Il faro di Rimini e il suo “guardiano”

Il faro di Rimini e il suo “guardiano”

E' uno dei fari più antichi d'Italia, da 254 anni illumina la rotta verso un porto sicuro. Grazie alla Marina militare siamo entrati all'interno e ve lo raccontiamo, anche attraverso magnifiche immagini (by LP): un gioiello di particolare bellezza sorvegliato dal reggente Vincenzo Colaci.

In gioventù, Edward Hopper (1882-1967) sogna di studiare architettura navale, ma poi dirige deciso la barra del timone verso la pittura; diventa forse il più importante esponente del Realismo Americano. La sua arte è inconfondibile, particolare, caratterizzata da singolari frammenti di vita quotidiana: individui anonimi che volgono lo sguardo in opposte direzioni senza interagire tra loro; ambienti lineari, colori definiti, taglienti; stanze semivuote inondate di luce, ma consegnate a cupe visioni della vita; e persone con lo sguardo perso nel vuoto, gli occhi perduti a rovistare nel nulla. Sono pennellate sulla trama della solitudine umana e delle cose.

Hopper (è un caso?) non trascura di rappresentare i fari. Nelle sue opere se ne contano almeno una mezza dozzina. Li ritrae stagliati nella fotografica desolazione di paesaggi disadorni, vuoti e immobili, come sospesi nel tempo. Qual è, la risultanza pittorica? La smaterializzazione del tempo e dei sentimenti. Il pennello dell’artista americano mena fendenti che vengono inferti all’anima dello spettatore attraverso la tela.
Pochi, come Hopper, riescono a conferire ai dipinti la percezione del silenzio assoluto. Del guardiano del faro non vi è traccia, ma se ci fosse, lo pensiamo da solo, in muta staticità. Nell’immaginario di molti, sia il faro che il guardiano rappresentano un concentrato di solitudine dovuto anche all’ubicazione delle “torri luminose”, spesso lontane da insediamenti urbani, sperdute su inaccessibili speroni di roccia schiaffeggiati da onde ostinate o su aridi promontori privi di vitalità, allungati sul mare.

Il “guardiano del faro” di Rimini, Vincenzo Colaci coi suoi inseparabili amici

A dire il vero, i fari (e i fanalisti) non sono tutti come quelli che Hopper interpreta con occhio oniricamente metafisico.
Da 26 anni Vincenzo Colaci è il reggente (questo il termine corretto) del faro di Rimini; è persona allegra e cordiale, non è un misantropo e non soffre di isolamenti sociali: condivide la casetta a fianco del luogo di lavoro con la moglie, due figli, un grosso cane lupo e due gattoni persiani; manca il pappagallo, ma in futuro… chissà.
Lo incontriamo in una tiepida giornata di aprile, dopo che la Marina Militare Italiana ci autorizza la visita al Faro di Rimini, uno dei 58 presidiati sull’italico suolo.

La bianca torre svetta sulla destra del porto da circa due secoli e mezzo. L’attribuzione architettonica dell’opera è talmente controversa che nemmeno il Professor Giovanni Rimondini, celebre storico dell’arte, non elegge un nome definitivo tra i cinque “papabili” autori della settecentesca costruzione. La responsabilità non è dovuta al valente studioso, quanto alla mancanza di idonea documentazione fatta sparire già all’epoca, grazie a un “magheggio” finalizzato a occultare spericolati brogli finanziari. E’ un capitolo complesso della vita governativa di Rimini che si è riverberato nei successivi tentativi di ricostruzione storica. Proprio nell’ultimo numero della bella rivista bimensile Ariminum, diretta con passione e competenza dal Professor Manlio Masini, compare una precisazione del Dottor Rimondini. In sostanza, una volta di più, lo storico dell’arte ribadisce che non ci sono elementi certi per stabilire chi abbia progettato il faro riminese. Se la paternità del progetto è incerta, non lo sono i danni della Seconda Guerra Mondiale che riducono l’edificio a un mesto mozzicone fumante. Ne rimane poco più di metà. Il faro viene ricostruito nel primo dopoguerra. Il lavoro di ripristino dura quasi cinque anni e non è certo l’unico rimaneggiamento della sua lunga storia, da quando venne costruito, nel lontano 1764.

Il “nostro” è tra i più antichi d’Italia, ma viene certamente dopo il Fanale di Livorno costruito tra 1303 e il 1305, citato per la sua bellezza dal Petrarca (1304-1374) nell’Itinerario Siriaco, opera geografica che il poeta scrive a metà del ‘300.
In Italia lo scettro della longevità spetta alla Torre della Lanterna di Genova che illumina l’omonimo Golfo dal 1128: la Lanterna è un monumento così importante da divenire il simbolo stesso della città.
E il record mondiale a chi appartiene? Il primato è detenuto da quello edificato dai romani ad A Coruña in Galizia, regione dell’estremo nord-ovest della Spagna, nel periodo dei due “secoli d’oro” dell’Impero Romano che comprendono l’epoca dell’imperatore Traiano (53-117) e quella del suo successore, Adriano (76-138).
La Torre di Ercole, postazione tuttora attiva e inevitabilmente modificata nei secoli, illumina le onde dell’oceano atlantico e in particolare le tumultuose acque che bagnano la temibile Costa de la Muerte, identificata dai nostri antichi predecessori come la “Porta dell’Aldilà”.
Il faro in oggetto ha pure l’onore di essere rappresentato (olio su tavola 10,3X15,4 cm.) da Pablo Picasso (1881-1973), allora quattordicenne, nel 1895, l’ultimo dei quattro anni in cui la famiglia del giovane genio risiede nella città galiziana. Non possiamo pubblicare la foto del dipinto per rispetto dei vincoli di “copiright”, ma ci permettiamo un suggerimento: andate a vedere l’opera dal taglio non ancora segnatamente “picassiano” che si trova presso il museo di A Coruña a questo indirizzo web. Un breve aneddoto sul pittore: “Se tu vuoi fare il soldato diventerai generale e se vuoi fare il prete diventerai Papa,” gli diceva mamma. “Io ho scelto di fare il pittore e sono diventato Picasso”, amava affermare l’artista, a dimostrazione che anche la lungimiranza era un dono di famiglia.

