Nel centro storico 700 tavoli “in deroga” alla occupazione di suolo pubblico

Nel centro storico 700 tavoli “in deroga” alla occupazione di suolo pubblico

Nell'approssimarsi della scadenza (31 dicembre) delle agevolazioni che in tempi di pandemia hanno dato la possibilità a bar e ristoranti di apparecchiare tavoli esterni in aree pubbliche e di pregio, e in attesa che l'amministrazione comunale dica cosa intende fare in futuro, Salvatore De Vita traccia un bilancio dell'esperienza fatta.

L’amministrazione cittadina ha fissato nella data del 31 dicembre prossimo la scadenza della concessione in deroga per dare la possibilità a bar e ristoranti di apprestare tavoli esterni in aree pubbliche e di pregio, con poche o nulle prescrizioni e senza canoni di occupazione del suolo pubblico. Ma ormai prossimi a quella scadenza, qual è oggi la situazione a Rimini nel Centro Storico?
Quel territorio è stato praticamente tappezzato di tavoli e sedie in ogni dove, senza regole e spesso in modo invasivo già dai pressi dell’Arco d’Augusto, poi lungo il Corso fino Piazza tre Martiri e Cavour, a quella degli incubi (ex Piazza Malatesta ma per qualcuno, ormai cessato, dei sogni) per non parlare della piazzetta San Martino, in cui oltre al triste ungulato posticcio quegli arredi ricoprono importanti vestigia del nostro passato. E addirittura sotto i portici, già per loro natura non ampi.
Da un sommario censimento in difetto, dato che il numero dei tavoli può variare tra il giorno e la notte, e secondo l’evenienza, ne consegue questo contesto al netto di quei dehors già presenti prima della pandemia.

Un totale importante che non può essere ignorato perché non passa assolutamente inosservato.
Girando per il Centro, si assiste alle distese di tavoli e sedie e componenti accessorie, poste in maniera tale da rendere poco agevole anche il flusso pedonale, dato anche dalla fitta stanzialità di avventori che in piedi ed in mezzo alla pubblica via consumano le loro bevande.
Poi, una sera, capita anche di incontrare un addetto di uno dei locali prospicenti ad una di quelle strade, che ti invita, sebbene educatamente, a sederti per cenare; episodio al quale rammento di avere assistito solo in Turchia.
Proseguendo poi verso l’antica Pescheria, non si comprende il perché si siano concessi i banchi lapidei ad alcuni locali che vi si affacciano, quando gli stessi tengono già tavoli nelle corsie laterali nelle quali non è molto agevole transitare. Ma anche il perché certi esercizi altrove allocati che hanno una corte interna, possano porre tavolini nel suolo pubblico.
Siamo praticamente in presenza di una sagra da strapaese con regole affidate al buon cuore personale, in cui ciascuno si comporta come meglio crede, contribuendo a formare un generale quadro di degrado e, a volte, sciatteria. Oltre all’ulteriore aspetto dato dal fatto che tante di quelle attività hanno ampliato di fatto la loro superficie commerciale, che diversamente non avevano all’interno; e qui un’altra disparità tra coloro che possono disporre di potenziali spazi esterni e chi no. E non si comprende come chi finora ha sopperito quella carenza con questa concessione, si reggerà economicamente in futuro; ma parimenti non credo che abbia fatto male i propri conti.
La questione non è quella di essere contrari a ciò che è stato un giusto aiuto a quel settore che rappresenta di fatto la punta dell’economia cittadina, ma la deregolamentazione con cui è stata affrontata ed il fatto che non può essere giustificata oltre l’emergenza sanitaria, perché al primo posto sta il contegno della città e degli spazi pubblici patrimonio di tutti. E anche in tale condizione sarebbe stato opportuno stabilire un minimo di protocollo di regole, tanto da evitare quei fenomeni nocivi al decoro di una città.
È un contesto fuori controllo, tant’è che in una via prossima al Centro, un ristorante inattivo da lungo tempo ha continuato a tenere occupata un’area stradale esterna sottraendo inoltre ben due parcheggi; solo in tempi recentissimi, la stessa poi è stata liberata.
Nei luoghi visitati, in diversi casi, sono state riscontrate situazioni che non attengono proprio a quella decenza che la zona migliore di Rimini meriterebbe e dovrebbe avere.
Sedie inutilizzate accatastate, tavoli sparsi a caso a locale chiuso o addossati al Teatro cittadino. Non sono neppure state risparmiate alcune aree verdi, se di verde si può parlare (!), adoperate per la collocazione smodata dei soliti tavolini, o anche di qualche loro residuo. Poi l’arredo fortemente disomogeneo che va dalle panche da osteria, a quello da giardino. Infine anche alcune delle piazzette sottratte al traffico, sono poi state sacrificate solo a queste esigenze.
Il contesto quindi si inquadra in una sensazione di degrado, che non fa altro che aggiungersi allo stato non proprio idilliaco in cui versano altre parti del Centro Storico, dimenticate ed escluse dalle mirabolanti qualificazioni narrateci.
Qualcuno dirà che è una situazione temporanea; ma si sa, nel nostro Paese queste finiscono poi per divenire definitive. E se prima dell’emergenza sanitaria si era raggiunto, a fatica, un certo decoro regolamentando il fenomeno nei centri urbani, oggi questo è stato di fatto cancellato.
La passata, e a quanto sembra l’attuale amministrazione, sembrano non avere intenzione di intervenire incisivamente in proposito. Anzi hanno sempre incentivato quelle categorie a discapito di altre scomparse, o destinate a meno attenzioni, ritenendo a torto che questo sarà il futuro della città. Ogni stagione politica ha difeso un suo bacino elettorale: quello del “mattone” in passato, il popolo dello spritz nel decennio Gnassi. Si sa, purtroppo la politica si nutre di consensi, ma spesso gli interessi dei loro portatori non collimano con le esigenze del resto della comunità.
Come accennato in apertura, a Rimini dopo il 31 dicembre prossimo tutto si dovrebbe ridimensionare alla situazione ante pandemia, ma nessuno ancora si è ancora espresso nel merito di ciò che accadrà poi. Per contro però, ferve grande animosità garampiana per arrivare all’elaborazione di una serie di regole condivise con gli operatori per una più funzionale fruizione dell’area dell’Antica Pescheria, che possa non solo garantire la valorizzazione del monumento, ma allo stesso tempo offrire maggiori garanzie alle stesse attività di poter lavorare con maggior tranquillità e certezze. Per quale motivo se alla scadenza manca solo un tempo esiguo? Che fine faranno poi, dopo quella data, tavoli e sedie, in alcuni casi frutto di un acquisto importante?
Sono semplici domande che si pongono in maniera logica, alle quali temo che vi sia già scritta la risposta. Se prima accennavo che in Italia spesso la provvisorietà diviene regola definitiva, aspettiamoci che qui da noi lo divenga ancor di più.
Perché si sa, a Rimini tutto si immagina, con buona pace delle opposizioni ed associazioni varie, sempre rigorosamente silenti. Ma sarebbe anche interessante conoscere in proposito il parere dei residenti, singolarmente o semmai associati in qualche comitato qualora esistesse.

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