Il palazzo di Giustizia reclama manutenzione e decoro

Il palazzo di Giustizia reclama manutenzione e decoro

Infiltrazioni d'acqua all'interno della struttura, ringhiere arrugginite, l'interrato che si allaga, si staccano le lastre in marmo che rivestono le pareti esterne, le scale che conducono ai sotterranei abitate da senzatetto e trasformate in discariche. Chi ci pensa al palazzo di Giustizia di Rimini?

La costruzione del “nuovo” Palazzo di Giustizia di Rimini risale al 2004. L’opera è realizzata grazie a un mutuo contratto con pagamento delle rate a carico dello Stato. Il progetto, firmato da due architetti italiani e uno iraniano, stampa un’effervescente manata da migliaia di metri cubi di calcestruzzo nell’ideale triangolo compreso tra via Carlo Alberto dalla Chiesa, via Flaminia e via Flaminia Conca. Per il gusto personale di chi scrive e come tale, ovviamente opinabile, i muri perimetrali, quasi interamente ricoperti da lastre di travertino interrotto da monotone sequenze di finestre che paiono claustrali, conferiscono all’edificio un aspetto che ricorda una grande nave da crociera (genere ecomostro galleggiante) ovvero una struttura pluriloculare per gruppi di gitanti appassionati di necroturismo: con foto e qualche vaso di fiori, l’atmosfera è quella.

Quanto ad alberi o acconcia vegetazione a mitigare parzialmente il ponderoso impatto visivo del fabbricato, nemmeno l’ombra (appunto). Sedici anni fa, il costo dell’operazione superò i 47 milioni di euro. Attualizzando i numeri, oggi parleremmo di una cifra intorno ai 56 milioni. Mica balle. In compenso, a quanto consta, neppure il tempo di togliere il fiocco rosso all’autorimessa sotterranea che la pioggia ci si è infilata senza pietà. Si dice che comunque non sia mai entrato in funzione.

Lo sostiene pure il parcheggiatore abusivo a tempo indeterminato che “gestisce” l’area di parcheggio esterno. Che saranno mai 7200 metri quadrati di garage (233 posti auto) inutilizzati, data l’abbondanza di parcheggi che abbiamo in città? Acqua fresca. Infatti, ma l’acqua non è stata ospite esclusiva del solo seminterrato. Alcuni avvocati ricordano che la pioggia ha imperversato anche nell’atrio del Palazzo e persino in stanze dove, causa inzuppamenti e umidità, diversi fascicoli processuali hanno subìto danneggiamenti irreparabili. A nostro avviso, un’altra imperdonabile manchevolezza è che, nonostante una quindicina di anni fa esistesse già adeguata tecnologia, non siano stati previsti impianti per il risparmio energetico. Sintetizzando l’elementare ragionamento da uomini della strada, in qualsiasi fabbricato sono in gioco due elementi: uno è il valore estetico, l’altro è la funzionalità. La perfetta armonia nasce dal loro giusto equilibrio. Se uno dei due fattori è deficitario, probabilmente c’è un problema, ma quando entrambi traballano, la questione si complica davvero. Nel caso del Palazzo di Giustizia di Rimini, il secondo scenario pare essere quello che accompagna la struttura fin dalla nascita.

Ma niente paura: dalle più sciagurate demolizioni alle ricostruzioni più improvvide e audaci, Rimini è abituata a sopportare e digerire di tutto. Architetti dall’estro tanto singolare quanto discutibile ne avremmo anche in loco, ma i tre ganzi “archistar” sono stati paracadutati qui direttamente dallo Stato. Quindi, pedalare. Zitti e mosca. Se veramente la storia del tribunale è quella che si racconta tra le ampie aule e gli angusti corridoi, c’è da chiedersi: se il manufatto fosse stato commissionato da un privato, le magagne immediatamente sorte, non avrebbero avuto una qualche conseguenza in sede di saldo dei pagamenti? Al momento, pur non potendo escluderlo, non abbiamo notizia che ci siano state detrazioni a titolo di riparazione. Se fossimo in errore e ce ne fosse traccia, saremo lieti di comunicarlo.

Nel frattempo, una considerazione molto prosaica, ma inevitabile. Perché mai, quando i soldi sono pubblici, talvolta sortiscono attenuata efficacia, come se non valessero quanto quelli privati? Adoperarli male, dannazione, evidentemente è una costante e perniciosa prerogativa italiana. Visto dall’alto, il patchwork architettonico della zona connòta il destino di una città che dalla fine del secondo conflitto mondiale è in perenne dissidio con sé stessa. Difficilmente si coglie una qual coerenza di stile architettonico. È sempre mancato il manico, come si usa dire. Per fortuna, le mazzate al senso estetico vengono alleviate da provvidenziali performance di misericordiosi succhi gastrici. Abbiamo stomaci da struzzi; e meno male. Dunque, finché ci sarà libertà di espressione e quindi di critica, ci permettiamo di non condividere l’estetica, contestare la funzionalità e non ultima, la manutenzione del Tribunale di Rimini.

