprintendente Cozzolino (Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini) e dal Segretariato regionale per l’Emilia-Romagna del MIBAC (Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo), purché appunto fossero rispettate le prescrizioni.
La vigilanza archeologica ha dovuto occuparsi, recentemente, anche di un altro ritrovamento: una conduttura idrica, di epoca probabilmente settecentesca, emersa durante gli scavi per la Dorsale sud in via di Mezzo. Il manufatto sarebbe servito ad alimentare mulini.
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