Un giovane regista con la passione per la storia della Romagna e il genere fantasy, l'incontro con Oreste Delucca e la sua ricerca sul drago di Belverde di Rimini. Nasce così il docufilm atteso nel 2020. Dal sapore malatestiano.
Il riminese Marco Gentili ha trent’anni e da sette, di mestiere, fa il regista cinematografico. Oltre alla macchina da presa coltiva tre grandi passioni: la storia medievale, la cavalleria e la pésca sportiva. Di quest’ultima, una decina di anni fa posta alcuni video su You Tube. Vengono notati. Lo contatta un canale tematico di Sky che tratta quell’argomento specifico. Gli propongono una collaborazione come documentarista. Accetta, fa esperienza e gira l’Europa per circa un anno e mezzo con la troupe della famosa piattaforma televisiva. Poi però, come una lama affilata, una frase trafigge il sodalizio: “Devi cominciare a girare filmati che piacciano un po’ a tutti”. Quelle parole sono una gabbia insopportabile per uno spirito libero che persegue con caparbietà le proprie scelte registiche. La forza delle idee prevalgono sull’interesse economico. È evidente che il carattere non manca. Si mette in proprio, comincia i primi lavori da “free lance” con riprese per aziende, spot video-musicali, cortometraggi. Ma non gli basta. Non è soddisfatto. Vuole traguardare un orizzonte più ampio. Quello del cinema. Ci prova, i primi tempi sono tosti, “nuotare tra i branchi di squali di quell’ambiente non è facile”, dice, ma vuole tentare. Con decise bracciate approda alle congeniali rive del cinema indipendente. Il film “Draconis: la storia del Drago di Rimini”, da lui diretto e che sta per uscire, distribuito nelle sale cinematografiche, fa parte di questa scuola di pensiero che riconosce totale libertà espressiva al regista. Comunque sia, già il titolo, attiva le golose ghiandole della fantasia.
Come nasce l’idea di girare questo film?
«Ho tenuto fortemente di realizzare “Draconis” perché fin da bambino ho una viscerale propensione per il genere Storico-Fantasy. In estrema sintesi, e per capirci, mi riferisco a pellicole tipo Dragonheart (lavoro del 1996 diretto da Rob Cohen, ndr). Sono un amante della storia; in particolare di quella della Romagna. Durante una conferenza di Oreste Delucca (storico e ricercatore riminese, ndr) ho appreso che nella mia città è esistito un drago. Può immaginare come mi sia sentito: tra l’emozionato e lo scosso, se non addirittura imprigionato in entrambi gli stati d’animo. È riesploso il bambino che è in me. Ho cominciato a cercare informazioni e pareri presso vari addetti ai lavori dell’ambiente cinematografico, riguardo al mondo dei “draghi”. Sono arrivato alla conclusione che il drago è talmente conosciuto e presente nelle culture di tutti i paesi del globo che ovunque lo avessi collocato, avendo esso il dono dell’universalità, non avrei potuto sbagliare. L’argomento è così popolare e planetario che fin dalla base ha un grande “appeal”. Sono stato molto felice di affrontare questo progetto grazie all’autorevole consulenza scientifica di uno studioso come Oreste Delucca».
Il drago incarna la sublimazione delle paure che l’uomo, da sempre, si crea per esorcizzare il male?
«Come scritto nel libro “Il Drago di Belverde a Rimini” (O. Delucca, Bookstones Ed., 2014; ndr), pur essendo il “dracon” presente nella civiltà occidentale così come in quella orientale, nella prima lo si rappresenta come essere malvagio che incombe sull’umanità, mentre nell’altra è figura estremamente positiva portatrice di potenza, saggezza e fortuna. A Rimini non sono in molti a conoscere la storia del drago e della foresta paludosa di Belverde. Questo non ha fatto che aumentare in me la spinta a realizzare un docufilm che trattasse non solo l’aspetto squisitamente esoterico, ma anche quello storico e scientifico della materia».
Dopo la “folgorazione sulla via di Belverde”, quali sono stati i primi passi?
«Dopo ricerche su ricerche mi è venuto in mente un caro amico di Cesena, Lorenzo Rossi, che si occupa di una disciplina scientifica relativamente nuova: la criptozoologia. Il termine è coniato nel ’55 da chi ne viene considerato il padre, vale a dire il naturalista belga Bernard Heuvelmans. Questa branca della zoologia si occupa di animali misteriosi che si conoscono solo attraverso informazioni indiziarie oppure di cui la scienza non si è mai occupata. Lorenzo è venuto a trovarmi, abbiamo parlato a lungo. Dai suoi racconti sono scaturite oltre centodieci storie di creature mitico-leggendarie, serpenti alati e draghi provenienti da ogni parte d’Italia».
Per esempio?
