Teatro gremito alla Riconciliazione per l’incontro pubblico sul caso Vincent Lambert promosso da sei associazioni laiche e cattoliche: «convocheremo l’Italia intera per dare un grosso segnale ai partiti». Commenta l’arcivescovo Negri: «Una fede che non si “sporchi” con queste vicende è una fede morta, inutile, non cattolica».
Non esiste un presunto “diritto di morire” costituzionalmente tutelato. Non c’è un “accanimento di cura” che renda legittimo il lasciar morire di fame e sete i disabili. Il “pensiero unico” non è solo invadente mainstrem, ma prima di tutto è “pensiero cattivo”. I pro-life non devono essere una componente silenziosa ma una “cittadinanza attiva”, cioè – al momento opportuno – andare in piazza. Infine, guardando il calendario, il termine del 24 settembre individuato dalla Corte Costituzionale per la decisione sull’articolo 580 del codice penale è da rinviare.
Sono questi alcuni dei contenuti salienti dell’incontro pubblico di ieri sera, 22 agosto, a Rimini, sala teatro della Riconciliazione, con Massimo Gandolfini, intitolato «Charlie, Alfie, Vincent…: che cosa [ci] sta succedendo?». Il leader del Family Day ha parlato chiaro mettendo anzitutto in fila i concetti da non confondere tra loro, seguendo le domande del moderatore, il giornalista di “Tempi” Rodolfo Casadei, autore negli scorsi giorni dello scoop sulle dichiarazioni di Arturo Sosa Abascal.
In estrema sintesi le parole da ricordare e distinguere.
Eutanasia (attiva o passiva); suicidio assistito.
Terapia, in relazione con malattia (quindi no all’accanimento terapeutico); cura, cioè cura del corpo, che quindi non deve e non può essere sospesa.
Costituzione Art. 32: «la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività»; «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge» (per impedire l’arbitrio e la violenza, come succedeva nei campi di concentramento).
Legge sulle DAT (disposizioni anticipate di trattamento): “una legge eutanasica”, ha tuonato Gandolfini ricordando che il testo passò in Parlamento pochi giorni prima dello scioglimento delle Camere (dicembre 2017).
Fra le spiegazioni date al pubblico, la storia del francese Vincent Lambert, un uomo in stato di minima coscienza fatto «morire di fame e di sete», ha detto il relatore, per la decisione della magistratura di sospendergli l’idratazione e alimentazione artificiale, cioè “cure di sostegno vitale”, si direbbe tecnicamente. In Italia «la sospensione di idratazione e alimentazione artificiale è una forma particolarmente crudele di abbandono del malato», ha messo per iscritto già dal 2005 il Comitato Nazionale di Bioetica.
Eppure, ha detto in un breve intervento la dottoressa Giuliana Ruggeri, punto di riferimento del nuovo Osservatorio di Bioetica di Siena, «in Italia un caso come quello di Vincent Lambert, con la legge 219 (quella sulle DAT, ndr) non avrebbe nemmeno bisogno di ricorrere ai tribunali, perché l’articolo 3 della legge dice: se c’è un accordo tra il medico e il tutore del minore o del disabile – nel caso di Vincent era la moglie – non si va nemmeno davanti al tribunale. Quindi la legge italiana sulle DAT è molto peggiore, sui minori e i disabili, delle leggi di altri paesi. L’auto-determinazione è un’illusione, un equivoco, perché in realtà diventa etero-determinazione».
Gandolfini ha riservato alla conclusione del suo discorso gli annunci delle prossime mosse. Oltre trenta sigle associative italiane, su coordinamento del comitato Polis Pro Persona, stanno premendo – ha spiegato – «attraverso gli organi istituzionali, sulla Corte Costituzionale perché rinvii la data del 24 settembre. E’ un terreno minato, ma è l’unica carta che possiamo giocare». Non avendo il Parlamento legiferato sul tema, la Consulta potrebbe infatti procedere alla “conta interna”: da una parte i favorevoli, dall’altra i contrari a dichiarare incostituzionale l’art. 580 del codice penale (“Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni”).
