Quant’è difficile far capire (anche in ospedale) che la mascherina è utile per tutti

Quant’è difficile far capire (anche in ospedale) che la mascherina è utile per tutti

Il racconto di un'esperienza diretta, capitata a chi ha la necessità di frequentare l'Infermi.

Francesco Broccolo, docente di Microbiologia clinica dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca sostiene che «non è vero che le mascherine servono solo a chi è già infetto, per proteggere gli altri dal contagio. Sono utili anche a chi è sano: per il Covid-19 sono una barriera. Anche una sciarpa o un foulard possono essere utili, di sicuro è meglio di niente. Sarebbe fondamentale l’obbligo di coprirsi il viso, per chi esce di casa. Il problema è reperire le mascherine, le difficoltà sono chiare a tutti. Ma chi ce l’ha, se la metta. La mascherina è uno strumento che rende certamente più sicuro anche chi non ha alcun sintomo, perché, per semplificare, la gocciolina nel quale è invischiato il Coronavirus, rimane sulla mascherina, come una barriera. Non passa».

L’Ordine dei Medici di Roma è sulla stessa linea di pensiero. Propone «l’obbligo di coprirsi il viso per chi esce di casa perché sarebbe certamente d’aiuto se si hanno sintomi, per evitare di alimentare la diffusione del virus, ma la mascherina è una protezione primaria anche per chi sta bene». Le parole che avete appena letto sono state estrapolate da un articolo a firma di Lorenzo De Cicco per “il Messaggero”. Queste dichiarazioni provengono da autorevoli “addetti ai lavori” in materia di Covid-19. Agli occhi dell’uomo della strada, quale io sono, sembrano corrette e coerenti con l’emergenza che si sta vivendo. È confortante apprendere che quello che pensavo da tempo (seppur profano in materia medica), rientrava nella logica che comunemente si considera pertenere al comune, sobrio e disadorno, ma inossidabile buon senso. Sconfortante, per contro, sapere di essermi battuto, con le armi che può avere un semplice cittadino, e avere perso contro una piaga finora invincibile: la burocrazia e i burocrati che la alimentano, ognuno con il modesto, ma pervicace contributo giornaliero. Ma vengo immediatamente ai fatti che mi hanno coinvolto direttamente.

Per una serie di circostanze sulle quali sorvolo per sintesi, il 13 gennaio scorso mia moglie viene operata a un arto a causa di un’infezione da stafilococco. I chirurghi devono “lavare” il più possibile l’articolazione colpita dal batterio. Dopo una settimana viene spostata al reparto infettivi per la prosecuzione delle cure dove rimarrà per altri diciotto giorni durante i quali viene nuovamente operata per una ulteriore “ripulitura”. Terminerà a casa la lunga terapia antibiotica.
Come capita a chiunque venga operato, seguono le visite di controllo. Nel periodo in cui capita di dovere andare a farne una, siamo già in pieno periodo Covit-19. È il 24 febbraio. Entriamo nell’ambulatorio del reparto di ortopedia. Noi con guanti e mascherine, il medico e l’infermiere, senza. Chiedo perché non abbiano nessun tipo di protezione. Mi viene risposto che non hanno avuto alcuna disposizione da parte dalla direzione sanitaria. Rimangono senza mascherina. Anche il personale ospedaliero che incrociamo uscendo, non le indossa. Considerato il luogo in cui siamo, cominciamo ad avere l’impressione di essere considerati fuori posto. Forse penseranno che stiamo andando a caccia di formiche con il bazooka. Nei giorni a seguire, con l’aumento della marea dei contagi, comincio a muovermi per avere ragguagli diretti da chi dovrebbe essere padrone della materia. Chiamo il 1500 (numero verde dedicato all’emergenza coronavirus). Rimango in attesa (per non perdere la priorità acquisita… ). Desisto dopo 90 minuti. Ma ci riproverò.

