E' l'organizzatore delle mostre dei record, l'ultima delle quali a Vicenza dedicata a Van Gogh. A Rimini dal 2009 al 2012 portò oltre mezzo milione di visitatori grazie alle esposizioni a Castel Sismondo. Gli abbiamo chiesto di ricordare quella magnifica stagione di presenze legate al turismo culturale (che purtroppo è stata accantonata) e di esprimersi sulla "fellinizzazione" dell'opera simbolo del Brunelleschi. Le sue parole fanno riflettere.
Dice niente “Van Gogh. Tra il grano e il cielo”? E’ il titolo della mostra che si è chiusa a Vicenza domenica 8 aprile e che ha totalizzato quasi mezzo milione di visitatori collocandosi, grazie a questi numeri, fra le prime dieci nel mondo. Una mostra da record, che ha fatto crescere del 110% i visitatori dei musei comunali nella città di Vicenza, fungendo così da traino per il turismo e dunque per l’economia del territorio. Chi ha organizzato la mostra? Marco Goldin, con la sua Linea d’ombra. Dice niente Marco Goldin ai riminesi? Eccome, se dice. Dieci ottobre 2009. A Castel Sismondo s’inaugura “Da Rembrandt a Gauguin a Picasso. L’incanto della pittura. Capolavori dal Museum of Fine Arts di Boston”. Grazie alla Fondazione Carim, all’epoca presieduta da Alfredo Aureli, anche Rimini s’inserisce nel filone delle mostre in grado di far muovere masse enormi. E ad allestire l’esposizione nel Castello fu proprio Goldin, colui che è stato spesso definito “l’uomo dei record” perché, appunto, è stato capace di far diventare le mostre d’arte un fenomeno di massa.
Seguirono, sempre a Castel Sismondo, “Parigi. Gli anni meravigliosi. Impressionismo contro Salon”, in contemporanea con “Caravaggio e altri pittori del Seicento. Capolavori dal Wadsworth Atheneum di Hartford” e, dal 21 gennaio al 3 giugno 2012, “Da Vermeer a Kandinsky. Capolavori dai musei del mondo a Rimini”. Eppure quella fortunata stagione culturale, che diede nuovo impulso anche alle attività economiche del centro storico e favorì quel “turismo di qualità” di cui la città ha enorme bisogno, sembra un capitolo chiuso. Archiviato. Nel frattempo viene avanti la “fellinizzazione” dei contenitori più importanti di Rimini, compreso il gioiello di Brunelleschi. Abbiamo chiesto a Marco Goldin di tornare con la memoria all’esperienza delle mostre di Castel Sismondo e, grazie alla sua non comune conoscenza di ciò che si muove in Italia e nel mondo sul versante delle esposizioni temporanee e permanenti, anche un giudizio sulla scelta di “musealizzare” il Castello con una destinazione legata a Fellini.
“Come potrei non ricordare l’esperienza di Rimini… è durata tre anni ed è stata per me molto bella”, dice a Riminiduepuntozero Marco Goldin.
Vuole spiegarci le ragioni?
Tutti mi davano del pazzo (sorride Goldin, ndr) quando cominciavo a raccontare che avrei fatto delle mostre a Rimini nel periodo invernale. Ma i risultati hanno smentito clamorosamente quanti ritenevano l’impresa impossibile, e sono stato ben felice di poter contraddire gli scettici.
Peraltro tantissime amiche e amici che confluirono nelle mostre di Rimini hanno continuato a seguirmi in quelle che ho realizzato in seguito in varie parti d’Italia, e sono davvero tante.
Come nacque il progetto di Rimini?
Grazie a quelle congiunzioni che avvengono in momenti particolari della vita e che per mille motivi è difficile che si ripetano. C’era una Fondazione Cassa di Risparmio presieduta da una persona che ricordo ancora con grande stima e affetto, Alfredo Aureli: l’incontro con lui è stato per me significativo anche dal punto di vista umano. Ho avuto poi ottimi rapporti, in occasione delle mostre successive, anche con l’avvocato Pasquinelli, che succedette ad Aureli nella presidenza della Fondazione. Conservo un bellissimo ricordo anche del luogo, Castel Sismondo, che sicuramente avrebbe avuto bisogno di ulteriori sistemazioni per ospitare mostre di quel tipo, ma è una sede di notevole suggestione.
