L’islam di casa nostra. Parla l’imam della moschea di Rimini

L’islam di casa nostra. Parla l’imam della moschea di Rimini

E' stato necessario insistere per ottenere l'intervista all'imam della moschea di corso Giovanni XXIII, e senza una "mediazione" che è risultata fonda

E’ stato necessario insistere per ottenere l’intervista all’imam della moschea di corso Giovanni XXIII, e senza una “mediazione” che è risultata fondamentale non ci saremmo riusciti.
All’indomani della strage di Parigi (130 morti di cui la gran parte trentenni) i responsabili del centro islamico di Rimini hanno diffuso questo stringato comunicato: “L’Associazione culturale islamica Al Tawhid di Corso Giovanni XXIII esprime il più profondo cordoglio per le vittime innocenti dei vili attentati di Parigi. Il nostro commosso pensiero e la nostra preghiera vanno alle vittime e alle famiglie delle vittime. Intendiamo condannare nel modo più fermo e assoluto l’ignobile attacco che oltraggia le vite e i valori della pace e della fratellanza ai quali siamo tutti legati e alla luce dei quali riteniamo viva veramente ogni autentico messaggio religioso. Rigettiamo completamene i proclami degli assassini di Parigi e dei loro mandanti e riconosciamo in essi solo il tradimento dell’Islam, una sua deformata figura che bestemmia Dio e insulta il Profeta e tutti i musulmani. A tutti i nostri sinceri saluti di Pace”. Una presa di distanza e una condanna, senza mai nominare l’Isis. Poi, il vescovo li ha coinvolti (con valdesi e ortodossi) nella manifestazione di sabato 21 novembre in piazza Cavour. La lettera sottoscritta anche dall’imam aveva un titolo impegnativo: “Insieme”. Come si può stare insieme senza conoscersi e senza sapere come la si pensa su temi cruciali? Senza dimostrare una lealtà cristallina nei confronti della comunità riminese che ospita gli islamici e con essa vive fianco a fianco? Dopo il 13 novembre ai musulmani è chiesto di spiegare anche come considerano la tolleranza religiosa, il pluralismo delle idee, la laicità dello stato, la convivenza civile, l’integrazione e altro. Senza contare che il centro islamico di Rimini rientra – stando a quello che si legge sul portale dell’amministrazione comunale – fra le associazioni di volontariato (no profit) presenti sul sito del Comune di Rimini e anche questo è un motivo in più per reclamare trasparenza.
Così il 17 novembre abbiamo chiamato al telefono l’imam Mourad Ayadi chiedendogli un’intervista. La risposta è stata cortese ma ferma: no. L’abbiamo considerata decisamente insoddisfacente per le ragioni dette sopra.
Siamo tornati alla carica più volte con Alessandro Cavuoti, che del centro islamico di Rimini è stato presidente a lungo e sempre con un atteggiamento di dialogo e disponibilità a parlare con la stampa. Finalmente, e solo grazie al ruolo giocato da Cavuoti (ma i contenuti che potete leggere qui sotto sono attribuibili solo ed esclusivamente all’imam), la decisione di rispondere. Quella che pubblichiamo è la prima intervista che l’imam concede ad un giornale. Non proprio del tutto esaustiva ma è già qualcosa.

Il Centro islamico di Rimini quale attività svolge e da quanti musulmani è frequentato?
Nel Centro islamico si svolgono le cinque preghiere quotidiane e la preghiera del venerdì.

A Rimini e provincia ci sono altre “moschee” e voi avete rapporti con esse? Intrattenete relazioni con altre moschee in ambito regionale e nazionale?
A Rimini vi sono altre due moschee. Non abbiamo relazioni se non di tipo personale e occasionale con le persone che le frequentano. Non intratteniamo rapporti con altre moschee in Italia.

Quale percentuale di islamici presenti a Rimini e provincia frequenta la moschea?
Il 15%.

Vi preoccupate di ospitare imam che non esprimano idee radicali?
Non diamo la parola né a Imam né a persone che hanno per riferimento movimenti radicali, e nemmeno di tipo salafita o wahabita.

Avete mai segnalato alle forze dell’ordine la presenza di musulmani fondamentalisti o sospettati tali a Rimini?
Non lo abbiamo mai fatto perché non si è mai dato il caso.

Se ne dovesse venire a conoscenza lo farebbe?
Assolutamente sì.