«C’è il Draco bononiensis (di Bologna), quello di Rimini, di Napoli, di Palermo o quello di Milano che nell’emblema della casata nobiliare dei Visconti ha il biscione che ingoia un fanciullo, e molti altri draghi ancora. Come dicevo, di queste creature ne è piena la letteratura di tutto il Bel Paese. Se poi prendiamo in considerazione l’estero con nazioni come la Gran Bretagna, la Francia, la Germania che ne hanno una solida tradizione o i Paesi Nordici con Fáfnir, il drago che custodiva l’anello dei Nibelunghi o riavvicinandoci all’Italia, a Lubiana in Slovenia, il terribile drago Lindwurm che viveva nelle paludi e si nutriva di mucche e di giovani ragazze, non la finiamo più. Di Giappone e Cina non sto neanche a dire perché occorrerebbero ore. Fino alla conquista degli spagnoli, in quasi tutto il territorio mesoamericano veneravano il “serpente piumato”. Nelle culture mondiali i draghi sono una presenza costante. Dunque capirà che il terreno di ricerca è fertile e sconfinato. Per il momento mi dedico esclusivamente al mostro di Belverde, ma in futuro tornerò sicuramente su questo avvincente argomento».
Anche la piccola frazione di Belverde (o Belvedere), così come il drago, non è molto conosciuta…
«Sono convinto che il film sarà un modo per stimolare nelle persone la curiosità e l’interesse verso un animale leggendario, e due misteri almeno, che tuttora ne avvolgono le sorti. Ci sono cronache del tempo che ne parlano. E quanto alla piccola porzione di territorio conosciuta come Belverde, era una selva in parte paludosa in cui si nascondeva il serpente (o dragone) che nel medioevo terrorizzava la popolazione locale. Ci sono molti aspetti curiosi, taluni spiegabili, altri meno, attorno alla vicenda che coinvolge alcuni soldati al servizio dei Malatesta, una piccola chiesa, anzi due, una scrofa e un branco di maiali, una teca con alcuni ossi del drago che spariscono misteriosamente dopo la seconda guerra mondiale, carte e documenti d’archivio che a tratti schizzano lampi di luce sulla trama del film/documentario».
Con tutti questi particolari presentati senza spiegare più di tanto, sta tentando di incuriosire i lettori?
«La risposta esige un vigoroso “sì”. Vorrei coinvolgere i miei concittadini e non solo loro, nell’enigmatico fascino di una vicenda che risale a mille anni fa. Grazie all’assistenza di consulenti qualificati, quattro relatori accademici che svilupperanno altrettanti temi e varie prove documentali sulla saga del drago di Rimini, il film porterà agli spettatori elementi di sicuro interesse, comprese l’iconografia artistica e l’araldica.
Tra i temi principali il primo piano è per il drago di Belverde, ma si spazierà a considerare l’ampia letteratura riguardo al mito universale dei draghi, per esempio da quelli dell’antica Grecia, per arrivare a quelli di culture molto lontane dalla nostra. Un altro argomento basilare sono i Malatesta, signori di Rimini nonché la Romagna, territorio cardine, elemento di mio particolare interesse».
Nel trattato “De re militari” dedicato a Sigismondo Malatesta dall’umanista Roberto Valturio, compare il famoso disegno della “macchina d’assedio in forma di drago alato” attribuito a uno degli artisti di corte, Matteo de’ Pasti. Il drago che sputa fuoco riporta una volta ancora al tema da cui muove il documentario.
I Malatesta sono a buon titolo coprotagonisti del documentario. Però, non vorrei svelare troppo di come si sviluppa la trama narrativa, quindi mi fermo qui…
A proposito di territorio, le scene sono state girate nelle zone di azione del serpente/drago, vero?
«Le riprese sono state effettuate entro i confini della Romagna. A tal proposito, attraverso il vostro giornale mi preme ringraziare pubblicamente il sindaco di Novafeltria, Signor Stefano Zanchini, presidente dell’Unione Comuni dell’Alta Valmarecchia e il Sindaco di Montescudo e Montecolombo, Signora Elena Castellari, presidente dell’Unione Comuni della Valconca, che con grande slancio e cortesia hanno patrocinato il nostro progetto».
Quando è prevista l’uscita del lavoro?
«Al momento posso solo dire che la distribuzione è prevista nel corso del 2020. Dobbiamo ancora decidere in quale mese. Anche nel nostro interesse, appena avremo una data certa, sarà nostra premura farvelo sapere».
Dopo avere approfondito la materia, alla fine, un’idea sul drago di Belverde se la sarà fatta.
«I draghi come si intendono nell’immaginario popolare, grandi rettili con enormi ali di pipistrello, zampe artigliate e bocche che sputano fuoco ahimè, non esistono. Però, nonostante tutto continuerò a sognare di incontrarne uno. Ma le assicuro che i draghi non esistono. Giuro che non esistono. Anche se forse…»
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