Ingabbiato dalle donne del Pd, Gnaxit scoppia nel pianto greco

Ingabbiato dalle donne del Pd, Gnaxit scoppia nel pianto greco

Il sindaco comunicatore scivola sulla comunicazione. La trappolina era di quelle facili, ma chi immaginava che il sindaco ci avrebbe messo il dito den

Il sindaco comunicatore scivola sulla comunicazione. La trappolina era di quelle facili, ma chi immaginava che il sindaco ci avrebbe messo il dito dentro, anzi tutta la mano? Quando abbiamo innescato la miccia del protocollo contro la pubblicità sessista, tirando in ballo Nadia Rossi, a proposito di “saluti da Rimini”, era chiaro che avrebbe acceso qualche petardo fra le pasionarie del Pd e di quelle più a sinistra, da anni impegnate contro le discriminazioni di genere. Magari non le riminesi, molto guardinghe nell’evitare di andare a sbattere contro lo spigoloso (e anche un po’ permaloso) Andrea Gnassi, che però adesso ci fanno un po’ la figura di quelle che hanno taciuto per fini poco nobili.

Bordate dal partito e fuori. La femminista del Fatto quotidiano, Monica Lanfranco, sul suo blog è stata durissima con Gnassi: “Sicuro, il sindaco under 50 chiaramente nel solco del ‘rinnovamento’, che puntare tutto sulla storica tradizione del ‘puttan tour style’ (si potrebbe dire anche in modo forbito ‘la tradizione dell’amatore vitellone italico di felliniana memoria’, ma sempre di questo si tratta), sia la strada per mostrare il volto colto e moderno di Rimini?”
E sempre lei riporta un’altra bordata che viene da una donna del Pd e che allarga il tiro ben oltre le cartoline: “Promuovere l’immagine di una città puntando su un messaggio così povero e unicamente mercantile mi rattrista. Chi fa politica conosce bene la fatica nel percorso di allontanamento dagli stereotipi maschili e femminili (non a caso hanno usato immagini degli anni 50), i progetti sulla legalità, (prostituzione, tratta, sfruttamento), le iniziative per limitare l’uso dell’alcol tra i giovani. Chi lavora a Rimini nelle forze dell’ordine, o negli ospedali, sa cosa significano (anche, ma non solo) le notti rosa. Mi è preso un grande scoramento. Giudico la scelta di Rimini commercialmente efficace (senza dubbio) ma politicamente irresponsabile”, commenta sulla sua pagina facebook la presidente del Consiglio comunale di Imola, Paola Lanzon”.

Sta di fatto che il sermone contro la cultura sessista e machista, diffuso urbi et orbi dal coordinamento nazionale delle donne Pd, al sindaco ha fatto perdere il self-control (anche perché in questo periodo è sotto pressione su più fronti). A Gnassi puoi dire di tutto ma non che diffonde stereotipi (questa è l’accusa “pesante” che gli hanno rivolte le donne del Pd) e i soliti cliché. Decisamente troppo per uno che si picca di essere l’Innovatore, di avere creato un prima e un dopo (a.G. / d.G.: avanti Gnassi e dopo Gnassi), di avere legato il proprio nome ai concept dei grandi eventi turistici di massa che ora si preparano ad essere esportati dal Veneto alla Puglia.
Ma se decidi di battere certi registri nella comunicazione e sposi lo stile Cattelan, come fai a buttarla sul “programma del Pd per la cultura”, con tanto di citazione dal sito web del partito? Meglio rispondere con dieci piani di morbidezza (Toiletpaper), come ha fatto Cattelan sul Corsera, che invece il registro lo sa seguire fino in fondo, essendo uno che sa interpretare alla perfezione la parte: «Perché ho accettato? Non ce l’ho fatta a resistere alla tentazione di riempire una città di carta igienica!» Oppure: “Ma davvero bisognava svecchiare l’immagine di Rimini con un pene in erezione? Cattelan sorride. «Ma sì, è l’uomo romagnolo che fa, a suo modo, sollevamento pesi. È un’immagine vitale, sì, vitale. Me lo vedo: uno, due, uno, due…». E giù due risate”.
E invece Gnaxit fa il pianto greco davanti alla ramanzina delle donne Pd, intavola argomentazioni che suonano vecchie anche se collocate nelle sezioni del Pci. Scomoda film e autori sacri, la pedagogia emiliana del “non fermarsi all’apparenza” (quando saluti da Rimini è tutta apparenza), addirittura Charlie Hebdo, che significa satira pagata col sangue, qualcosa di diverso da otto caricature della città di Rimini. Una grossa mano a cadere nella trappola gliel’ha data l’avulso assessore alla Cultura della Regione Emilia Romagna, Massimo Mezzetti (non a caso nel polpettone via Facebook di Gnassi, che si può leggere qui sotto, viene citato a discolpa) che scambia l’arte da Toiletpaper per “metafora di una città che sta cambiando”. Mezzetti non è un compagno che sbaglia. Ma che vive su un altro pianeta. Non sa chi sia il pataca, mentre Andrea Gnassi, sindaco di Rimini, dovrebbe saperlo. E se pensa che l’opera di Cattelan equivalga più o meno alla Critica della ragion pura, beh, saluti da Rimini. Su un letto di patate lesse.

