L’ultima relazione della Dia: l’assalto della criminalità organizzata all’economia riminese e regionale

L’ultima relazione della Dia: l’assalto della criminalità organizzata all’economia riminese e regionale

«C'è il rischio che molte attività vengano svendute alle associazioni malavitose».

Inquietante il panorama tratteggiato dalla Direzione investigativa antimafia, aggravato dalla crisi provocata dalla pandemia. «Rimini attrae da tempo l’interesse delle organizzazioni criminali di varia matrice» si legge. Preoccupa «l’inquinamento del tessuto economico-produttivo e di quello politico­-amministrativo».

L’operazione Never Dream (che ha impegnato il comando provinciale dei Carabinieri e quello della Guardia di Finanza di Rimini, coordinati e diretti dai sostituti procuratori Paolo Gengarelli e Luca Bertuzzi), è solo l’ultimo e allarmante capitolo che svela l’assalto della criminalità organizzata all’economia riminese. Per capirlo bisogna leggere anche l’ultima relazione sull’attività svolta dalla Direzione investigativa Antimafia.
«Rimini attrae da tempo l’interesse delle organizzazioni criminali di varia matrice, sia per gli investimenti nel settore turistico-alberghiero, sia per il traffico e lo spaccio di stupefacenti, in ragione della presenza di numerosi locali notturni e discoteche, molto frequentati in tutti i periodi dell’anno. La camorra, tra tutte, maggiormente si è mostrata attiva sul territorio, talvolta, trasferendo nel contesto riminese anche le tipiche criticità partenopee, come ampiamente descritto nella Relazione dello scorso semestre». Il capitolo sulla provincia di Rimini comincia col tratteggiare questo inquietante scenario.
Il riferimento al quale viene fatto rimando è l’operazione Hammer, sulla quale avevamo raccolto anche il parere di Enzo Ciconte, che lo scorso dicembre ha visto la conclusione del processo con dieci condanne, di cui sette anche per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Prosegue la relazione della Dia: «Nel profilo ablativo rileva il provvedimento di sequestro eseguito dalla Guardia di Finanza, il 19 aprile 2020, tra le province di Rimini, Pesaro e Napoli, che ha riguardato beni immobili, quote societarie e rapporti di conto corrente per un valore di circa 1 milione di euro, nei confronti di un 60enne originario di Giugliano in Campania (NA), ritenuto elemento di spicco del clan Mallardo».

Ma ad illuminare ancora meglio la situazione, ci pensa la sezione dedicata alla regione Emilia Romagna. «L’approccio marcatamente imprenditoriale dell’infiltrazione mafiosa nella regione contempla, tra le proprie direttrici operative, l’inquinamento del tessuto economico-produttivo e di quello politico­amministrativo. Al controllo “militare” del territorio si predilige una sapiente tessitura relazionale, dove un ruolo di assoluta valenza viene attribuito a quell’area “grigia” in cui reperire, al momento opportuno, il professionista o il soggetto istituzionale che può tornare utile alla causa mafiosa. La facilità di azione, l’agevole reperimento di “anelli deboli” attratti dai guadagni e l’ingente ricchezza illecitamente prodotta sono fattori che hanno contribuito a “distendere” le tensioni che da sempre accompagnano le lotte di potere e a sbiadire il volto violento della criminalità organizzata che in passato, anche in Emilia, si è manifestata con fatti di sangue».
La disastrosa crisi conseguenza della pandemia, ha aggiunto ulteriori criticità a quelle già da tempo presenti: «L’emergenza economica e finanziaria determinata dalla pandemia non ha risparmiato nemmeno un territorio florido come quello emiliano-romagnolo, ove il rischio di infiltrazione criminale è concreto. Piccole e medie imprese a prezzi di saldo potrebbero diventare un potenziale “affare” per la criminalità organizzata, sempre pronta ad approfittare della crisi economico-finanziaria, speculando sulle inevitabili difficoltà che hanno colpito moltissimi imprenditori. Dalla ristorazione, al comparto alberghiero e alle piccole ditte commerciali, si presenta il concreto rischio che, per far fronte a spese di gestione ordinarie, pur in assenza di ricavi, molte attività vengano svendute alle associazioni malavitose».
Se nelle province di Bologna, Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza è documentata la «pervasività della cosca cutrese Grande Aracri nel tessuto socio-economico», in «ambito regionale, conclamata è anche la presenza di qualificate proiezioni delle cosche reggine (Bellocco, Iamonte, Mazzaferro), vibonesi (Mancuso), crotonesi (oltre ai sopra citati cutresi, anche i cirotani Farao-Marincola) e di altre famiglie calabresi che, in generale, compongono una mappatura criminale complessa». Ma non è ancora tutto.
«Si tratta di un contesto territoriale in cui anche Cosa nostra ha sviluppato, a partire dalla fine degli anni ‘80, attività criminali legate al riciclaggio di denaro e al traffico di stupefacenti. Nel tempo, è stata registrata l’operatività di soggetti riferibili a cosche del palermitano, catanese e gelese, rispettivamente quelle dei Corleonesi, dei Santapaola e dei Rinzivillo. Per quanto concerne la camorra, il panorama offerto dalle indagini degli ultimi anni e dalle attività preventive svolte dalle Prefetture con il supporto della DIA e delle Forze di polizia conferma ancora una volta la presenza di imprese ritenute “inquinate” dal sistema camorristico, impegnate nel settore degli appalti pubblici e riconducibili, in particolare, al clan dei Casalesi. Bologna, Reggio Emilia, Modena, Ferrara, Ravenna e Rimini sono le province ove maggiormente è stata rilevata l’influenza del cartello camorristico casertano che ha messo in campo, negli anni, proprie articolazioni operative chiamate a infiltrare il mercato immobiliare e il tessuto imprenditoriale, rivelandosi una minaccia per il comparto emiliano delle pubbliche commesse».
Per finire con «soggetti riferibili anche ad altri sodalizi camorristici, quali gli stabiesi D’Aalessandro, i napoletani Vallefuoco, i Contini del quartiere Vasto di Napoli, la famiglia Nuvoletta di Marano di Napoli, i Puca di S. Antimo, i Mallardo di Giugliano in Campania e i Belforte di Marcianise. Per quanto attiene alle mafie pugliesi è stata recentemente riscontrata l’operatività di affiliati, tra gli altri, al clan cerignolano Piarulli-Ferraro».
Ci sono poi le organizzazioni straniere dedite al traffico di stupefacenti, come quelle nigeriane, e anche di matrice interetnica «talvolta partecipate da pregiudicati italiani, meno strutturate, ma particolarmente operative, che hanno assunto, in aree pur limitate del territorio regionale, il controllo dello “spaccio” di sostanze stupefacenti e dello sfruttamento della prostituzione, nonché della contraffazione di capi di abbigliamento e altro in particolare, nella costa romagnola».

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