Restano opinioni contrastanti sulla necessità di riportarlo interamente alla luce. Ma proprio questo è il momento per immaginare, con coraggio e discernimento, un grande progetto di scavo, recupero e valorizzazione, senza contrapposizioni ideologiche o faziose. Allo stesso modo, le attività del CEIS – meritorie e storicamente radicate – potrebbero trovare nuova e migliore sede in una delle colonie marine oggi in disuso lungo la costa riminese
Rimini è giustamente orgogliosa di due straordinari monumenti che testimoniano la grandezza della sua storia romana: l’Arco di Augusto e il Ponte di Tiberio.
Eppure esiste un terzo, grande protagonista dell’antica Ariminum che, purtroppo, giace ancora in gran parte sepolto, e per questo dimenticato o sottovalutato: l’Anfiteatro romano.
Costruito nel II secolo d.C., come attesta una moneta dell’imperatore Adriano ritrovata nella muratura, l’anfiteatro sorgeva in prossimità del mare, in posizione strategica.
Di forma ellittica, misurava circa 118 × 88 metri, con un’arena interna di 73 × 44 metri. Secondo le fonti, poteva ospitare tra i 10.000 e i 12.000 spettatori. Più capiente di un moderno palacongressi!
La struttura era articolata in quattro anelli concentrici in muratura di laterizio, con uno spessore complessivo di oltre 21 metri, ed era circondata da un portico esterno con ben 60 arcate.
Un’opera imponente, poco nota ma pienamente comparabile, per dimensioni e importanza, ad altri grandi anfiteatri italiani.
Nel corso dei secoli, l’anfiteatro ha conosciuto profonde trasformazioni e progressive perdite:
– nel III secolo fu inglobato nelle mura cittadine come elemento difensivo contro le invasioni;
– nel Medioevo venne usato come orto;
– nel Seicento ospitò un lazzaretto;
– nel dopoguerra, una porzione significativa dell’area è stata occupata da edifici legati alle attività del CEIS – Centro Educativo Italo-Svizzero.
Sorge spontanea una domanda: può davvero Rimini permettersi di ignorare, o continuare a trascurare, un patrimonio archeologico e storico di tale portata?
Gli studi condotti in passato e le recenti indagini archeologiche promosse dal Comune in collaborazione con il Ministero della Cultura, stanno gettando nuova luce sull’importanza e sulle potenzialità del sito.
Sono stati avviati studi specialistici e una relazione approfondita propone un piano per la mappatura dell’intero perimetro dell’anfiteatro.
Restano opinioni contrastanti sulla necessità di riportarlo interamente alla luce.
Ma proprio questo è il momento per immaginare, con coraggio e discernimento, un grande progetto di scavo, recupero e valorizzazione, senza contrapposizioni ideologiche o faziose.
Un’opera che non solo restituirebbe alla città una parte essenziale della sua identità storica, ma creerebbe anche un nuovo, potente polo di attrazione culturale, turistica e simbolica.
Una proposta concreta e rispettosa per il futuro.
Le attività del CEIS –meritorie e storicamente radicate– potrebbero trovare nuova e migliore sede in una delle colonie marine oggi in disuso lungo la costa riminese.
Una soluzione che porterebbe un doppio beneficio per la città:
– liberare il sito archeologico per una nuova, straordinaria stagione di scavi e valorizzazione;
– rigenerare un fabbricato costiero, sottraendolo al degrado e restituendogli una funzione educativa, sociale e simbolica.
Si tratterebbe di un’operazione culturale e urbanistica che guarda al futuro, senza rinnegare nulla del passato recente. Anzi: valorizzando entrambe le memorie.
Quella millenaria dell’antica Ariminum e quella moderna dei luoghi educativi che tanto hanno rappresentato per la comunità cittadina.
E in termini pratici –detto senza alcuna intenzione polemica, né tantomeno ideologica– è giusto sottolinearlo con chiarezza: il CEIS si può spostare, l’anfiteatro romano no.
Infine, una memoria che vive sotto traccia.
Non è un caso se una “memoria sotterranea” dell’anfiteatro vive già oggi, in forma simbolica, all’interno di uno dei luoghi più rappresentativi dello sviluppo contemporaneo della città: il nuovo Palacongressi.
Proprio la sua sala plenaria più ampia, scenografica e iconica –e non a caso posta “in elevato”– è stata denominata Sala dell’Anfiteatro, in omaggio al grande monumento romano ancora in parte sepolto.
Una scelta che fu, già allora, segno di lungimiranza e consapevolezza storica: un gesto silenzioso ma eloquente, capace di legare idealmente il cuore della nuova Rimini alla grandezza dell’antica Ariminum.
Un nome che richiama ciò che la città non ha ancora potuto vedere del tutto, ma che potrebbe finalmente e ragionevolmente tornare alla luce.
Come ricordano storici e archeologi, scavare non significa guardare al passato, ma vedere più chiaramente il futuro.
E oggi, di lungimiranza e di futuro, ce n’è tanto bisogno!
L’Anfiteatro romano di Rimini è un’eredità che non possiamo permetterci di ignorare.
Per mia opinione è giunta l’ora di restituire visibilità e dignità al terzo, grande protagonista della Rimini romana.


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