Il doodle di Google di oggi, dedicato a Ignac Semmelweis, il medico che ha insegnato al mondo la trasmissione dei batteri e a capire l’importanza di lavarsi le mani. Più in basso il video…

Arriviamo al 28 febbraio, primo giorno di riabilitazione per l’arto di mia moglie. Ci presentiamo nella palestra di terapia riabilitativa dell’Infermi con le stesse bardature con cui entrammo nell’ambulatorio di ortopedia. Cambiano gli attori, non la commedia. “Non si preoccupi signora, ci laviamo continuamente le mani e quanto alla mascherina, non è prevista per gli operatori sanitari”. Chi possa decidere se un operatore, in quel momento sia sano oppure no, è consegnato agl’imperscrutabili abissi della fede (per chi ce l’ha). Seconda e terza seduta, la settimana successiva. La recita non cambia. Tornati a casa, mia moglie telefona al numero della “Riabilitazione”. Fa presente il problema, pone l’accento sul fatto che i trattamenti fisioterapici le sono indispensabili per il (faticoso) recupero della mobilità, ma che non può permettersi di rischiare un contagio causa la distanza molto ravvicinata tra lei e la fisioterapista. Le viene risposto che può sempre rimandare i trattamenti. Telefono alla Direzione Medica dell’ospedale Infermi. Mi viene ripetuta la solita tiritera: «come operatore sanitario, devi indossare la mascherina solo se sospetti di aver contratto il virus e presenti sintomi come tosse o starnuti, o se ti prendi cura di una persona malata o con sospetta infezione». Faccio notare che c’è un periodo di latenza tra il momento di contagio e le manifestazioni, quindi in fase di incubazione il medico o un assistente potrebbero essere infetti senza saperlo. In sintesi, la risposta è che «ci sono disposizioni del Ministero della Salute, recepite dalla Regione che hanno un fondamento scientifico, altrimenti saremmo noi i primi a tutelare gli interessi dei pazienti e degli operatori sanitari». Chiusa lì.

Non mi capacito. Contatto l’Ufficio d’Igiene. Spiego le ragioni di mia moglie e mie, i disagi e i forti dubbi sulla sicurezza sanitaria. Mi consigliano di inviare loro un’e-mail facendo presente la situazione. Si metteranno in contatto con il reparto di riabilitazione? Nel frattempo riusciamo a parlare al telefono con la coordinatrice della Medicina Riabilitativa la quale, gentilmente, consiglia di sospendere le sedute in attesa di sviluppi e che, vista la situazione contingente, la paziente non avrebbe perso il ritmo delle prestazioni. Non è facile ricostruire esattamente la scansione temporale, ma è certo che intanto il Covid-19 dilaga. Le mie perplessità, i miei timori e le mie lagnanze sono come un disco rotto: chi le controbatte, pure. Richiamo il 1500. Mi danno invariabilmente le medesime risposte. Lo stesso, il numero verde Ausl Emilia Romagna e infine la Direzione Infermieristica del nosocomio. Di quest’ultima conversazione riporto le fasi finali. Queste:
«Sì, ci sarebbe qualche precauzione in più, lei non sbaglia. Il fatto è che non devono essere in più. Le precauzioni devono essere quelle giuste. Nè di meno, né di più. È questa la difficoltà che noi sperimentiamo in questo momento nelle nostre interazioni. Dobbiamo essere appropriati, adeguati. Non basta alzare l’asticella… ».

Molti infettivologi, in TV sostengono che l’uso della mascherina è utile solo per chi è già infetto per non contagiare gli altri, giusto?
«Sì, in maniera standard»

Il problema è tutto lì. Quindi lei e io non le stiamo usando poiché riteniamo di non essere malati, ma potremmo esserlo! Per cui, la fisioterapista che tra due ore sarà a contatto con mia moglie e non indossa la mascherina, non è detto che non sia infetta. Forse la mia logica è troppo elementare…
«No no è così, però infetti potremmo esserlo tutti e quindi o ce la mettiamo tutti… ».

È proprio quello, il punto.
«Però non ce la mettiamo tutti. Non sono queste le indicazioni, quindi seguendo le disposizioni, dobbiamo essere adeguati nell’utilizzarla. Dovrebbero farlo i pazienti, operatori sanitari e tutti i cittadini, quindi a quel punto il paradigma è diverso e dobbiamo agire così».

Sapevo che mi sarei dovuto arrendere.
«No, ma perché? Se sua moglie vuole dotarsi della mascherina perché si sente più sicura, … ».

Vabbè, grazie, la saluto.

P.s. – Giovedì 12 marzo riceviamo una telefonata dalla Medicina Riabilitativa. Ci comunicano che dal giorno dopo gli operatori sanitari del reparto avranno tutti la mascherina.

Ieri – Televideo RAI: è stato infettato da Covid-19 l’8,3% del personale sanitario italiano. Percentuale doppia di quella cinese.

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