L'opera creata da Filogenio Fabbri appartiene al Comune di Rimini, che continua a non prendersene cura. Ma nel frattempo il bagnino "pittore" lavora di pennellessa.
Non meno di dieci giornali locali che pubblicano “in rete”, il 4 settembre del 2019 escono con questa notizia copia–incolla, “urbi et orbi”: “Un Tritone adagiato su una conchiglia da sempre simbolo di Viserba accoglierà tra breve riminesi e turisti all’ingresso della località”. Il comunicato continua specificando che “L’annuncio è della Giunta comunale, che ha infatti deciso nell’ultima seduta di accettare, così come prevede il regolamento, la donazione del Comitato Turistico di Viserba di una struttura di arredo da porre all’ingresso stradale percorrendo la via Beltramini da monte verso mare. Un’opera che ha lo scopo di rafforzare l’identità del luogo identificando la località con il simbolo che caratterizza la fontana della conchiglia realizzata dallo scultore Filogenio Fabbri che identifica Viserba e il suo legame con il mare e il mondo delle acque”. […].
È quindi assodato che la conchiglia e il tritone sono i simboli della “Regina delle acque”. Peccato che l’ultimo ad essere interessato a rafforzare l’identità luogo/simbolo pare essere il Comune di Rimini.
Dico questo per elementare deduzione e la cosa farebbe sollevare il sopracciglio destro del leggendario dottor Watson poiché se ci fosse autentica volontà di farlo, in primo luogo il Comune non lascerebbe l’opera di Filogenio Fabbri priva di un restauro oltremodo necessario e in seconda battuta, non abbandonerebbe il monumento in balìa di un bagnino, preda dell’incontenibile smania “pittatoria” di cui dirò tra breve.
È tanto vero che il tritone e la conchiglia rappresentano l’emblema di Viserba che l’architetto Pier Luigi Sammarini, la collega Francesca Perazzini e il designer Nicola Sammarini li hanno usati come logo identificativo (di cui sono gli autori) che campeggia gagliardo sulla rotonda più sopra descritta. Pier Luigi Sammarini (presidente dell’associazione culturale Ippocampo Viserba) mi ha pure fornito alcune immagini che mostrano una danza di tritoni dipinti nel sottocornicione lungo l’intero perimetro del villino Carolina (poi Lombardini) di via Dati a Viserba. L’abitazione era esistente (1907) ancor prima che Filogenio Fabbri realizzasse il felice connubio scultoreo tra una valva e la mitologica creatura marina, posto a fianco dell’Hotel Lido, uno dei rari alberghi rimasti, in stile liberty.
I proprietari dell’albergo, naturalmente, sono tra i primi che vorrebbero si rimettesse in ordine il manufatto.
Per chi proviene da viale Roma, attraversata la carreggiata di via Dati, la fontanina del 1930 sembra sancire una linea di demarcazione tra caos, auto, cemento, e la visione della spiaggia, nobilitata, nelle belle giornate, dall’azzurro del mare e del cielo. Dato che parliamo di colori, emerge solida la mia certezza sulla scarsa attenzione del Comune di Rimini nei confronti della fontana e sul fatto che un bagnino non debba sostituirsi alle Istituzioni e viceversa. O almeno, così dovrebbe essere. Ovvietà questa, smentita dai fatti.
Il retro della miseranda fontana negli ultimi anni ha subìto almeno tre colorazioni del tutto arbitrarie e fuori luogo: prima azzurro, poi color cacca di piccione e infine di nuovo l’azzurro. E non si parla di periodi picassiani, anzi. Chiedo vènia per la denominazione del colore relativo al periodo mediano, ma non saprei come definire altrimenti quella tinta. Ho un valido motivo per affermare che prima di quel particolare “momento” la pittura fosse uguale a quella odierna perché il proprietario del bagno, ora rientrato in possesso della zona di spiaggia, l’aveva data in gestione ad altri.