Siccome il tempo stringe, «finalmente, con non poca fatica – ha raccontato Gandolfini – siamo riusciti a convincere la presidenza della CEI a dire una parola su questo tema. L’11 settembre a Roma ci sarà una grande conferenza, aperta al pubblico, con un relatore unico, il Cardinale presidente della CEI card. Bassetti, sui temi dell’eutanasia e del suicidio assistito.»
Poi l’annuncio finale che riferiamo integralmente: «Però c’è un altro passaggio, amici: molto probabilmente ci sarà bisogno di dare un grosso segnale alla classe legiferante, cioè ai partiti, e in modo particolare a quelli che saranno in quel momento al governo, o forse – se si andrà a elezioni, ma ad oggi non sappiamo nulla – ai partiti che si presentano candidati a ricevere il vostro voto: chi è d’accordo con noi, con i pro-life, ed è a favore della difesa della vita, e chi non lo è. E allora ci sarà molto probabilmente bisogno di un altro Family Day, che faremo a Roma. Questo, cari amici, è nella vostra responsabilità. Noi convocheremo l’Italia intera per poter avere ancora un grande successo; successo di cultura, di profezia e di popolo, non importa se poi non riusciamo a portare a casa tutte le vittorie che vorremmo, ma riusciamo a mantenere alto il valore e soprattutto a dare una grande manifestazione alla cittadinanza in generale, al popolo italiano, alla società civile, in particolare alle nuove generazioni, che lo spirito profetico che vuole difendere la vita, la famiglia, la libertà educativa, non è per nulla morto, c’è, è vivo e si raduna in piazza per proclamare la propria verità», ha concluso Gandolfini fra gli applausi dei trecento partecipanti all’incontro.
Era presente alla serata l’arcivescovo emerito di Ferrara-Comacchio, che ha dato un saluto conclusivo.
«Che cosa ci sta succedendo?», ha esordito monsignor Luigi Negri, «Quello che ci sta succedendo è la possibile perdita della identità della fede. Una fede senza ragione, direbbe san Giovanni Paolo II, non è una fede realmente accolta, pienamente vissuta, umanamente comunicata. Quello che è in questione, secondo me, è che tipo di fede decidiamo di avere ancora. Una fede che non si “sporchi” – scusate la parola, che è così diffusa – con queste vicende è una fede morta! Una fede che non sa assumersi la responsabilità di declinare la corrispondenza profonda fra la fede e la ragione è una fede inutile: per questo questa questione interessa tutti noi. Ma, vorrei dire, non interessa tutti i cristiani, interessa tutti gli uomini, come si diceva una volta, “di buona volontà”. Se esiste la possibilità, nel nostro paese, all’inizio del terzo millennio, che venga vissuta una fede senza ragioni, vuol dire che sotto gli occhi di tutti ma con la responsabilità di tutti, la fede perde la sua presenza, il suo significato, perché la forza della fede è la corrispondenza con l’uomo e con i suoi desideri fondamentali. Non è che la fede deve essere ridotta alla risposta alle questioni essenziali dell’uomo; la fede si presenta, oggi come duemila anni fa, come l’unica possibilità di leggere in profondità i bisogni dell’uomo e di indicargli le vie di una serena e profonda soluzione. Quello che è in questione è semplicemente questo: una fede senza ragioni non è una fede cattolica; una ragione senza fede, potete chiamarla in tutti i modi ma è sempre una ragione a servizio del potere. Grazie».
L’incontro della serie “Fede e Ragione” è stato organizzato dal Centro Internazionale Giovanni Paolo II per il Magistero Sociale della Chiesa e patrocinato da Comitato Difendiamo i Nostri Figli – Rimini, Associazione Papa Giovanni XXIII, Identità Europea, Il Crocevia – Cesena, Movimento per la Vita.
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