Tornando alla navigazione verbale e su mari assai meno agitati, come l’Adriatico che bagna Rimini, il nostro ospite ci mostra l’interno della torre nella quale entriamo con il rispetto e la reverenza dovuta alla sacralità della funzione che riveste. Del resto, l’aspetto candido e ieratico non può che prestarsi a tale interpretazione.
Al piano terra, oltre a foto utili a illustrare alle scolaresche in visita il curriculum vitae del faro, vediamo il cuore del nautofono (le trombe) e il relativo simulatore acustico: speriamo fortemente che l’indimenticata sirena possa presto tornare a far sentire la sua autentica voce nelle ipnotiche notti di nebbia: quelle rigorosamente felliniane, s’intende.

Al piano di sopra, che all’esterno mostra il portale settecentesco, sono esposte una serie di lampade non più in uso; tutte montano la caratteristica lente di Fresnel, il rivoluzionario dispositivo ottico messo a punto dal francese Augustin-Jean Fresnel (1788-1827). Il fisico transalpino ha dimostrato la natura ondulatoria della luce. L’apparato consiste essenzialmente in una serie concentrica di anelli prismatici a gradinata con effetto combinato equivalente a quello di una lente normale della stessa apertura. Grazie a questa innovazione, il cristallo risulta molto meno spesso è più leggero e riporta minori perdite di luce per assorbimento.

Nei piani seguenti ci viene mostrata una serie di strumenti in disuso e altri altrettanto obsoleti, ma comunque significativi, riconducibili a tempi passati; ad esempio, un timone e una tromba d’emergenza che si attiva (funziona ancora bene, ve lo assicuriamo) grazie a una pompa ad azione manuale. Una particolarità di questo faro, ci spiega il reggente, è che a differenza dei molti da lui visitati, oltre a quello di terra, questo ha tre piani calpestabili, mentre gli altri, di norma, hanno una scala appoggiata al perimetro interno dell’edificio che sale a chiocciola senza soluzione di continuità, fino alla lampada di illuminazione.

A proposito di quest’ultima, ci spiega che “l’ottica del faro riminese è fissa e i lampi emessi sono tre in dodici secondi. Ogni faro ha una propria caratteristica data dalla tempistica e dall’intensità dei lampi per distinguersi da quelli delle località vicine: è una sorta di carta di identità. La portata (la massima distanza a cui la luce può essere scorta) del nostro apparecchio è di quindici miglia nautiche (poco meno di 28 chilometri), quindi nella media nazionale”. Per la cronaca, il primato è detenuto da quello di Capo Caccia di Alghero che svetta da 186 metri di altezza e raggiunge le 34 miglia nautiche (quasi 63 chilometri). Il variegato mondo delle ”lanterne” italiane ha un fascino assoluto. Lo abbiamo capito grazie alla piacevole conversazione con il reggente Colaci che con grande garbo ci ha aperto la porta dell’intrigante mondo dei fari.
Per chi volesse avere maggiori informazioni su fari e segnalatori marittimi, qui trovate la pagina web specifica del Ministero della Difesa. Il sito è ricco di notizie e curiosità.

Di questa visita piacevole e istruttiva ci rimane impresso il taglio visivo del canale del porto che abbiamo avuto il privilegio di apprezzare da un punto di osservazione per noi inconsueto. Grazie al limpido tramonto osservato sostituendoci mentalmente all’occhio della lampada, troviamo che questa rimanga l’elemento vitale più caratteristico ed emozionante del faro di Rimini. Quando scendiamo le scale, notiamo solo allora che gli ultimi gradini, quelli risparmiati dalla guerra, risultano consumati e butterati dal tempo, ma sopravvissuti alla furia degli uomini. Riviviamo, con un lampo della memoria, le decine di immagini cupe di Rimini sbriciolata dalle bombe mentre cercavamo presso l’archivio fotografico gambalunghiano la foto del faro, notevolmente “ridimensionato” in altezza. Ci ritroviamo all’esterno, dopo avere salutato con sincera gratitudine il perfetto cicerone che ci ha guidato a visitare un mondo per noi nuovo e suggestivo. Ora è buio e la lampada ha preso a ispezionare l’orizzonte. Torniamo verso casa. Ripensiamo al faro e per un attimo, nonostante la primavera avanzata, lo immaginiamo in inverno, adulato dall’impalpabile salsedine, dalle nebbie e dalle musiche sottili e ammalianti emesse dal vento, più volte magistralmente raccontate da un poeta locale, un certo Federico

Angelo Moretti: Rimini portocanale, 1944 (fotografia della Biblioteca Gambalunga)

Ringraziamo la Marina Militare Italiana che ci ha gentilmente consentito di visitare il faro di Rimini per poter realizzare questo servizio giornalistico.

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