Il Comune di Santarcangelo costretto a risarcire per la discarica di inerti mai realizzata

Il Comune di Santarcangelo costretto a risarcire per la discarica di inerti mai realizzata

Una pagina poco bella quella che ha visto la giunta di piazza Ganganelli a guida Mauro Vannoni stoppare un progetto che secondo gli strumenti urbanistici del tempo avrebbe dovuto incontrare il via libera. Violando i "canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione". Entro tre mesi Alice Parma, che eredita la patata bollente, dovrà liquidare il danno.

La vicenda è interessante perché fa luce su un certo modo di procedere da parte delle amministrazioni comunali. Nel caso in questione i fatti riguardano il comune di Santarcangelo e si riferiscono alla prima metà degli anni 2000, quando sindaco era Mauro Vannoni.
Una importante società locale che si occupa di trasporto rifiuti e fornitura di materiali inerti, nel 2005 acquista nella frazione di Ciola un ampio appezzamento di terreno, in parte agricolo e in parte cava dismessa classificata come “deposito di materiali all’aperto – discariche”.
Negli atti notarili sono indicate le dimensioni dei terreni (oltre 65mila mq) e i costi sostenuti, complessivamente 388mila euro. Ma la società effettua ovviamente anche molte altre spese, come i sondaggi geognostici finalizzati a stabilire le caratteristiche del suolo e del sottosuolo, per poi progettare l’impianto. Senza contare, il mancato utile che sarebbe derivato dall’attività economica.
Vuole farne una discarica per rifiuti inerti su scala provinciale. Sull’opera, conforme alla pianificazione territoriale dell’epoca, incontra inizialmente la condivisione degli amministratori comunali. Poi però si verifica una vera e propria sollevazione da parte dei residenti, che raccolgono molte di firme per stoppare il progetto e cominciano a mobilitarsi, facendo “pressione” anche sul Comune affinché impedisca l’intervento.
Cosa fa il sindaco? Nell’ottobre del 2006 adotta una variante al piano regolatore trasformando la zona “già sede di cava lapidea, … destinata a discarica di categoria IIA per materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi ed a discarica per rifiuti solidi urbani di prima categoria” in area per attività agricola. La variante diventa norma di riferimento nel 2009. Va detto che anche la Provincia si espresse in maniera chiara, osservando che “restava tuttora legittima detta classificazione urbanistica (discarica per materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi e per rifiuti solidi urbani di prima categoria, ndr), per non emergerne previsioni contrarie né dal Piano territoriale di coordinamento provinciale né dall’adottato Piano provinciale per la gestione dei rifiuti”.

Alla società in questione non rimaneva che il ricorso al Tar, il quale non poteva che dichiararlo improcedibile perché nel frattempo l’amministrazione comunale aveva approvato il Psc che collocava l’area in “ambiti agricoli di rilievo paesaggistico”. Ma lo stesso Tar accertava l’illegittimità della procedura seguita dal Comune di Santarcangelo, che sostanzialmente aveva cambiato le carte in tavola in “corso d’opera”. I giudici amministrativi tiravano le orecchie a Vannoni, bollando la scelta di ostacolare in tutti i modi la nascita della discarica “inficiata da una motivazione che assume a proprio fondamento elementi di giudizio non aderenti alla realtà e che neppure ha tenuto conto della posizione di affidamento della proprietaria al mantenimento della destinazione urbanistica preesistente; aspetti che, invece, avrebbero richiesto una valutazione circostanziata e accurata – in particolare ancorata alla reale portata della disciplina locale in materia oltre che a tutti i profili rilevanti in sede di governo del territorio – così come avrebbero imposto un’adeguata comparazione degli interessi coinvolti, per poi rendere il tutto intelligibile nelle relative conclusioni attraverso la puntuale indicazione delle ragioni della scelta finale”. Non proprio un modello di pratica amministrativa. Sosteneva il Tar nel 2005 che l’azione del Comune era da ritenersi illegittima non soltanto per non aver soppesato gli interessi coinvolti, ma anche per l’erronea lettura della pianificazione di livello superiore (la quale consentiva il mantenimento della pregressa destinazione urbanistica delle NTA per tempo vigenti) e non imponeva in alcun modo la sua soppressione.