Il sermone delle donne Pd

Siamo a luglio e probabilmente il caldo di queste settimane offusca pensieri e ricordi e si dimenticano le tante battaglie fatte per un cultura meno sessista e machista. Dal 1 luglio e fino al 30 settembre resteranno affisse a Rimini gigantografie sei metri per tre che hanno lo scopo di promuovere la città. Le cartoline sono state selezionate dagli archivi  dell’ opera Toiletpaper della coppia Maurizio Cattelan e Pier Paolo Ferrari.  Non vogliamo entrare nella discussione sul valore artistico delle opere di Cattelan, che ci ha abituato all’ironia e alle provocazioni con opere che spesso hanno dato vita a discussioni anche molto accese.
Vorremmo invece che si discutesse della scelta politica di pubblicizzare la città con immagini che rischiano di inciampare nello stereotipo, nel quale gli uomini sono i tipici “vitelloni”, le donne sono oggetti sessuali, le strade luoghi dove perdersi nell’ alcool, cadendo nel facile gioco delle allusioni e degli ammiccamenti. Poiché riteniamo che la vera sfida del nostro tempo sia quello di emanciparsi da questi messaggi, che sono fin troppo dominanti e solleticano, purtroppo, un certo senso comune, la politica dovrebbe esercitarsi nello sforzo  di uscire dagli stereotipi e di proporre ruoli e immagini diversi per donne e uomini. In questi anni abbiamo raggiunto traguardi importanti dall’approvazione della Convenzione di Istanbul, alla Legge regionale dell’Emilia Romagna n 6 del 2014 “Legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere”, ai tanti protocolli sottoscritti dall’Anci nazionale, a quello regionale e persino uno sottoscritto dal comune di Rimini contro immagini lesive della dignità  della donna. Proprio in virtù di questo lavoro e di questo impegno, il Coordinamento Nazionale delle Donne del Partito Democratico che si è riunito a Roma lunedì 6 luglio, non può essere d’accordo sulla modalità  comunicativa scelta, che rischia, pur nell’intenzione di usare l’ironia per rappresentare la città, di alimentare stereotipi antichi, che vorremmo cancellare dalle nostre vite e dalle nostre città. Rimini è una città bellissima, piena di risorse ed opportunità, valorizziamo quello che la città ha da offrire al paese senza scadere nei soliti cliché, perché Rimini è molto più di questo.

 

La replica di Andrea Gnassi

Non devo difendere l’operazione culturale ‘Saluti da Rimini- Cattelan’ perché essa si difende, e bene, da sola. Quello che invece oggi mi interessa è discutere di quello che è il mio partito, il PD. Del ruolo che intende ritagliarsi, delle sua capacità di essere coerenti con il suo ‘mito fondante’. Il Coordinamento nazionale donne del Partito Democratico prende una posizione critica sulla creatività di Maurizio Cattelan e Pierpaolo Ferrari, arrivando a chiedere la rimozione dei manifesti. Dice di non volere entrare nella discussione sul valore artistico delle opere di Cattelan ‘che ci ha abituato all’ironia e alle provocazioni con opere d’arte che spesso hanno dato vita a discussioni anche molto accese’. Censura semmai l’opportunità che un’istituzione promuova questo tipo di arte, arrivando alle estreme conseguenze: cancellate ogni cosa.

