L’Emilia Romagna è più povera: la propaganda di Bonaccini e la realtà

L’Emilia Romagna è più povera: la propaganda di Bonaccini e la realtà

"Emilia Romagna un passo avanti" è lo slogan del governatore uscente. Avanti su cosa e rispetto a chi? Il commercio al dettaglio vive una crisi gigantesca. L'occupazione cresce ma soprattutto grazie al lavoro a tempo determinato. La ricchezza netta pro capite è in calo. La cassa integrazione è schizzata da 543.943 a 1.999.889 ore. Il turismo della riviera ha il freno tirato e le leve della riqualificazione non si azionano mai.

“Se l’Italia assomigliasse di più all’Emilia Romagna sarebbe un Paese migliore”. Parola di Stefano Bonaccini, che ha scelto lo slogan “Emilia Romagna un passo avanti”. Ma avanti rispetto a chi? E su cosa? In fatto di propaganda il Pd in questa regione è storicamente avanti, sa venderla molto bene, però i fatti seguono la propaganda? Oppure la ridicolizzano? Solo i numeri possono rispondere a questi interrogativi.

Esiste un sito in Italia che sui numeri la sa lunga. Si chiama Truenumbers e di recente ne ha messi in fila una bella sequela, arrivando a titolare così: “Emilia Romagna, diminuisce la ricchezza”.
Le aziende operanti in Emilia Romagna e in Italia alla data dello scorso giugno, l’ultima ufficialmente disponibile, messe a confronto con quelle dello stesso periodo del 2018 descrivono una “regione meno dinamica rispetto al già poco dinamico resto del Paese: in Regione c’è stato un calo nel numero totale delle imprese dello 0,8% rispetto ad un aumento dello 0,1% che si è registrato in Italia nel suo complesso”.

Drammatica la situazione del commercio. “Il settore più penalizzato è quello del commercio al dettaglio, in cui operano 44.087 aziende nell’Emilia Romagna che sono calate del 2,5% in un anno. A livello nazionale nello stesso ambito il calo si ferma a un -1,9%. Calano anche le imprese di trasporti e magazzinaggio, molto più di quanto non accada nel resto del Paese: -2,2%, contro un -0,7%. Male anche l’agricoltura, in un territorio naturalmente votato a questo settore: in un anno le aziende sono calate dell’1,9%”. Scenario davvero preoccupante, sul quale siamo in grado di aggiungere un altro elemento di analisi rispetto a quelli forniti da Truenumbers. Dal 2000 al 2018 in Emilia Romagna sono sparite quasi 16mila (esattamente 15.849) attività commerciali in sede fissa, pari ad una perdita percentuale del 25,26%, la più alta se messa a confronto con regioni come Lombardia, Veneto, Toscana e Piemonte.

Andiamo avanti con quanto messo insieme da Truenumbers. Le uniche imprese che aumentano di numero sono quelle legate alla finanza e ai servizi alle imprese, +1,2%, e agli altri servizi, +1%, ma se si amplia lo sguardo all’Italia anche in questo segmento l’Emilia Romagna resta indietro perché nel Belpaese gli aumenti si attestano rispettivamente su 1,8% e 1,5%. Un’altra scoperta clamorosa è che sono “quasi ferme le aziende nel settore dell’ospitalità e della ristorazione”. Ma non è un segnale di crisi per una regione tradizionalmente turistica come la nostra?

“Nel 2019 hanno cominciato a calare anche gli investimenti nell’industria, esattamente dell’1,1%, nonostante il fatturato e l’occupazione abbiano continuato a crescere, dello 0,7% e dello 0,6%”.

La ricchezza netta pro capite è un fattore che contraddistingue non da oggi, e in positivo, l’Emilia Romagna, e continua ad essere più alta di quella italiana, “ma è passata mediamente da 212.700 euro del 2008 a 207.300. Ci sono state delle oscillazioni, si è scesi a 204.100 nel 2011, vi è stata una risalita, si è scesi ancora a 203.900 nel 2015, e poi ancora un’altra ripresa, ma non si è tornati, almeno al 2017, ai livelli pre-crisi”. Perché? “La colpa è della diminuzione delle attività reali, principalmente quindi immobili, ma anche asset aziendali, che hanno perso valore. Si è scesi a un patrimonio reale di 125mila euro pro-capite mentre nel 2012 si era arrivati a 140.300. In aumento invece le attività finanziarie, depositi, titoli, azioni, che nel 2017 hanno raggiunto i 99.300 pro capite. Mentre rimangono stabili e poco rilevanti le passività”. In Italia in generale “la ricchezza netta è minore, di 160.200 euro a testa, ma non ha subìto dei cali, anche perché il deprezzamento delle attività reali è stata compensata da un più deciso aumento delle attività finanziarie”.