Come mai si interruppe l’esperienza delle mostre nel 2012?
Non ci fu un motivo particolare, credo che la Fondazione non se la sentisse più di proseguire.
Per ragioni legate ai costi?
Questo certamente no, il contributo della Fondazione era assai contenuto e inoltre non ne avevamo dagli altri enti pubblici locali. L’impegno economico era quasi tutto sulle mie spalle.
Mi pare che la Fondazione Carim esprimesse un contributo di circa 350 mila euro.
Questo per la prima mostra, e rappresentò il 15% del costo totale di quell’esposizione, ma poi venne ridotto per quelle successive. Ripeto, la causa non furono le risorse economiche. Dopo tre anni serviva anche un nuovo slancio, sarebbe stato necessario ridisegnare la programmazione, rivedere il progetto. Mi è capitato di lavorare in tante altre città e posso dire che occorrono sempre uno o due soggetti principali in grado di fare da collante e da molla, in genere sono le Fondazioni bancarie e le amministrazioni locali. In quei tre anni a Rimini la Fondazione Carim ha avuto la forza di portare avanti il progetto e di coalizzare altre forze, poi forse la Fondazione ha un po’ perso questo slancio e l’esperienza si è conclusa.
I numeri dei visitatori però furono molto positivi.
Certamente. Abbiamo esordito con quasi 200 mila visitatori, tanto che la mostra “Da Rembrandt a Gauguin a Picasso” si classificò fra le prime dieci più visitate in Italia in quell’anno. Nessuno avrebbe creduto in un esito del genere a Rimini e per di più d’inverno. Davvero inimmaginabile, prima di iniziare. E comunque anche le mostre successive richiamarono attorno ai 150 mila visitatori, nonostante quella del 2012 (“Da Vermeer a Kandinsky. Capolavori dai musei del mondo a Rimini”) fu messa a dura prova dalla tantissima neve caduta, che per due settimane portò solo 10-20 visitatori al giorno. Andò peggio a San Marino, dove a Palazzo Sums fummo addirittura costretti a chiudere per due settimane le visite alla mostra “Da Hopper a Warhol. Pittura americana del XX secolo a San Marino”, sempre a causa della enorme nevicata. Ma anche in queste condizioni totalizzammo quasi 160 mila visitatori. Alla fine del triennio il bilancio fu di 530 mila visitatori.
Quindi Rimini è una piazza buona per questo tipo di eventi seppure proposti nel periodo invernale…
Direi di sì. Chi si sposta per vedere le grandi mostre unisce anche la visita al territorio e Rimini è una bellissima città, che sorprende se la si pensa solo in versione balneare. Ma, ovvio, non ha una ricchezza infinita di cose da vedere, per cui ripetere numeri eccezionali come quelli del periodo 2009-2012 sarebbe impossibile. A meno che ogni anno non si riuscisse a mettere in piedi un appuntamento imperdibile: Monet, Van Gogh, Leonardo, Caravaggio … Credo invece sia più realistico che Rimini possa permettersi una grande mostra ogni due o tre anni, individuando per i periodi intermedi iniziative che non hanno la necessità di attrarre 150-200 mila visitatori.
Le sembra questo il giusto equilibrio che si potrebbe raggiungere?
Direi che questa mi sembra la vocazione di una città come la vostra, e la soluzione realistica di cui ho parlato sarebbe utile anche a consolidare tutto ciò che Rimini ha di permanente e che può essere valorizzato con un pubblico più ampio nel momento in cui si realizza la grande mostra. Questo è ciò che posso suggerire poggiando sui ventidue anni di esperienza nell’organizzazione di grandi mostre internazionali. Anni che diventano trentaquattro se si considerano non solo le grandi mostre, ma tutto il mio primo periodo dedicato all’arte italiana del Novecento.
La mostra attrattiva rappresenta anche una forte calamita per portare visitatori in una città…
Credo che gli operatori economici riminesi ricordino bene gli effetti delle nostre mostre a Rimini, cosa abbia voluto significare portare oltre mezzo milione di persone in città: le ricadute furono positive per tanti, ed ecco perché è importante che vi sia una collaborazione fra chi organizza la mostra e le istituzioni locali, in modo particolare l’amministrazione comunale.
