L'apparizione del Sacro Cuore di Gesù lo ha fatto decidere ad imbarcarsi nella avventurosa costruzione di un Santuario nel comune di Urbino. Amico di
L’apparizione del Sacro Cuore di Gesù lo ha fatto decidere ad imbarcarsi nella avventurosa costruzione di un Santuario nel comune di Urbino. Amico di Clemente Rebora, ciabattino, è diventato sacerdote non senza molte riserve delle gerarchie. Ma adesso la sua spiritualità viene studiata e approfondita grazie ad un libro e ad un convegno. Dove il biblista riminese ha testimoniato l’eccezionale “rapporto con Dio” di don Elia Bellebono.
Nel 1977 per essere ordinato prete, Elia Bellebono (nato l’8 ottobre 1912 a Cividate al Piano in provincia di Bergamo) ricevette una dispensa non tanto per l’età, aveva infatti 65 anni, quanto perché mancava di studi teologici e non conosceva affatto il latino visto che dopo la terza elementare aveva abbandonato la scuola e imparato il lavoro del ciabattino, anche perché la sua famiglia era molto povera.
A 27 anni entra nella Compagnia di Gesù come fratello coadiutore ma finito il noviziato viene praticamente messo alla porta, a causa delle sue visioni del Sacro Cuore, fenomeni strani per i superiori del tempo, che finirono per far passare Elia come una persona disturbata mentalmente anche se né rafforzarono e né segnarono definitivamente la sua vita nella volontà di diventare sacerdote. Dovette attendere oltre 30 anni perché questo desiderio s’avverasse per le mani del cardinale Pietro Palazzini che era di Piobbico. Nella biografia si cita la prima apparizione del Sacro Cuore a Elia descritta dallo stesso protagonista il 10 marzo 1952, in chiesa mentre prega: “mi si appannano gli occhi come se diventassi cieco, invece scorsi sul Tabernacolo dell’altare maggiore sorgere una grossa nube bianca e in mezzo a quella nube vidi una figura bella, luminosa, di Gesù come viene figurato nelle statue del Sacro Cuore. Mi dice: “Mi ami tu, figliolo?”. Io risposi: “Si Gesù che ti amo” e Lui “e allora ama il prossimo con lo stesso amore con cui ami Me”. “Sì Gesù, lo farò”. La figura di Gesù si mosse con la mano destra e toccò il suo Cuore che era sopra una veste bianca e con un manto tutto d’oro e mi mandò un raggio di quella luce, che si posò sul mio petto… Venendo fuori di chiesa sentii gocciolare sangue”. Nella messa del giorno successivo mentre pregava dopo la comunione Elia sente di nuovo Gesù che voleva da subito una festa di precetto per i fedeli di tutto il mondo dedicata al Suo Sacratissimo Cuore e al Suo amore”.
Comunque la sua insistenza nell’intenzione di farsi sacerdote gli viene indicata direttamente da Gesù, scrive Elia. Elia frequentò come portinaio e ciabattino anche i rosminiani di Stresa, dove tra i compagni aveva anche Clemente Rebora. Fu lì che Gesù gli raccontò i peccati di una decina di giovani da cui andò per invitarli a riparare e a convertirsi e che così la misericordia di Dio non sarebbe stata avara con loro. E una domenica tutti e dieci a colazione, davanti ai padri rosminiani, dopo essersi confessati e comunicati, raccontarono tutto, dicendo che mai prima di allora avevano conosciuto Elia. Allora anche la sua fama di profeta e apostolo si sparse in un lampo. Per usare un linguaggio non più tanto in voga, si espresse per la prima volta il suo carisma di cercatore delle pecorelle smarrite sulla strada del peccato per mostrare loro la misericordia del Salvatore.
Questi fatti accaddero quando Elia Bellebono aveva circa 40 primavere, 25 anni prima di diventare sacerdote. Anzi in quel periodo ebbe anche una visione di Gesù che lo mandava dal Papa a dire che avrebbe dovuto fare santo Antonio Rosmini, inoltre desiderava che la Chiesa in tutto il mondo celebrasse “i Divini Misteri in lingua volgare”.
Questi ed altri fatti li potrete trovare nella biografia “Don Elia Bellebono apostolo del Sacro Cuore per i nostri tempi”, curata dal gesuita Carlo Colonna per l’editrice Sapienza e Vita che per la verità non è facilmente reperibile nelle librerie ma che può essere richiesta alla associazione Amici di don Elia Bellebono presieduta dalla riminese Laura Guerra.