In una foto da me scattata al tempo del primo articolo, si nota una precedente mano di azzurro in una porzione non vista o trascurata dallo “spennellatore”, in quella circostanza, l’affittuario. Con tutto il rispetto che va riconosciuto alla categoria degli operatori di spiaggia, un po’ meno al loro senso artistico, lascerei ad altri la manutenzione di una scultura storica, per di più peculiare caratteristica del luogo che fra la fine dell’800 e i primi del ‘900 ha preso vita proprio grazie alle sorgenti che qui sgorgavano ovunque. È evidente che in qualche modo il bagnino si sia voluto rendere utile e per questo va giustificato e scusato, ma lo stesso non si può dire di chi, avendo per mano le leve dei comandi, non ha saputo o voluto adoperarle come sarebbe stato suo dovere fare.
Guarda caso, ma premetto che sono molto sfortunato e capitano solo a me, durante le mie recenti escursioni fotografiche, in un’occasione ho trovato la fontana completamente oscurata da un camioncino/bar e in un’altra l’ho vista adoperata come supporto per strumenti musicali e birra. Il fermento attorno all’arte è sempre spumeggiante e una birra, si sa, allunga la vita. Slogan a parte, Viserba, anche attraverso il nostro giornale, chiede che la novantunenne opera di Filogenio Fabbri venga finalmente restaurata, ma i viserbesi più attenti sapranno che i segnali provenienti dall’Amministrazione riminese sono poco confortanti.
Inutile ricordare che recentemente molti fondi pubblici locali sono confluiti nel fiume di denaro servito per realizzare il “sogno” gnassiano di piazza Malatesta, degradata a circo Barnum-felliniano, una costosa ciofeca che più sballata di così non l’avrebbe strologata nemmeno lo “zio pataca” di Amarcord. Purtroppo, anziché convogliare risorse economiche verso beni esistenti che necessitano restauri o manutenzioni (ce ne sono diversi, segnalati su queste pagine) il “Principe visionario” di Rimini non è arretrato su nulla, se non sull’installazione che idealmente avrebbe voluto richiamare la prua della nave Rex di felliniana memoria, davanti al Castello Malatestiano. La misura evidentemente era colma e “qualcuno” deve aver consigliato di rinunciare almeno a quella bella pensata, poi soppressa. La “piscolla d’acqua”, come la chiamano a Rimini è stata invece realizzata. E come recita una nota “governativa” contro alcune critiche sollevate, “Quella fontana altro non è che una lama d’acqua che sottolinea il fossato e ha una nebulizzazione. Come i migliori interventi di riqualificazione urbana in Europa crea socialità, sono luoghi di memoria ma anche di vita e che possono permettere di imparare tramite l’esperienza”. […] “C’erano i parcheggi e asfalto, oggi corre acqua e bambini che si divertono”. In chiusura la replica sostiene che “la sovrintendenza (Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini; ndr) ha approvato e visionato tutte le fasi del progetto”. Ne siamo lusingati. Ciò detto, per restare in alveo nautico, per l’inelegante trovata dell’opaca spanna d’acqua davanti a castel Sismondo, personalmente userei le stesse tre parole che Paolo Villaggio adoperò nel “Secondo tragico Fantozzi” per definire il film “La corazzata Potëmkin”. Sì, proprio quelle tre parole.
Sono sicuro che i viserbesi si sarebbero accontentati della vecchia, cara fontanella rimessa in sesto con esborsi qualche migliaio di volte inferiori, uno sputo nell’oceano rispetto all’onerosa realizzazione circense, pessimo simulacro dell’antico fossato cementato. Se dunque l’andazzo è questo, in attesa che il Principe si accorga anche dei viserbesi, ma non so se sarebbe un bene, suggerirei loro di pittare l’antica fontana ricorrendo al multicolore. Una mano di pennellessa non si nega a nessuno e farebbe anche molto “Arlecchino con chitarra” di Picasso del 1918 (periodo neoclassico). Si rimarrebbe così aggrappati al tema conduttore. E forse l’approverebbero anche in alto loco…
COMMENTI