Non crediamo di essere gli unici che si domandano con quale criterio siano stati spesi tutti quei danari (nostri), se a distanza di appena quindici anni è previsto un intervento finalizzato alla messa in sicurezza di una serie di lastre di travertino, stufe di stare appiccicate al muro perimetrale che affaccia su via Giorgieri. Tanto è vero che là, da oltre un anno è stata posta un’impalcatura che comunemente prelude a lavori di manutenzione “imminenti”.

Quantificati lavori per 2 milioni 700mila euro: gli interventi riguardano le infiltrazioni d’acqua (terzo piano, aule giudiziarie, corridoi aule giudiziarie lato parcheggio Tribunale), l’allagamento dell’interrato, verifiche e controlli sulla tenuta delle lastre in marmo nella parete faccia a vista

A specifica domanda scritta, Palazzo Garampi risponde che “a far data dal 1′ settembre 2015 (con la modifica introdotta all’art. 1 della Legge n. 392/1941 ad opera dell’articolo unico, comma 526, della legge di Stabilità 2015, che ha posto a carico del Ministero della Giustizia “le spese obbligatorie di funzionamento per gli uffici giudiziari, attualmente a carico dei Comuni”, tutti gli oneri in precedenza gravanti sul Comune sono assunti dal Ministero della Giustizia a decorrere dal 1° settembre 2015) l’immobile sebbene rimanga di proprietà comunale non è più a disposizione del Comune; la norma prevede infatti che siano le autorità che gestiscono il patrimonio dello stato a farsene carico sia per le spese di manutenzione straordinaria, sia per le spese di manutenzione ordinaria. Le modalità in base alle quali vengono regolati i rapporti fra Comune e Ministero di Grazia e Giustizia sono simili a quelle previste per un comodato ad uso gratuito. In riferimento ai lavori indicati il Comune si è reso disponibile in data 20/06/2019 ad effettuare i lavori necessari fermo restando le autorizzazioni delle autorità competenti (Manutentore Unico, nello specifico Agenzia del Demanio Direzione Regionale Emilia Romagna) e la sottoscrizione di una nuova convenzione che disciplini la progettazione e l’esecuzione dell’intervento presso il Palazzo di Giustizia con utilizzo delle risorse derivanti dal residuo credito del mutuo contratto con Cassa depositi e Prestiti per l’importo di euro 2.784.330,65”. Con i consueti tempi burocratici italiani, notoriamente biblici, verrà un un giorno in cui monteranno un’ulteriore impalcatura che protegga la prima perché, con l’avanzare dell’età, diventerà essa stessa pericolante. Va riportato un altro passo in cui il Comune di Rimini chiarisce quanto segue: “Attualmente la convenzione fra tribunale e comune prevede in capo al secondo solo l’attività di vigilanza. Si precisa che il ministero non ha riconosciuto al comune 150mila euro per 4 mesi di servizio di global e gestione calore”.

Spesso ci rimproverano di considerare la nostra città con occhio eccessivamente negativo, ma soverchi margini di spazio per inalare aria di forbito ottimismo, francamente non ne vediamo. Per dirla tutta, pochissimi giorni prima che pannellassero i tubi “Innocenti” (rigorosamente incolpevoli: siamo in tribunale!), proprio ai piedi del muro ora ricoperto dall’impalcatura, avevamo fotografato i resti di un piccione morto stecchito (da tempo) e anche alcuni particolari dello stabile che ci sembravano male in arnese; a cominciare dai gradini che conducono all’ingresso, mancanti di alcune piastrelle di rivestimento stese a terra. Come il piccione. Gran bel biglietto da visita, per il Tribunale e per Rimini.

Da allora, la musica non è cambiata granché. La carcassa del pennuto è stata traslata, ma dopo più di un anno i cadaveri delle mattonelle rimangono esattamente dove le abbiamo immortalate, come foglie morte.
A proposito di manutenzione: di che stiamo parlando? La trista ringhiera grigia di accesso al Tribunale è arrugginita e il muro sottostante risulta tuttora scrostato e annerito di muffa.

Impresentabili. Rugginoso anche il sostegno che puntella un puntuto corpo avanzato, a destra dell’ingresso, in metafisica fuga verso la libertà. Fuori dall’edificio (lato via Flaminia), dopo aver rimirato fioriere che mai hanno veduto petalo alcuno, ci avventuriamo lungo strette scale esterne. Presumibilmente conducono a locali sotterranei.

Superata la pittoresca vegetazione cresciuta ovunque, arriviamo in fondo alla gradinata dove, secondo comodità (si fa per dire) del luogo, si trovano giacigli di fortuna poi scarpe e indumenti trafugati dai contenitori della Caritas o della Croce Rossa, abbandonati ovunque.

È risaputo che alla bisogna, vagabondi e senzatetto occupano e adoperano ciò che trovano disponibile. Ci sono diverse “discese agli inferi”.

Al termine di una di queste, il minuscolo ballatoio tra il primo scalino e una porta è adibito a latrina estemporanea: se per caso avete i recettori olfattivi regolati sullo Chanel n°5, non avventuratevi per quelle luride scalette.

Dello scivolo di accesso al garage, sbrecciato e apparentemente senza un futuro, non facciamo parola. Solo foto. Non credete che un luogo come un Palazzo di Giustizia, del cui valore simbolico e solennità è superfluo dire, meriterebbe migliori attenzioni?

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