E' emerso questa mattina dalla commissione cultura: l'accordo firmato dal vescovo e dal sindaco per il trasferimento temporaneo del timpano di Giovanni da Rimini ha messo nero su bianco che «non saranno esposte nella Sala dell'Arengo opere d'arte contemporanea che siano in contrasto con la sacralità del soggetto religioso» e che anche la prossima giunta che si insedierà dovrà attenersi agli obblighi decisi. Seduta carica di temi e novità: dal trasferimento del Museo degli sguardi a quello che si sta muovendo sul Trecento.
Non ce l’avevano raccontata tutta. Quando l’amministrazione comunale fece circolare i comunicati stampa sul ritorno del “Giudizio universale” all’Arengo (dove fu inizialmente collocato nel 1926), in occasione della inaugurazione del Part, il nuovo Museo di Arte moderna e contemporanea, e parlò dell’accordo con la Diocesi, proprietaria della preziosa opera di Giovanni da Rimini, spiegò solo due cose: la temporaneità del prestito (18 mesi) e il ritorno del timpano all’interno del Museo della città con una collocazione in grado di «dare un nuovo risalto a quel periodo luminoso per la storia dell’arte che è il Trecento Riminese» con la creazione di una apposita sezione «scientificamente accurata e pregiata negli allestimenti» (qui).
Ma grazie alla commissione cultura convocata questa mattina dal presidente Davide Frisoni, è emerso ben altro.
La Diocesi per dare l’assenso al trasferimento momentaneo del “Giudizio universale” ha posto altri due paletti sostanziali: «Il Comune si impegna formalmente a garantire tramite gli uffici dell’assessorato alla Cultura, in accordo con la Diocesi di Rimini, tramite la commissione diocesana per l’arte sacra ed i beni culturali ecclesiastici, che non saranno esposte nella Sala dell’Arengo, durante i 18 mesi (…), opere d’arte contemporanea che siano in contrasto con la sacralità del soggetto religioso del timpano del Giudizio Universale di Giovanni da Rimini». Ed ha ulteriormente chiarito: «Il timpano del Giudizio Universale di Giovanni da Rimini verrà esposto in modo tale che nella corrispondente parete frontale della Sala dell’Arengo, nella cui parte bassa è stata opportunamente prevista una lunga seduta per i visitatori, non vi siano esposte opere d’arte contemporanea, con lo scopo di realizzare così uno “spazio compartimentato” in grado di garantire quell’isolamento necessario per una più mirata fruizione dell’opera in oggetto».
Non solo. L’accordo si chiude con una ipoteca che grava anche sulla prossima amministrazione comunale: «Il Comune di Rimini, attraverso i propri uffici, garantirà l’adempimento degli obblighi assunti con il presente accordo, anche in epoca successiva al rinnovo delle cariche elettive».
L’accordo è stato sottoscritto dal sindaco e dal vescovo, mons. Lambiasi, ma per quanto riguarda palazzo Garampi anche il successore di Andrea Gnassi dovrà obbedire, qualunque possa essere la sua (e della nuova amministrazione comunale) idea al riguardo.
A sventolare questo documento ci ha pensato Davide Frisoni in commissione, abbastanza scandalizzato perché, ha detto, «questo non è un buon contratto» e se la giunta avesse avuto la bontà di condividerlo con tutti gli amministratori di maggioranza e minoranza, «si sarebbe potuto evitare di cadere in errore, ma anche in questo caso è mancato un percorso condiviso». Critiche, da parte dell’ex esponente di Patto civico, che ha abbandonato la maggioranza ormai da tempo, alle fondamenta delle richieste formalizzate dalla Diocesi: «sbagliato escludere il rapporto fra il Giudizio universale e l’arte contemporanea, come se la contemporaneità fosse una offesa all’arte sacra», anche perché il Part «era nato per mettere in relazione l’antico e il contemporaneo, anche se poi questa idea è stata tradita».
L’assessore alla cultura Giampiero Piscaglia ha negato che il Part abbia mai previsto, nemmeno nel concept originario, il rapporto fra antico e contemporaneo. Ma molto interessanti sono state le sue parole sul tema: «Portare il Giudizio universale nell’Arengo ce lo siamo dovuti conquistare perché c’erano tante forze e persone autorevoli che si opponevano allo spostamento, sia dall’interno della vecchia gestione del museo che all’interno della commissione ecclesiastica». Quello che adesso viene a galla ufficialmente, dunque, conferma le voci che erano circolate, e cioè che l’operazione Giudizio universale nel Part, seppure in via temporanea, è stata una sorta di forzatura (voluta in primis dal sindaco), poco gradita prima di tutto dalla Diocesi stessa.
