La lettera: “Cosa si muove nei sotterranei del mondo economico riminese?”

La lettera: “Cosa si muove nei sotterranei del mondo economico riminese?”

"Il compagno Errani ha fatto molto per il turismo, ma ha anche messo in circolo un virus mortale". Pubblichiamo l'intervento di un attento osservatore di cose riminesi che sferza su diversi temi: le mirabilia del principino, il turismo, il consociativismo, l'attivismo confindustriale, le elezioni del 2021.

Scrivo a voi di Riminiduepuntozero perché siete, seppure su posizioni “politiche” diverse dalle mie, l’unico spazio informativo che non mette il cervello all’ammasso e su alcuni temi importanti svolgete approfondimenti interessanti, che permettono di capire qualcosa di quel che sta succedendo a Rimini. E’ giornalismo pubblicare comunicati a raffica, che spesso contengono simil fake news, senza il minimo sforzo critico di comprensione rispetto a quel che enti diversi decidono di comunicare? A mio modesto parere no: l’80 per cento delle notizie che si leggono sui due quotidiani e sui tanti siti locali, non meriterebbero più di quattro righe, invece prendono la scena e fanno apparire giganti dei nanetti insignificanti.

Ho letto nelle scorse settimane che l’attrazione dei turisti di Rimini sarebbe diventata quella di farsi i selfie in piazzale Kennedy: capisco che si debbano trovare contenuti per incensare il principino, ma così si rischia il ridicolo. Ho letto, come ogni estate da diversi anni a questa parte, i numeri in libertà sulla Notte rosa (forse l’evento più costoso a livello italiano), cioè 2 milioni di presenze e un indotto di 200mila euro, ma nessuno che (fra le categorie economiche o l’amministrazione comunale) abbia ancora deciso di monitorare questi eventi per capire concretamente che tipo di presenze portino in riviera. Ho letto di un sindaco che gonfia il petto perché col Jova Beach Party Rimini è diventata “l’ombelico della vacanza italiana”: si capisce il gioco da paroliere della politica, ma non si capisce nient’altro, perché di ombelichi analoghi in questa estate l’Italia ne ha avuti mi pare 17, tante sono le date di Jovanotti. Ho letto dello stesso sindaco che commentando l’acquitrino algale in cui si trasformò il nostro mare nell’estate dell’89, ha sostenuto che “abbiamo capito che dovevamo investire sul mare”, ma se la matematica non è un’opinione ci hanno messo una trentina d’anni a capirlo ed è stata necessaria la truppa dei “basta merda in mare” per far decidere i pubblici amministratori a porre mano al tema delle fogne che scaricano i liquami fra i bagnanti ignari. Trent’anni sono un secolo nel turismo del duemila, visto che nel frattempo sono diventate giganti della vacanza destinazioni straniere a noi concorrenti. Si potrebbe continuare all’infinito. Ma mi pare di leggere che solo un navigato esperto di turismo a Rimini vada ripetendo, come colui che grida nel deserto, il ritornello di una destinazione che sotto la cipria mostra rughe profonde, e che costui passi da rompiscatole più che da illuminato.

Far finta di essere sani, turisticamente parlando, non paga. E se anche i dieci anni seguiti alla stagione del sindaco oncologo rischiano di chiudersi senza che la città degli alberghi sia riuscita a disincagliarsi, significa che Rimini ha un problema.

Il compagno Errani ha fatto molto per il turismo, ma ha anche messo in circolo un virus mortale (più pericoloso dei no vax): il consociativismo fra politica e associazioni di categoria. A Rimini questo frutto è maturato meglio che altrove, e qualche sociologo farebbe bene ad occuparsene per studiarne le ragioni. Il risultato però è lampante: l’ammucchiata non ha giovato al turismo. Oggi le categorie economiche sono meno libere che in passato di esercitare il loro ruolo, non hanno praticamente nessun potere decisionale se non quello di obbedire al sindaco (più qualche poltrona e servizio da gestire), non svolgono quel compito sussidiario nello spazio pubblico senza il quale una città perde qualcosa di fondamentale.

Si fa tanto parlare delle elezioni amministrative del 2021 ma siccome per lavoro viaggio e intrattengo relazioni, ascolto e parlo con tanti interlocutori, posso dire che Rimini sarà condannata a muoversi sugli stessi binari dell’era consociativa se le associazioni di categoria non decideranno di uscire dal recinto nel quale le ha confinate Vasco Errani. A mio modesto parere nel 2021 dovrebbe nascere un soggetto civico-politico portatore di un progetto opposto a quello coagulato da Pizzolante-Gobbi-Fabbri, che sostanzialmente si è mosso nel solco della “filosofia” Errani. Ma ad oggi mi sembra un’utopia. Però sarà utile ricordare con Seneca che “senza un avversario la virtù marcisce”.

Cosa si muove nei sotterranei del mondo economico riminese? La recente nomina in Uni.Rimini dice di un asse forte fra mondo confindustriale e politica targata Pd. Paolo Maggioli dà l’impressione di lavorare con impegno ma non tanto per una sua diretta discesa in campo: chi glielo fa fare quando può comandare senza candidarsi? Manlio Maggioli ha fatto la stessa cosa: quante volte si è letto di una sua discesa in campo col centrodestra? Le solite favole riminesi. Mentre rilasciava qualche dichiarazione contropelo, gestiva, grazie al Pd, la Camera di commercio. Ma Paolo Maggioli tenta il salto di qualità. Il suo piano per la “Città Romagna” ha tutta l’aria di un soggetto strategico che guarda all’economia per creare una rete che peschi a più livelli, compresa la politica. Da quello che capisco, il proclama per la Romagna col quale sta tentando di coinvolgere tutti, è anche un manifesto politico che si occupa di tutto lo scibile: Asl, università, lavoro, legalità, appalti, trasporti, turismo, eccetera. A quale titolo si è imbarcato in questa avventura? Perché si è sentito in dovere di svolgere questo ruolo? Perché ha deciso anche di mettere le mani sulla ex Voce di Romagna? Mi dicono che uno dei temi sui quali il manifesto d’intenti fa leva sia quello della necessità di superare gli interessi di parte e i campanilismi. Guardatevi da chi non conosce il cuore dell’uomo. Gli interessi di parte sono come il peccato originale e chi si propone di sradicarli è come colui che pensa che Adamo ed Eva abbiano mangiato la mela per fare una merenda vegana.

Rimini deve risorgere, ma non potrà farlo poggiando sui soliti poteri. Rimini dovrebbe imparare a fare i conti col passato, ad elaborare il lutto dei suoi recenti e fragorosi fallimenti: dall’aeroporto a banca Carim. Capire cosa non ha funzionato e perché. Perché in quei due fallimenti si può leggere l’insostenibile leggerezza di questa splendida Rimini.

Non mi firmo perché: non serve a niente mettersi in mostra; abito in una città piena di brava gente ma anche con qualche cattivo soggetto, un po’ vendicativo. Sono James Bond, a servizio di Sua Maestà la Regina dell’Adriatico.

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