Passiamo all’occupazione. “Anche nei primi due trimestri del 2019 vi è stato un aumento del numero di occupati, del 2,5% (nel primo trimestre) e dell’1,3% (nel secondo). L’andamento è stato trainato in particolare dal settore delle costruzioni, che ha vissuto nel primo trimestre un incremento del 15,8%, ma anche dal resto dei servizi, nel secondo trimestre, e dall’industria, con un +1,3% nel primo e un +7,5% nel secondo trimestre”. Ma la crisi occupazionale che deve fare sobbalzare sulla sedia è quella “in due settori-chiave dell’economia regionale: la ristorazione e il settore alberghiero“.
I disoccupati sono diminuiti di ben il 17,8% nel secondo trimestre del 2019 “e questo ha portato il tasso di disoccupazione a calare dal 6,9% del 2016 al 4,8% della primavera di quest’anno (anche se i dati riferiti a un solo trimestre sono naturalmente sempre da prendere con le pinze)”, scrive Truenumbers. “Il tasso di occupazione di conseguenza è sempre cresciuto. Oggi il 71,3% degli emiliano romagnoli lavora, un valore record in Italia”. Ma chi viene assunto in Emilia Romagna? “Bisogna dire subito che le nuove assunzioni a livello generale sono in diminuzione. Il saldo è sempre positivo, con una differenza 122.122 persone tra assunzioni e cessazioni, ma le 495.671 nuove assunzioni nel primo trimestre 2019 sono state il 6,7% in meno rispetto a quelle di un anno prima”. Morale: “dal punto di vista occupazionale l’Emilia continua a progredire, ma a una velocità inferiore a prima”. E, particolare non secondario, “ben 150.040 nuove assunzioni, ovvero più del 30%, sono di stranieri. A crescere, del 1,3%, sono solo i nuovi posti di lavoro per gli over 54enni, che sono naturalmente una minoranza tra i nuovi assunti, ma sono sempre di più”.

Fa riflettere anche il lavoro precario. “La stragrande maggioranza delle assunzioni avviene a tempo determinato, con 333.694 posti su 495.671. In questo caso il calo è solo del 0,8% sul primo trimestre 2018. Sono invece in grande crescita, forse grazie al decreto Dignità, le assunzioni a tempo indeterminato, che aumentano del 20,2%. Ma sono pochissime, solo 58.524. In crollo i nuovi contratti di somministrazione, -36,4%, che rimangono comunque di più dei nuovi contratti a tempo indeterminato. A soffrire di più il settore manifatturiero e quello dei servizi, in cui il saldo tra nuovi posti e cessazioni rimane positivo, ma che a livello di nuove assunzioni vedono dei cali importanti, rispettivamente del 20,7% e del 5,5%”.

Dal quadro messo insieme da Truenumbers emerge questa realtà: “Nel complesso il rapporto tra ricchezza netta e reddito è maggiore in Emilia Romagna che in Italia, 9 a 8,5. La regione appare certamente più ricca, ma anche più immobile, del resto del Paese. Certamente negli ultimi anni ha puntato più a un incremento del lavoro, pur precario e pagato poco, che a uno del patrimonio“. Non proprio “un passo avanti”, come vorrebbe far credere Bonaccini.

“Non corre, anzi galoppa la cassa integrazione in Emilia Romagna tanto che, da un raffronto tra settembre 2018 e settembre 2019, segna un + 267,7%. Schizzando da 543.943 a 1.999.889 ore. L’incremento maggiore (+2.770,2%) lo registra la cassa straordinaria (da 45.093 a 1.294.254 ore). Segue la deroga con +635,5% (da 533 a 635,5 ore). Chiude la cassa ordinaria con un +40.8% (da 498.317 a 701.715 ore)”. Così la Uil regionale. “Troppe ombre incombono sull’economia dell’Emilia Romagna”, ha commentato di recente il segretario generale Uil Emilia Romagna, Giuliano Zignani. “La Cig è il vero termometro dello stato di salute lavorativo e questi dati dati non sono davvero molto incoraggianti. Così non va. E’ evidente. Se si ferma l’economia emiliano-romagnola, si ferma il Paese, essendo sul podio delle regioni che sono il motore economico-produttivo nazionale”.