Piscaglia ha anche difeso la convenzione con la Diocesi, perché – ha detto – «il Giudizio universale appartiene alla Diocesi, ma l’accordo non condiziona la nostra autonomia gestionale, nulla di invasivo».
E’ stato solo il primo colpo di scena della mattinata. L’assessore Piscaglia ha riferito che la commissione consultiva istituita dalla giunta comunale per affrontare il tema della riorganizzazione dei musei della città, ha già perso il suo più autorevole (considerata la materia) componente. Ecco le parole dell’assessore: «E’ uscito il prof. Giulio Zavatta quando abbiamo deciso di fermarci a discutere sul Trecento riminese, ritenendola una modalità non organica di affrontare l’argomento musei». Grave perdita, ha commentato Frisoni, perché il prof. Zavatta «è docente universitario con competenza specifica in musealizzazione e museografia». E «concepire una piccola area sul Trecento al di fuori di un progetto globale del museo è un errore gravissimo che metterà in difficoltà tutto il prossimo progetto che andrà fatto sul museo stesso».
La scelta di dedicarsi al Trecento, ha aggiunto Piscaglia, è nata dalla opportunità di «intercettare un finanziamento del Mibac di circa 250mila euro. Siccome va rendicontato in tempi abbastanza rapidi abbiamo deciso di fermarci a riflettere su come rivedere l’allestimento del Trecento».
Altre rivelazioni, che si apprendono solo quando la minoranza «costringe» la giunta a scoprire le carte in occasione delle commissioni consiliari.
La prima. Il Museo degli sguardi, chiuso da tempo pur vantando un patrimonio prezioso (costato al Comune di Rimini circa 250 milioni di lire quando negli anni 70 e 80 acquistò dal conte Dinz Rialto tutta la collezione), verrà trasferito – a breve – nel centro storico, in una «collocazione che stiamo valutando in questi giorni, andando ad arricchire il polo museale che si sta formando. Non sarà un trasloco puro e semplice, ma il frutto di uno studio e di un nuovo progetto».
Filippo Zilli non l’ha presa bene: «Mi dispiace che Covignano, ormai alla stregua di una periferia molto abbandonata, perda un eccellenza come il Museo degli sguardi. Mi dispiace anche che villa Alvarado, che lo ospita, dopo gli investimenti fatti venga abbandonata. In quel luogo un turista poteva godere di tre cose: la visita al museo, il Santuario delle Grazie e il bellissimo panorama che si può godere da Covignano».
Da Zilli è venuta anche la richiesta di dotare finalmente il museo, il Galli e la Gambalunga, dei rispettivi direttori. «L’annuncio degli ultimi giorni su Rimini capitale della cultura 2024 richiede una seria riflessione su quello che la nostra città ha, ha fatto e dovrebbe fare. Siamo tutti consci che non basta un elenco di monumenti per diventare la capitale della cultura italiana. Pochi giorni fa è stata istituita la “consulta della bicicletta”, io propongo all’assessore di interessarsi per creare una consulta della cultura nella quale possa partecipare la componente civica, quella politica e chiunque sia interessato. Uno strumento di dialogo e confronto vero per non trovarci più davanti a decisioni già prese senza poterne discuterne, com’è avvenuto per il Part».
Per i poli museali Piscaglia ha tratteggiato un approccio “project management”, con «uno studio che preveda dei piani economico-finanziari di ognuno di questi spazi, ne soppesi le potenzialità, i costi e riesca a metterli a sistema. Una figura che poi dovrà rimanere a coordinare dal punto di vista manageriale l’insieme degli spazi facendoli funzionare come sistema. L’approccio manageriale non esclude che ognuno di questi poli possa avere una sua direzione artistica e scientifica».
Al rilievo fatto da diversi esponenti della minoranza sulla eccessiva fellinizzazzione della impronta culturale e museale impartita dal sindaco Gnassi, l’assessore ha negato che «da parte di questa amministrazione ci sia stata una sopravvalutazione del 900 felliniano e una sottovalutazione di tutto il resto, piuttosto è vero il contrario, ma la percezione dei grandi mezzi di comunicazione e dell’industria culturale ha dei suoi percorsi e purtroppo o per fortuna non sono governabili da parte nostra». Sta di fatto che il centro storico sarà tutto all’insegna di Fellini: dal Fulgor al Castello passando per piazza Malatesta.
Gioenzo Renzi: «Senza voler togliere nulla a Fellini, mi sembra eccessiva questa strumentalizzazione della sua figura con la sovraesposizione del museo Fellini, perché la nostra identità cittadina è molto più forte nei richiami al periodo romano e malatestiano».
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