Il Consiglio di Stato dà ragione all’Agcm: niente partecipazioni pubbliche nel settore degli allestimenti fieristici

Il Consiglio di Stato dà ragione all’Agcm: niente partecipazioni pubbliche nel settore degli allestimenti fieristici

Ribaltando la sentenza del Tar, i giudici di secondo grado della giustizia amministrativa condividono la tesi dell’Autorità secondo cui il servizio di allestimento di stand fieristici non può ritenersi incluso nella nozione di “attività di gestione di spazi fieristici e di organizzazione di eventi fieristici”. Una doccia gelida per Comune, Provincia e Camera di Commercio.

Ribaltato il parere del Tar dell’Emilia Romagna. Il Consiglio di Stato ha sentenziato che «l’appello dell’Autorità (Agcm) deve essere accolto» e «in riforma dell’appellata sentenza», vanno annullati «gli atti impugnati nei limiti dell’interesse e, in particolare, per la parte in cui presuppongono e comunque realizzano il mantenimento di partecipazioni, per mezzo della IEG, in società attive settori di allestimento di stand e di organizzazione di eventi in generale». Ciò significa che «in esecuzione della presente decisione il Comune di Rimini, la Provincia di Rimini e la Camera di Commercio della Romagna – Forlì, Cesena, Rimini – provvederanno, entro trenta giorni dalla notificazione della presente decisione, alla riadozione degli atti annullati, nelle parti interessate, alla luce dei pareri dell’Autorità del 4 febbraio 2020 e tenendo conto delle statuizioni che precedono, provvedendo a comunicare all’Autorità le determinazioni conclusive».
Si tratta di una rivoluzione che mette a nudo il problema di cui si discute da anni e che aveva fatto decidere l’Autorità per la concorrenza e il mercato, prima ad inviare un parere alle tre Amministrazioni pubbliche detentrici di quote nella Rimini Congressi, e poi, davanti al rifiuto di queste a mutare indirizzo, a ricorrere al Tar. Il quale respingeva i tre ricorsi sostenendo che Rimini Congressi «non può considerarsi soggetta a controllo pubblico» e che non sarebbe stato vietato «consentire alle società a partecipazione pubblica di gestire spazi fieristici e di organizzare eventi fieristici», ammettendo anche l’esercizio delle attività a queste intimamente connesse e complementari, tra le quali l’attività di allestimento di stand fieristici, e che la norma non impedirebbe alle amministrazioni pubbliche di avere partecipazioni in società che abbiano quale scopo non “prevalente” o esclusivo l’attività in questi settori. Sempre secondo il Tar, per potersi parlare di un controllo pubblico congiunto occorrerebbe rinvenire l’esistenza di un accordo in forma scritta sottoscritto dai tre enti pubblici, mentre non sarebbe sufficiente ricavare il controllo «dalla mera astratta possibilità per i soci pubblici di far valere la maggioranza azionaria in assemblea».
Ma il Consiglio di Stato non la pensa allo stesso modo e taglia la testa al toro. Nella lunga sentenza pubblicata con la data odierna, tra le altre cose si legge che «alle amministrazioni pubbliche è consentito detenere partecipazioni solo in società che operano nei settori indicati dall’art. 4, cioè quelli strettamente necessari per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, e l’attività di allestimento degli stand fieristici non può ritenersi avere la suddetta finalità, e non rientra tra le attività consentite dall’art. 4, comma 7, del TUSPP. Il richiamo che nelle difese delle parti appellate è fatto all’utilizzo, nell’art. 4, comma 7, della parola “prevalente” non autorizza una conclusione differente».
Argomentano i giudici di secondo grado della giustizia amministrativa, che «se è vero che il legislatore non ha richiesto un oggetto sociale esclusivo, volto solo alla gestione di spazi fieristici e all’organizzazione di eventi fieristici, è anche vero però che, nel suddetto comma 7, non ha riproposto la formula ampia di cui all’art. 4, comma 1, in particolare non ha riprodotto l’utilizzo delle locuzioni “direttamente o indirettamente”. Sicché, la deroga di cui all’art. 4, comma 7 vale solo, ovvero copre solo, la partecipazione diretta (dell’ente pubblico) nella società avente per oggetto (anche se non esclusivo ma purché prevalente) la gestione di spazi fieristici e l’organizzazione di eventi fieristici; la medesima deroga non si può invece estendere alla partecipazione anche indiretta in società partecipate dalla prima e che svolgono (solo) attività diverse per quanto in tesi collaterali o serventi».