Lei rilasciò una intervista nel 2009 commentando la prima mostra organizzata a Rimini e disse fra l’altro: “C’è molta soddisfazione per questo risultato. Si riesce a offrire un’immagine diversa della città, che non si esaurisce nella sua spiaggia né nel cinema di Fellini”. Le ho voluto ricordare queste parole di quasi dieci anni fa perché l’amministrazione comunale di Rimini ha deciso nel frattempo di puntare molto su Fellini e dedicare Castel Sismondo a “contenitore” felliniano. Lei che ha utilizzato il Castello per le grandi mostre, pensa sia una scelta felice quella del Comune di Rimini oppure il Castello meriterebbe di rimanere un contenitore per eventi espositivi temporanei?
Che Castel Sismondo sia un magnifico contenitore per grandi mostre è certo e l’abbiamo dimostrato, anche se nel nostro caso abbiamo fatto un po’ le nozze coi fichi secchi, come si suol dire. Se ripenso a quegli anni, mi viene in mente un impianto illuminotecnico che lasciava parecchio a desiderare, la climatizzazione venne un po’ sistemata ma insomma… ci sarebbe stato bisogno di intervenire di più, ma le risorse erano quelle che erano. Detto questo, il luogo è magico e suggestivo oltre ogni misura. E’ chiaro che Fellini per Rimini costituisce un elemento portante ma…
Dica.
Quello che ho capito lavorando in tante città, caratterizzate da un’identità molto precisa, come per Rimini sono il mare e Fellini, è che in Italia il “permanente”, l’esposizione fatta una volta per sempre, incontra qualche difficoltà. Io vedo meglio la convivenza fra l’elemento temporaneo, una grande mostra ogni due o tre anni nel caso di Rimini, e quello permanente. Credo non sia facile far venire a Rimini tantissima gente con il “museo” dedicato a Fellini, che in sé va benissimo, sia chiaro, e credo sia un’idea giusta, però vi renderete conto che non sarà assolutamente sufficiente.
Perché?
Perché, piaccia o no, ciò che è permanente è percepito normalmente come qualcosa di statico, in fondo c’è sempre, ci posso andare quando voglio. Viviamo in questo tipo di società, per cui funziona di più abbinare l’evento temporaneo di grande importanza (il meccanismo che scatta è “la mostra resta aperta solo qualche mese, devo andare a vederla”), con quello permanente. L’elemento vincente è sempre dato dalla convivenza del temporaneo col permanente. Del resto, perfino i grandi musei delle capitali internazionali (il museo d’Orsay, piuttosto che il Louvre, la National Gallery o il Metropolitan) fanno la stessa cosa: pur avendo già milioni di visitatori assicurati, puntano anche sulle grandi mostre proprio perché possono incrementare ulteriormente il livello del pubblico che, attratto dalle grandi mostre, sceglie anche di andare a vedere le collezioni. E’ una lezione che tutti ormai dovrebbero avere appreso, perché dà forza e sostanza a qualunque progetto di natura culturale, sia che si parli di una piccola e media città che di una grande metropoli.
A Rimini non mancano critiche alla decisione di “requisire” il Castello per installazioni felliniane, anche perché c’è già il Fulgor come luogo simbolico importantissimo legato al regista e quindi, si dice, c’era bisogno di utilizzare l’opera di Brunelleschi per farci il museo felliniano, non era meglio mantenerlo a disposizione per grandi mostre d’arte?
Questo, in effetti, può essere un problema. Se Rimini non dispone di altri luoghi espositivi per ospitare grandi mostre, è chiaro che l’utilizzo di Castel Sismondo per l’esposizione felliniana metta un po’ in crisi la soluzione ideale di cui parlavo, cioè quella di far convivere e abbinare il “temporaneo” col “permanente”. E’ una scelta molto netta, nel senso che preclude completamente la strada delle grandi mostre. E a meno che Rimini non smentisca tutto e tutti, potrebbe essere una scelta penalizzante “bloccare” Castel Sismondo come solo contenitore felliniano. E’ una decisione politica molto forte, perché vuol dire puntare tutto su questo progetto. Da un certo punto di vista lo si può capire, e risponde a precise logiche, ma non so se sarà stata la scelta giusta fino in fondo per Rimini. Città alla quale auguro, sempre, tutto il meglio.
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