Possiamo dire che quest’opera di recupero di anime Gesù l’avrebbe chiesta a Elia anche verso diversi sacerdoti in crisi, che stavano pensando di abbandonare la veste talare per buttarsi tra le braccia di donne di cui s’erano innamorati.
In questo libro si descrivono inoltre anche le astuzie e le persecuzioni del diavolo che Elia chiama col nome di “federico” per via che gli appariva con un pizzetto che lui associava a Federico Barbarossa.
Questo uomo tuttavia divenne sacerdote solo dopo numerose peripezie ed anche pareri contrari della curia fanese e, almeno inizialmente, del vescovo di Fano Costanzo Micci, quando Elia il 9 ottobre 1974 fa il suo ingresso nel convento camaldolese di Monte Giove a Fano.
Fu consacrato l’11 aprile 1977 e la sua vita sacerdotale prosegue nella stessa missione. E ancora da segni e visioni profetici, come quello dell’elezione del cardinal di Venezia Luciani a Papa. Anche la costruzione del santuario del Sacro Cuore a Ca’ Staccolo di Urbino è stata voluta dall’Alto: “Sono contento che i tuoi padri spirituali ti abbiano permesso di parlare di Me a Urbino. Desidero che tu faccia costruire un santuario dedicato al Mio Cuore Sacratissimo. Farai dipingere un quadro come tu mi vedi che abbia a regnare nel centro del santuario e li farò piovere tante grazie”. Era il 1969, quando ancora Elia non era sacerdote e l’indicazione di Urbino, nella visione, fu direttamente collegata al fatto che parlò pubblicamente di Gesù per la prima volta nell’università di quella città. Ma sia l’idea del santuario che quella del sacerdozio parevano allora umanamente impossibili. Il terreno fu acquistato nell’85 ma il sì unanime del consiglio comunale di Urbino (con l’esclusione di Rifondazione comunista anche se l’amministrazione era di sinistra) alla costruzione del santuario arrivò solo il 16 febbraio 1996 dopo un iter pieno di intralci burocratici e tecnici. Compreso anche il rifiuto di qualche architetto di grido, come Carlo De Carlo, che si rifiutò dicendo di non essere credente, e Giovanni Michelucci, quest’ultimo per questioni d’età visto che era ormai centenario.
La strada in salita per quest’opera svalicò e puntò verso la discesa anche grazie a Maurizio Costanzo che ospitava nel suo famoso show televisivo il professor Francesco Grianti, coadiutore di don Elia e che raccontò in trasmissione della contrarietà della giunta d’Urbino alla costruzione di questa chiesa. Lo stesso Costanzo, in diretta, fece telefonare a casa del sindaco dove trovò solo la madre a cui disse di riferire al figlio che non è bene essere contrari alla costruzione di una chiesa. Il caso ovviamente esplose a livello nazionale e dopo pochi mesi le autorità comunali di Urbino firmarono il permesso; era febbraio, in seguito il 2 settembre il Signore richiamò in cielo don Elia.
A conclusione dell’anno giubilare della misericordia e in occasione del ventennale del ritorno alla casa del Padre di don Elia Bellebono, sabato 19 novembre è stato organizzato un convegno nella sala Rossa di palazzo Battiferri della città universitaria sulla figura carismatica che alla misericordia del Sacro Cuore ha dedicato la vita e costruito anche questo santuario e centro di spiritualità a Ca’ Staccolo. All’appuntamento era presente anche l’arcivescovo di Urbino, Urbania e Sant’Angelo in Vado monsignor Giovanni Tani, originario di Sogliano sul Rubicone. Ma sono altri i riminesi che hanno partecipato all’incontro a partire dal moderatore Alessandro Di Pasquale che, come medico cardiologo, ha seguito e curato don Elia nei suoi ultimi anni di vita terrena andando a Urbino almeno una volta alla settimana per seguire le sue precarie condizioni di salute.
L’intervento centrale del convegno, dal titolo ‘Inedito dialogo tra esegesi biblica ed esperienza’ era affidato al biblista riminese don Carlo Rusconi mentre altri due testimonianze sono state del salesiano laico Umberto Callegaro e di don Gianni Terreno, ora sacerdote a Fiesole. Dal canto suo, Laura Guerra, moglie di Alessandro Di Pasquale, ha organizzato un pullman che ha portato una cinquantina di riminesi al convegno, anche in qualità di presidente dell’associazione Amici di don Elia Bellebono.