Nel vostro comunicato diramato a seguito dei tragici attentati di Francia pur condannando completamene i proclami degli assassini di Parigi e dei loro mandanti e riconoscendo in essi solo il tradimento dell’Islam, non chiamate mai in causa l’Isis: c’è una ragione?
Non c’è nessuna ragione se non che il riferimento all’Isis, date le circostanze, era assolutamente chiaro.

Cosa pensa lei dell’Isis?
Come ho detto in piazza sono terroristi, criminali, assassini.

Perché ritiene che tanti giovani occidentali siano attratti e quasi affascinati dall’Isis?
Questo non lo so. Di sicuro sono persone che non hanno avuto un’educazione religiosa di tipo tradizionale.

Cosa pensa della persecuzione delle popolazioni cristiane perpetrate in Medio Oriente dall’Isis e delle distruzioni nei confronti della storia e dell’arte (ad esempio quelle avvenute a Palmira)?
Le persecuzioni dei cristiani sono qualcosa di orribile e contraddicono completamente l’insegnamento del Profeta riguardo al comportamento da tenere nei riguardi dei non musulmani. La distruzione delle statue e dei templi antichi per me, in quanto musulmano, è un atto incomprensibile. Anche in Tunisia abbiamo antiche città romane: un patrimonio, una ricchezza.

Ritiene giusto che, così come in Europa i musulmani possono pregare il loro Dio e costruire moschee, anche nei territori islamici debba essere accordata la stessa tolleranza alle altre religioni?
Noi pensiamo di sì e d’altronde ci sono chiese in tutti i paesi islamici in realtà. Solo l’Arabia saudita non lo permette, ma nella nostra moschea non facciamo riferimento all’insegnamento religioso proveniente da quel paese.

Tanti commentatori in questi giorni hanno sostenuto che, dopo il massacro di Parigi non sia più sufficiente per le comunità musulmane che vivono in mezzo a noi, dire no al terrorismo ma che occorra da parte vostra un atto di lealtà verso i valori occidentali: tolleranza religiosa, libertà della cultura, pluralismo delle idee, laicità dello stato, uguaglianza tra uomo e donna. Lei cosa ne pensa?
Io ritengo che i musulmani debbano essere lealmente impegnati nel rispetto delle leggi italiane. Allo stesso tempo io rimango legato ad una visione tradizionale della società.

Sul sito sufi.it, che elenca i centri islamici in Italia, e sul quale è presente anche il vostro, nei principi dottrinari si dice:
Al punto 71: “Non acconsentiamo all’uccisione di nessuno nella Comunità di Muhammad, che Allah lo benedica e gli conceda la pace, a meno che non sia obbligatorio farlo secondo la Shari`a.”
Al punto 74: “Noi amiamo le persone giuste e affidabili, e odiamo quelle ingiuste e sleali”.
Non pensa che concetti come questi abbiano al loro interno una intolleranza e un odio pericolosi verso chi non la pensa allo stesso modo?

Anche se il nostro centro è nominato sul sito da lei citato, non abbiamo con esso alcun legame associativo o di altro genere. Riguardo alla sua domanda dico che il principio di fondo nell’Islam è lo stabilimento di condizioni di pacifica e profittevole convivenza con tutti e per tutti. Detto ciò ogni società e ogni cultura punisce i criminali e condanna l’ingiustizia e la slealtà, in questo non ci vedo nulla di strano o di islamico.

Cosa risponde a chi sostiene che l’intolleranza e il fanatismo siano insiti nella religione islamica?
L’Islam è religione del giusto mezzo e del perdono, questo è quello che diceva il Profeta.

La lettera aperta alla città che lei ha firmato insieme al vescovo di Rimini, alla Pastora Valdese Giuseppina Bagnato e al Parroco Ortodosso Padre Serafino Corallo, si conclude affermando: “Insieme, animati dalla fede in un solo Dio “Onnipotente e Misericordioso” possiamo e vogliamo difendere e con tutte le forze desideriamo promuovere per tutti la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà”. Le chiedo: come la vostra associazione intende concretamente mettere in pratica la promozione della giustizia sociale, dei valori morali, della pace e della libertà?”
Come Centro islamico siamo sempre stati aperti ad iniziative che avessero la reciproca conoscenza come obiettivo ed ora abbiamo in programma la partecipazione alla marcia della pace del primo gennaio con l’Associazione Papa Giovanni XXIII. Il nostro compito ovviamente è quello di promuovere i contenuti della lettera fra le persone che frequentano la moschea e soprattutto quello di trasmettere ai nostri figli un’educazione che faccia di loro persone solidali e generose con chiunque.

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