La discussione è molto interessante e inedita per questi tempi, visto che invariabilmente di cultura nei partiti (e non solo) si parla pochissimo, anzi nulla. E’ inedita anche per il PD, evidentemente, nonostante storia e radici. E a proposito di ‘caldo che offusca pensieri e ricordi’, è risaputo di come la sinistra, 50 anni fa, si interrogasse e si dividesse pubblicamente sulla natura ‘reazionaria’ o ‘progressista’ de ‘Il Gattopardo’. Ma, piuttosto che spedirlo all’Indice, preferì ‘recuperarlo’ con una sofisticata operazione di divulgazione popolare attraverso la lettura data da un intellettuale come Luchino Visconti. Altri tempi, si dirà. Forse sì, ma stando comunque all’oggi, la vera domanda ‘politica’ di questa situazione è: come si concilia la posizione, legittima ma evidentemente censoria verso quello che è innegabilmente il più famoso artista italiano vivente, con il ‘Programma PD per la Cultura’ che fa orgogliosamente bella mostra di sé sul sito web del partito? Leggiamo le premesse: ‘.La cultura costituisce, prima di tutto, un diritto fondamentale dei cittadini: da questo principio discende la responsabilità pubblica di sostenerne lo sviluppo e la diffusione e, insieme, di garantire a tutti i cittadini l’accesso alla cultura e alla produzione culturale…quello in cultura è un investimento. E il carattere prevalentemente pubblico di questo investimento costituisce la vera garanzia di autonomia del mondo della cultura… e le politiche attive per la cultura e la creatività sono la precondizione per uscire dalla crisi meglio di come ci siamo entrati. L’impegno economico profuso in questi settori in occidente e tra i paesi in via di sviluppo dimostra che la competitività e il benessere collettivo aumentano solo di pari passo alla diffusione della cultura e agli investimenti nell’innovazione.’. Infine ‘La crescita culturale di una società costituisce la premessa indispensabile per rendere più solida, libera e plurale una democrazia. A partire dalla cultura si può ricostruire un’Italia più aperta e più giusta’.

Questo sta scritto nel programma del PD sulla cultura e dunque credo sia legittimo chiedersi cosa abbia a che fare la richiesta di rimozione di opere d’arte in spazi pubblici con l’idea ‘fondante’ che ‘a partire dalla cultura si può ricostruire un’Italia più aperta e più giusta’. Non è una contraddizione questa? La censura, preventiva o successiva, contribuisce forse a costruire un’Italia più aperta e più giusta? Gli stessi ‘difetti’ che il Coordinamento nazionale donne del PD trova in Cattelan- il gioco sugli stereotipi, le allusioni, le ironie- non sono forse i ‘valori’ che dalla notte dei tempi hanno caratterizzato l’arte migliore, e cioè più innovativa, più incidente nella società, ponte dietro cui è venuto un salto culturale collettivo? Quest’idea di scambiare il dibattito con l’aut aut non la trovo in linea né con quello che vuole il PD per l’Italia né con quello che è stata la storia importante della sinistra e delle forze riformatrici europee e italiane che hanno sempre visto, anzi, nella cultura, qualunque fosse il suo livello di espressione o provocazione (pensiamo solo a Pasolini), una leva per portare il Paese a una consapevolezza e a una responsabilizzazione superiore. Peraltro, se volessimo rimanere in un ambito interpretativo ‘serio’, a nessuno dovrebbe sfuggire che Cattelan mette in fila e ‘sbatte in faccia’ in tutta la loro enormità (anche dimensionale) stereotipi proprio per rimarcarne l’ambiguità, l’infiltrazione sociale e la negatività. E ridicolizza perfino i cliché di un machismo ostentato e greve che rispetto a una città che ricostruisce teatri, case del cinema e cultura è ormai una zavorra.