Diamo infine uno sguardo in particolare al turismo mettendo gli occhi sui rapporti annuali elaborati dalla Regione Emilia Romagna. Nel 2008 in regione c’erano 4.612 alberghi con 288.020 posti letto complessivi. Dieci anni dopo gli hotel sono precipitati a 4.288 e i posti letto sono rimasti pressoché uguali (289.590). Le strutture hanno mediamente le stesse camere e posti letto: rispettivamente 33 e 62 nel 2008 contro 34,3 e 67,5 nel 2018. Gli alberghi di categoria superiore sono aumentati? Se si considera che nel decennio 1999-2008 l’insieme delle strutture a 5, 4 e 3 stelle è passato da 2.126 unità a 2.884 unità (incremento del 36%), e i posti letto relativi a queste tipologie di alberghi sono aumentati del 43%, in dieci anni non è migliorato praticamente nulla, anzi si è andati indietro: 2.864 alberghi a 5, 4 e 3 stelle nel 2018 per 230.232 posti letto.
La permanenza media in regione era di 4,4 giorni nel 2008 ed è stata di 4,94 nel 2018. In Riviera era di 6 giorni ed è scesa a 4,94.
Sempre in tema Riviera: dai 3.219 alberghi e 210.813 posti letto del 2008, si è passati a 3.125 alberghi e 217.067 posti letto. Le strutture avevano mediamente 34 camere e 65 posti letto e un decennio dopo i progressi sono stati pochini: 34,8 camere e 69,5 posti letto.
L’indice medio di utilizzo era del 28% (se non si considerano le chiusure stagionali) e del 55% (periodi di apertura effettiva) ed ora è del 28,3% e del 59,8%.
Nel 2008 la Riviera raccoglieva il 73% delle presenze in ambito regionale, nel 2018 il 70%.

“E’ necessario agire immediatamente per porre mano al patrimonio delle costruzioni della costa romagnola prima che sia un evento catastrofico, come ne stanno accadendo sistematicamente, a renderlo inevitabile. Se pensiamo ai 9 miliardi necessari per intervenire nelle aree emiliane post sisma e rimettere in piedi un sistema economico, non ci si sbaglia se si pensa che mettere mano alla rigenerazione del patrimonio immobiliare della costa, parlo di quello legato all’industria turistica, ne servano almeno 13-15″. E’ il pensiero del prof. Marcello Balzani, docente all’Università di Ferrara e presidente Clust-ER Build, che ha partecipato all’iniziativa sul “riuso del moderno” promossa dall’Ordine degli architetti della provincia di Rimini. “Con buona probabilità la Regione potrà stanziare 30-40 milioni l’anno, che inseriti in un volano strategico possono diventare 250 l’anno. E’ tempo di darsi una priorità e su questa convogliare tutti i sistemi che hanno una visione futura: mettere in sicurezza e in qualità un sistema economico, quello turistico, vitale per il territorio. La costa è chiamata a rivoluzionare l’approccio avuto sin qui“, ha spiegato Balzani.

Ma la costa come sta effettivamente reagendo davanti alla necessità di riqualificarsi? Un segnale lo manda l’accoglienza ricevuta dal bando regionale che ha stanziato circa 25 milioni di euro – tra contributi a fondo perduto (20 milioni) e fondo regionale di contro-garanza (5 milioni) – nel biennio 2019-2020 per sostenere i progetti di riqualificazione e ristrutturazione di alberghi, stabilimenti balneari e termali. La prima finestra si è chiusa con una graduatoria che vede una sessantina di progetti finanziati pari a circa 4 milioni 800mila euro. La seconda finestra aveva inizialmente la scadenza del 3 dicembre ma è stata prorogata al 31, nell’attesa che arrivassero alcuni pretendenti in più, visto che prevedeva il raggiungimento di 150 domande che non sono arrivate. Nell’atto del dirigente che ha prorogato il termine di presentazione delle domande di contributo, si legge che “alla data del 25/11/19, risultano presentate 124 domande, evidenziando una significativa disponibilità di risorse residue”. Difficile arrivare a 150, insomma. Su 4.288 fra alberghi e residenze turistiche in regione, e soprattutto con la ricettività della Riviera riminese che avrebbe di certo bisogno di un restyling.

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