Don Carlo Rusconi, che invero non ha mai conosciuto né incontrato direttamente don Elia pur sentendone parlare varie volte da amici, ha però analizzato la trascrizione delle sue visioni nella corrispondenza con le esperienze di teofania nella bibbia. Inoltre, per i suoi interessi in architettura, don Carlo ha anche seguito le fasi di costruzione del santuario. Ecco il motivo per cui lo stesso Rusconi, che fu coinvolto esclusivamente a livello consultivo e in relazione alla celebrazione liturgica, ha approfondito la conoscenza della personalità di don Elia. Ha detto don Carlo Rusconi: “Cercherò di spiegare la connessione che esiste tra la sacra scrittura e l’esperienza mistica del rapporto di don Elia con Gesù: ebbene non esiste niente delle descrizioni fatte da questo prete che non abbia un riscontro nella bibbia”. Don Rusconi elenca precisamente queste consonanze dalla nube bianca che interagendo con lui arriva a ferirlo fisicamente, ai racconti della resurrezione che descrivono il Risorto con una veste bianca e citando tanti altri passi della sacra scrittura per concludere comunque con questa frase: “Forse don Elia non avrà mai letto certe cose ma queste visioni e la loro corrispondenza biblica significano che il rapporto che aveva con Dio era molto più diretto del mio”. Persino nei particolari Rusconi vede assonanze con il mestiere che Elia aveva imparato, quello del ciabattino. Per esempio nella descrizione che fa della visione parla dei sandali che Gesù indossa. Dal canto suo il vescovo Giovanni Tani ha ringraziato don Rusconi di cui è stato compagno in seminario a Roma perché, ha detto, l’intervento del biblista riminese lo ha aiutato nel suo incarico di discernimento su don Elia e il santuario che ha voluto (e che peraltro non è ancora concluso perché mancano ancora arredi e impianti interni).
A questo punto mi permetto un accenno personale un po’ irrituale per un cronista: tornando a casa e avendo trovato un ingorgo per un incidente, il navigatore satellitare mi ha fatto passare proprio di fianco a questo santuario a Ca’ Staccolo che all’esterno offre una visione piuttosto solida e circolare, credo anche perfettamente a norma dal punto di vista sismico visto che a Urbino il recente terremoto dell’Italia Centrale s’è fatto sentire ed ha creato problemi ad alcuni edifici compreso le chiese e lo stesso vescovo Tani è alle prese con un trasloco dal suo appartamento che ora presenta alcune crepe e che deve essere riparato.
“Siamo al termine dell’anno giubilare della misericordia – ha concluso monsignor Tani -. La missione di don Elia era il richiamo alla conversione dei tanti che ha incontrato. Dio vuole raggiungere tutti e questo convegno è per me un segno molto significativo. Su questa figura dobbiamo procedere con discernimento e capire progressivamente se il percorso di quest’uomo coincide col percorso voluto da Dio”. Monsignor Tani ha qui fatto riferimento all’eventuale processo di beatificazione, la cui apertura però dovrebbe avere la responsabilità prima del collega, vescovo di Fano Armando Trasarti. Ha proseguito monsignor Tani: “Anche io come vescovo di Urbino ho la responsabilità del discernimento ma posso senz’altro dire che quest’uomo era un uomo di Dio e che cercava di avvicinare a Lui quelli che incontrava. L’intervento di don Carlo Rusconi mi induce a credere che siamo davvero di fronte a qualcosa di oggettivo che mi fa venire in mente il pensiero di San Paolo “Dio ha scelto quel che è stolto per il mondo per confondere i sapienti e i potenti” e anche se don Elia era una persona semplice e senza preparazione culturale oggi siamo qui a parlare di lui e questo mi sembra che sia espressione di una scelta del Signore. Anche il Vangelo dice che “ogni albero buono dà frutti buoni”. Ho conosciuto la fede, l’umanità e la serietà di chi segue quest’opera: questi sono frutti buoni. L’altro frutto buono è questo santuario: io credo che la gente di Urbino debba frequentarlo sempre di più e credo che questo santuario sarà finalmente concluso. Dobbiamo pregare e in un certo senso sfidare Dio come faceva don Elia: “Se tutto questo che dici è vero, allora dammi una mano a concretizzarlo”.
Serafino Drudi
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