Il “Teatro del Nulla” messo in scena da politica e classe dirigente riminese

Il “Teatro del Nulla” messo in scena da politica e classe dirigente riminese

Rimini, come molte altre città italiane, è ormai intrappolata in un grande teatro del nulla, dove si recitano ruoli prefabbricati, si distribuiscono sorrisi di circostanza e si spartiscono poltrone come fossero fiches da casinò

Una messinscena stanca e cinica, portata avanti da attori mediocri, che da tempo hanno smarrito la differenza tra bene pubblico e interesse privato.
Sul palcoscenico principale, i politici di maggioranza si autocelebrano con toni trionfalistici. Parlano di “visioni” e “progetti” come se fossimo nella Barcellona di Gaudí, tentando goffamente di ricostruirsi una verginità politica o di conferirsi capacità e competenze che non hanno mai dimostrato, nonostante pascolino da alcuni lustri nella pubblica amministrazione. Oggi alcuni sono addirittura pronti a raccontarci quanto fosse inadeguato il loro ex monarca – quello con la camicia bianca e la bici da ambientalista chic – dimenticando che erano proprio loro, allora, a spellarsi le mani per applaudirlo, mentre predicava e imponeva scelte disastrose e fallimentari.
La verità, però, non sta sotto i riflettori, ma dietro le quinte: l’unico vero progetto è garantire gli amici degli amici, conservare le rendite di posizione e trasformare ogni atto amministrativo in moneta di scambio.
Accanto a loro, spesso indistinguibili, le cosiddette liste civiche, che di “civico” hanno solo il nome: serbatoi elettorali buoni per raccattare voti di scambio, grigi camerieri del potere, pronti a fingere un dissenso di facciata, salvo poi correre a ritirare la solita consulenza, l’incarico di turno, la nuova sedia da occupare.
Dall’altra parte della scena, un’opposizione sonnambula, che si sveglia una volta ogni tre mesi per proporre interrogazioni degne di un’assemblea condominiale o slogan ideologici che non interessano più nemmeno ai nostalgici.
Un’opposizione che frequenta le stesse lobby, frequenta gli stessi ambienti, e spesso condivide le stesse convenienze della maggioranza. Fingono di scontrarsi, ma si accordano su tutto. E quando qualcuno alza la voce, lo fa solo per strappare un vantaggio personale.
I grandi media locali? Assenti. Nessuno che faccia vera informazione, nessuno che indaghi, nessuno che disturbi. I giornali si sono ridotti a uffici stampa mascherati, impegnati a fare copia-incolla delle veline comunali. Neanche una domanda scomoda, figuriamoci indagare cosa si nasconde sotto il tappeto.
Poi ci sono i sedicenti contestatori, pronti a ruminare critiche per ottenere un po’ di visibilità, ma altrettanto pronti a rientrare docili nei ranghi quando vengono accontentati nei loro interessi personali.
In questo teatro vasto e variegato, una categoria che fa particolarmente sorridere è quella degli ambientalisti da palcoscenico: si indignano rumorosamente per un albero abbattuto, ma cadono in catalessi di fronte a porcate urbanistiche di ben altra gravità. E non parlo dell’impresa che acquista un terreno edificabile da un privato e costruisce secondo le regole urbanistiche vigenti – operazione legittima, perché agisce entro ciò che la politica ha stabilito e si inserisce nelle regole di mercato.
La vera speculazione si annida altrove: quando è il pubblico a svendere patrimonio collettivo a pochi privati, sempre gli stessi, attraverso accordi di programma costruiti su misura, dove si dovrebbe realizzare un’opera pubblica e invece si confeziona un affare privato.
In questi casi, il privato riceve molto più di quanto restituisce, e il vantaggio economico non nasce dal rischio imprenditoriale, ma dal favore politico. Ed è proprio lì che si consuma il vero scempio.
I forum urbani? Surrogati di democrazia: non elettivi, non rappresentativi, non incisivi. E infatti, scarsamente partecipati.
I comitati? Spuntano come funghi. Nascono perché i quartieri non esistono più, perché il dialogo tra cittadini e istituzioni è stato interrotto. E qualcuno prova a organizzarsi, a contare qualcosa. Ma i comitati non sono quartieri, hanno altra natura, altri strumenti. Contano pochissimo, non hanno potere di controllo sugli atti dell’amministrazione. Possono solo lamentarsi di decisioni già prese. E a volte finiscono ostaggio del protagonismo di chi li guida: personaggi pronti a disturbare i manovratori, sì, ma mai troppo.
Questo è lo spettacolo a cui assistiamo: una città governata da comitati elettorali travestiti da istituzioni, dove le vere priorità – turismo in crisi, sicurezza allo sbando, urbanistica caotica, viabilità insostenibile, servizi pubblici scarsi e costosi – non salgono mai sul palco.
Perché affrontarle non porta consenso, non porta voti, non porta incarichi. E così, a guadagnarci, sono sempre i soliti noti. A perderci, ancora una volta, siamo noi cittadini: spettatori ormai esausti e sfiduciati di una recita che non si sopporta più e che ci costa carissima.
Stefano Casadei
Segratario Provinciale Azione Rimini

 

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