Bancarotta fraudolenta e malversazione ai danni dello Stato. Questa l'accusa nei confronti di Gianni Celli da parte della magistratura italiana, che
Bancarotta fraudolenta e malversazione ai danni dello Stato. Questa l’accusa nei confronti di Gianni Celli da parte della magistratura italiana, che avrebbe inviato una richiesta di rogatoria a San Marino.
Secondo quanto riporta il quotidiano sammarinese “L’informazione”, la magistratura italiana avrebbe inviato una richiesta di rogatoria sul Titano nell’ambito delle indagini sul fallimento di “Editrice La Voce srl” amministrata da Gianni Celli, che sarebbe indagato per bancarotta fraudolenta e malversazione a danno dello Stato.
Secondo l’accusa della magistratura italiana, per il primo reato Celli avrebbe posto in atto una sistematica, generalizzata e diffusa attività distrattiva, trasferendo quasi dieci milioni di euro, senza alcuna plausibile motivazione economica-aziendale, da La Voce ad altre società del suo gruppo, in particolare a “La Mia Terra scrl”, “La Casa scrl”, “Spi srl”, “Coop Borgo Blu”, “Acta Europa srl”, “Caffè Italiano srl”, “Edilborgo Blu” e “Bella Stampa”. Tutte queste società sono riconducibili a Gianni Celli.
“La Mia Terra scrl” è la capogruppo della galassia Celli e vede come soci il patron Gianni e i suoi familiari; “Spi srl” è la società che si occupava della pubblicità su “La Voce di Romagna”; “Caffé italiano” è una società fallita che gestiva un albergo di Riccione – già di proprietà tra gli altri di Celli – di cui era amministratore uno dei figli di Celli; “Bella Stampa” è una srl, anche questa fallita di recente, che editava, ma il nome appare ancora in gerenza, il sito “Romagna Noi”, legato a “La Voce di Romagna”.
Per il secondo reato i magistrati italiani ipotizzano che Celli abbia girato 3,5 milioni di euro, ottenuti come contributi pubblici dal Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla società cooperativa “La Mia Terra”. Quindi, secondo l’accusa, questi soldi non sarebbero stati destinati alle finalità per cui erano stati stanziati.
Complessivamente la cifra su cui si indaga per bancarotta fraudolenta e malversazione ai danni dello Stato è di 13 milioni e mezzo di euro.
Nel corso degli anni La Voce di Romagna ha ottenuto circa 20 milioni di euro di contributi pubblici. La società guidata da Gianni Celli è stata dichiarata fallita all’inizio di luglio 2015. Nel fallimento le richieste dei creditori ammontavano a 14 milioni e mezzo; il curatore ha ammesso allo stato passivo 12 milioni e 800mila euro. In cassa non c’è praticamente nulla.
Secondo la procura italiana Celli avrebbe trasferito “cospicue somme” di denaro a San Marino, da qui la richiesta di rogatoria per chiedere, appunto, aiuto alla magistratura sammarinese che ha disposto indagini su istituti bancari, società finanziarie per capire dove sono finiti questi soldi. Inoltre sarebbero stati chiesti accertamenti presso l’ufficio Industria e presso la cancelleria commerciale per capire se Celli abbia imprese o se ricopra cariche in altre società sammarinesi.
Nel corso della prima udienza del fallimento in febbraio un gruppo di dipendenti de La Voce di Romagna aveva protestato all’esterno del tribunale distribuendo un numero unico de “L’Urlo di Romagna” dove si ripercorrevano le vicissitudini degli ultimi anni del quotidiano. Durante la seconda udienza di marzo fu invece distribuito “Lo Sdegno di Romagna” in cui si sottolineava come, nonostante il fallimento e le inchieste in corso, Gianni Celli continuasse a fare l’editore. “La Voce di Romagna” ha infatti adesso come editore Edizioni delle Romagne, società dei figli di Gianni Celli. Tra gli altri soci, con quote assai modeste, alcuni nomi illustri dell’economia romagnola, che adesso non saranno probabilmente contenti davanti alla piega che la vicenda sta prendendo. Tra i soci di Edizioni delle Romagne c’è anche la società “La Casa” di cui lo stesso Gianni Celli, in base all’ultima documentazione depositata, risultava come amministratore unico. (e.d.)
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