Come non vedere che Rimini, oggi, è una delle città italiane che hanno avuto il coraggio del cambiamento, rompendo steccati, consociativismi e modelli di sviluppo consolidati? Rimini ha detto no il cemento; ha avviato il più importante investimento del Paese per il risanamento fognario e la salute del mare; ha spento motori immobiliari che avrebbero rifatto i lungomari con appartamenti e iper commerciali di segno post dubaista; è in procinto di valorizzare il quadrante urbano del centro storico attraverso un’arena delle arti, il teatro ottocentesco, la casa del cinema di Fellini e la piazza sull’acqua, creando ricchezza e lavoro con un modello di sviluppo alternativo e contrapposto alla speculazione e alla rendita fondiaria. E Cattelan ha percepito il cambiamento di Rimini: non è forse l’arte contemporanea- con le sue allusioni, le sue visioni, le sue metafore, il suo rompere codici consolidati, il suo usare/rovesciare cliché- che sa esprimere il senso della modernità e dunque il senso di una città che cambia?
Si pone l’accento sugli stereotipi per superarli, con un processo tipico utilizzato – e a Rimini dovremmo saperlo bene – dallo stesso Fellini: non è forse vero che in ‘Amarcord’ descrisse un tempo e un luogo che si avvicinavano a un cambiamento radicale, utilizzando proprio i luoghi comuni di un borgo apparentemente immutabile? L’operazione culturale è dunque diametralmente opposta alle critiche di ‘sessismo’ rivoltele, ed è la geometrica rappresentazione di come l’affermazione di diritti (civili, di ogni tipo) cominci nel momento in cui si diffonde la consapevolezza, data dalla conoscenza dei limiti e delle contraddizioni di ciò che sino a ieri abbiamo accettato, purtroppo, come ‘normale e consuetudinario’. Nessuno a sinistra ha giudicato Fellini, Bertolucci o Pasolini dei pornografi dopo ‘La Dolce Vita’, ‘Ultimo tango a Parigi’ e ‘Salò’. Anzi, la sinistra ha sempre opposto il suo corpo contro chi quelle pellicole voleva sequestrare e bruciare. Dobbiamo forse chiedere che nel restauro (avviato anche grazie al Comune di Rimini) di ‘Amarcord’ vengano ‘pecettate’ le scene di nudo, in omaggio a un politicamente corretto che sa molto di un politicamente censorio? Cattelan, e non solo Cattelan naturalmente, può essere l’occasione, anche per il PD, per rianimare una discussione non tanto su cosa sia ma su che ruolo intendiamo ritagliare per la cultura e per quella ‘educazione’ che guarda oltre la superficie delle cose. “Non fermarsi alla prima apparenza” è uno dei principi della pedagogia attiva su cui in Emilia Romagna generazioni di bimbi hanno vissuto le esperienze didattiche avanzatissime sviluppate dal CEIS di Rimini e dalle scuole di Reggio Emilia.
Non si realizza un Paese più aperto e più giusto con la violenza di una censura, basata sullo strato fragile di una superficie. Non lo dice solo il ‘Programma PD sulla Cultura’ (che invito a leggere); lo dice anche una storia che tutti noi, nel nostro piccolo, abbiamo il dovere di non offendere. Sino a pochi mesi fa non ‘eravamo tutti Charlie Hebdo’? E nel frattempo cosa è successo?

Andrea Gnassi

PS: Massimo Mezzetti, assessore alla Cultura della Regione Emilia Romagna, ha scritto la scorsa settimana: ‘Catellan, con le sue provocatorie “cartoline”, è simbolo e metafora di una città che sta cambiando, che si misura con il futuro e con un’idea avanzata di politiche urbanistiche. I documenti dell’Unione Europea, fra i quali il rapporto “Verso una strategia urbana sostenibile”, ribadiscono questi concetti invitando a ripensare i modelli di sviluppo urbano senza dover rinunciare alle culture specifiche dell’architettura e dell’urbanistica ma, al contrario, mettendoli in relazione ai temi della ecologia, del paesaggio e della cultura. Ecco, a Rimini si sta mettendo mano a tutto questo e credo che Catellan l’abbia capito e apprezzato e per questo ha deciso di “mettere a disposizione” la sua arte per Rimini, per accendere i riflettori su questo cambiamento di paradigma che andrebbe studiato e preso ad esempio”. Anche lui è ‘un compagno che sbaglia?

(pubblicato oggi sulla pagina facebook di Andrea Gnassi)

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