Merita di essere riportato questo lungo passaggio, collegato al precedente, perché chiarisce bene: «La dianzi proposta interpretazione dell’art. 4, comma 7, del TUSPP (è la sola che) consente all’ente pubblico, che ha una partecipazione diretta in una società avente per oggetto prevalente l’organizzazione di spazi fieristici e l’organizzazione di eventi fieristici, di monitorare l’attività della società e di verificare se essa cessi di essere prevalente, intervenendo in caso contrario dismettendo le proprie partecipazioni o ripristinando, avendo il controllo della società, la prevalenza della attività fieristica. Ciò non può accadere quando la partecipazione dell’ente pubblico, nella società che svolge attività fieristica, sia solo indiretta e, a maggior ragione, quando l’attività collaterale sia svolta per il tramite di una ulteriore società partecipata dalla prima, la cui attività potrebbe teoricamente essere prevalente rispetto a quella svolta dalla controllante, quantomeno in termini di fatturato, se non anche di valore del patrimonio e di entità dei costi di produzione. Diversamente opinando gli enti pubblici conserverebbero la possibilità di entrare a far parte, investendo capitale pubblico, di grandi gruppi societari che svolgono attività per nulla utili o necessarie al fine dell’espletamento delle loro funzioni istituzionali, che è esattamente quanto il legislatore ha inteso evitare con il D. L.vo 175/2016, divieto che la modalità qui realizzata dalle parti appellate finirebbe per eludere praticamente sempre».
Sì, però Ieg è società quotata in Borsa dal giugno 2019, è stata una delle contestazioni avanzate, e dunque varrebbe a questo proposito, «la previsione di cui all’art. 1, comma 5 del TUSPP, secondo cui “Le disposizioni del presente decreto si applicano, solo se espressamente previsto, alle società quotate, come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera p), nonché’ alle società da esse controllate”». Ma il Consiglio di Stato chiude anche questa porta: «Il rilievo è manifestamente infondato», perché «la previsione citata si riferisce a quelle disposizioni, contenute nel D. L.vo 175/2016, che abbiano come destinatario diretto le società, e non già le amministrazioni pubbliche». Mentre «l’art. 4 è invece una norma che ha come destinatari le amministrazioni pubbliche; pertanto il fatto che una partecipazione societaria si riferisca ad una “società quotata” non può consentire alle stesse amministrazioni pubbliche di eludere i limiti imposti da tale norma, acquisendo partecipazioni in società attive in settori non strettamente funzionali al perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente. A questo va aggiunto come la quotazione della società risalga al 2019, quindi ben dopo la data del 31 dicembre 2015 di cui alla disposizione transitoria racchiusa nell’art. 26 del T.U.».
L’intervento di Agcm era stato “attivato” «nel marzo 2018» quando «alcune associazioni di categoria di operatori attivi, nel riminese, nel settore fieristico, segnalavano all’Autorità garante della Concorrente e del Mercato alcune criticità derivanti dalla gestione degli spazi fieristici da società in partecipazione pubblica». E l’Autorità era stata da subito chiara (qui): le amministrazioni pubbliche possono detenere partecipazioni in società aventi per oggetto sociale prevalente la gestione di spazi fieristici e l’organizzazione di eventi fieristici, ma la nozione di “attività fieristica” deve comunque essere interpretata in modo rigoroso, per evitare che una speciale prerogativa concessa dal legislatore (cioè la possibilità di detenere partecipazioni in società svolgenti “attività fieristica” ex art. 4, comma 7 cit.) si estendesse oltre le intenzioni della norma, fino a comprendere al suo interno servizi diversi e facilmente reperibili sul mercato. Ma Comune, Provincia e Camera di Commercio avevano disatteso il parere dell’Agcm. Ora cambia tutto e per i tre enti pubblici si tratta di una sonora batosta.

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