Negli anni '70 il fior fiore degli architetti e degli ingegneri insieme ai politici di allora, (o di oggi?) decisero che bisognava erigere un bacino e delle banchine portuali. E si sa cosa accadde. Oggi lo trattiamo come un soprammobile.
Ricordo che negli anni ’60 (e quando si ricorda così lontano si è vecchi!) quando ero bambino, passavo sul Ponte di Tiberio e sotto vi era un piccolo fiumiciattolo con intorno canne, arbusti, “ammazzagatti” e da sotto terra spuntava un tubo di ferro che noi bambini immaginavamo essere un cannone della Seconda Guerra Mondiale. La fantasia galoppava!
Qualche ragazzino, impavido e sparviero, osava anche camminare sul cornicione esterno del Ponte per far colpo sulle ragazzine che rimanevano colpite da tanto coraggio! Non solo: il nostro gioco preferito era camminare sui marciapiedi rialzati e far scendere quelli che incrociavamo nel senso opposto; qualcuno mimava anche di far pipì dagli orinatoi del Ponte… come antichi Romani.
Non era ancora stato realizzato il Parco Marecchia e noi bambini, che abitavamo nella zona a monte di Via XXIII Settembre, dove c’era il distributore del gas e lo strammazzo sul deviatore, diventavamo piccoli esploratori e ci avventuravamo nel greto del fiume fino a raggiungere a piedi il Ponte di Tiberio, mentre sul lato opposto vedevamo i cavalli di pietra della fontana dei Quattro Cavalli che giacevano in mezzo alle erbacce.
Poi negli anni ’70 successe qualcosa. Fior fiore di architetti ed ingegneri con i politici di allora, (o di oggi?) decisero che bisognava erigere un bacino e delle banchine portuali fin quasi sotto il nostro amatissimo Ponte. Opera di altissima ingegneria idraulica che realizzava gli approdi per le “barchette dei poveri” al di qua del Ponte della Resistenza. E’ lì che vidi con stupore che gli alberi di una barchetta potevano essere ripiegati per passare sotto il Ponte della Resistenza che diventava lo spartiacque naturale tra i “riminesi ricchi” (a mare) e i “riminesi poveri” a monte del Ponte sotto al quale devi abbassare la testa per transitare, quasi a rendere omaggio ai prestigiosi navigli con gli alberi maestri svettanti al cielo. Come dire: “anche la miseria vuole il suo sfogo!”.
L’opera però che più colpiva l’immaginazione era la diga in ferro, (quasi un piccolo Mose di Venezia in miniatura) che impediva all’acqua del mare di giungere a bagnare i piloni del Ponte di Tiberio, nel rispetto dei suoi 2000 anni passati tra le fresche, e non salate, acque del Marecchia nelle quali le donne del Borgo S.Giuliano lavavano i panni per stenderli al sole sui rovi del fiume.
Ad un certo punto però la diga ha ceduto, opera di alto ingegno ma di fragile struttura, che non aveva retto al frangere dell’onda.
Ceduta la diga l’acqua del mare si riversò sotto il Ponte che non era certo avvezzo a tanto umido, anche perché il Marecchia, tolte le sfuriate delle piene centenarie, Lui lo conosceva bene come fiume (o quasi torrente che dir si voglia) e più di tanto non gli dava problemi.
Ma si sa, noi riminesi non ci facciamo mancare nulla, anzi abbiamo accolto l’acqua di mare come una manna dal cielo, soprattutto perché copriva le vergogne in cemento armato che erano state realizzate sotto il Ponte; era stata pensata persino una vasca per i tuffi con tanto di trampolino, e la salvifica acqua di mare ha coperto tutto lo scempio regalandoci un invaso di acqua stagnante e maleodorante. Beati noi!
Adesso al Ponte però non gli facciamo di nuovo mancare nulla, gli diamo lustro e lo trattiamo come un soprammobile (un po’ grande devo dire!) da guardare da vicino per scoprire le rughe dei secoli e stupirci ancora che sia lì da 2000 anni a testimoniare che i ponti devono fare i ponti e non le belle statuine.
Vincenzo Mirra
Fotografia: uno scatto di Gianluca Moretti che rende ragione della immutabile e imponente bellezza del ponte di Tiberio
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