In seguito la società ha chiesto di essere risarcita del danno subito a causa di quella variante urbanistica improvvisata, “colpevole” di una perdita della potenzialità edificatoria dell’area e anche di avere frustrato irrimediabilmente l’iniziativa economica intrapresa.
La società ha calcolato un deprezzamento patito dal punto di vista dei terreni di circa 143mila euro. Più circa 130mila euro per rilievi, indagini e interventi sull’area, 170mila euro per canoni d’affitto e 180mila euro come mancato reddito dall’attività per gli anni 2008-2009. Il totale dà quasi mezzo milione di euro.

Con una sentenza pubblicata in data odierna, il Tar di Bologna analizza la fondatezza o meno della richiesta risarcitoria e arriva alla conclusione che “è acclarata la lesione dell’interesse legittimo, dal momento che – ove il Comune di Santarcangelo avesse agito correttamente – la previsione urbanistica non sarebbe stata espunta dagli atti di pianificazione e l’operatore economico avrebbe potuto perseguire il raggiungimento del bene della vita cui aspirava (è salva poi la definizione del quantum, in relazione al grado di certezza o probabilità di perseguirlo). Risulta adeguatamente dimostrato il danno ingiusto e altresì il nesso di causalità materiale, risultando evidente la correlazione tra il contenuto della variante urbanistica e l’inibizione dell’iniziativa della Società: il pregiudizio è conseguenza immediata e diretta della variante al PRG dichiarata illegittima”. Non solo. Si legge in sentenza che “è integrato anche l’elemento soggettivo, posto che la colpa del soggetto pubblico – il quale aveva piena cognizione del proposito del privato – è individuabile nella violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero in negligenza, omissioni o errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili, in ragione dell’interesse giuridicamente protetto di colui che instaura un rapporto con l’amministrazione”.

Non siamo, insomma, in presenza di un errore scusabile, magari da attribuire ad incertezza del quadro normativo o in quanto il caso presenti aspetti complessi e di difficile interpretazione. No, dice il Tar, qui tutto era molto chiaro: c’era un privato che intendeva esercitare un’attività consentita dagli strumenti di programmazione urbanistica al tempo vigenti, e il Comune non l’ha consentito.

E arriviamo al quantum del risarcimento. Qui il Tar non segue le richieste della società finalizzate a recuperare il reddito che avrebbe potuto essere conseguito nell’esercizio dell’attività (180mila euro), perché – sul punto i giudici accolgono l’obiezione del Comune – “alcuna proposta (anche nella forma preliminare di “bozza”) è mai stata ufficialmente sottoposta all’amministrazione, ossia non è pervenuto alcun atto che abbia assunto la forma e la sostanza di un progetto”.
Sul deprezzamento dei terreni, invece, “la diminuzione di valore è una componente del pregiudizio economico meritevole di riconoscimento, in quanto oggettiva e collegata causalmente con l’adozione della variante poi caducata in sede giurisdizionale”. Infine ci sono le spese affrontate, quelle per rilievi, indagini e interventi sul terreno, che dovranno essere risarcite seppure in misura ridotta rispetto alla richiesta della società.

La somma finale che il Comune di Santarcangelo dovrà risarcire, sarà determinata “nel contraddittorio delle parti”.
Ma tenendo conto del deprezzamento dei terreni acquistati, dell’eventuale incremento di valore per effetto della destinazione urbanistica stabilita dal Poc e di tutte le spese sostenute, ridotto del 50%.
L’amministrazione comunale dovrà subito istruire il procedimento e concluderlo entro 90 giorni, per passare quindi “tempestivamente alla liquidazione”. Il Comune è stato anche condannato a rifondere alla controparte 4mila euro di spese connesse al giudizio davanti al Tar. Chissà se a Mauro Vannoni in questi giorni saranno fischiate le orecchie.

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