Storie dall’inferno dell’Isis ieri sera in piazza Tre Martiri

E' stato il racconto di Maria Acqua Simi, inviata del Giornale del Popolo (quotidiano della Svizzera italiana) nel Kurdistan iracheno per raccontare i

E’ stato il racconto di Maria Acqua Simi, inviata del Giornale del Popolo (quotidiano della Svizzera italiana) nel Kurdistan iracheno per raccontare il dramma dei cristiani cacciati dalle loro terre, a chiudere ieri sera il rosario in piazza Tre Martiri.
Tante persone, nonostante il freddo, per l’appuntamento mensile del Comitato Nazarat per i cristiani perseguitati del Medio Oriente, che ha dato appuntamento a tutti per il 20 dicembre prossimo nello stesso luogo.
nazarat-20-novIl momento di preghiera è stato aperto da Marco Ferrini che ha letto il messaggio di mons. Warduni, vescovo ausiliare del Patriarca Caldeo e presidente della Caritas irachena, indirizzato a quanti a Rimini hanno promosso e aderiscono numerosi all’Appello all’umano: “Con grande piacere ho saputo del vostro movimento “Nazarat” in favore degli iracheni e del Medio Oriente, perseguitati per Cristo. Sono molto lieto di sapere che non siamo soli, che la grazia del Signore muove e fa portare i figli per Abramo”.
Mons. Warduni il 19 novembre ha testimoniato la situazione del suo popolo a Fabriano, dove a Marco Ferrini è stato chiesto di raccontare l’esperienza del Comiatto Nazarat di Rimini.
Storie di uomini, donne e bambini nell’inferno dell’Isis, quelle brevemente tratteggiate dalla giornalista, che ha potuto toccare con mano la vita nei campi rifugiati del kurdistan iracheno, e in particolare di Erbil, e imbattersi nei drammi di chi ha perso tutto. Ma non la dignità e la fede. Volti e nomi, come quello di Marya e della sua famiglia, costretta dai miliziani dell’Isis all’abiura della fede cristiana, pena l’uccisione dei suoi figli. “Convertitevi, o uccideremo i tuoi figli e tua moglie verrà venduta”, dicono gli jihadisti al marito. La conversione forzata avviene, ma anche un finale a sorpresa, perché dopo molti tentativi di fuga, la famiglia di Marya riesce a scappare ed oggi si trova nel campo profughi di Erbil: “Ci manca tutto: latte per i bambini, cibo, luce, vestiti. Ma abbiamo riavuto la nostra fede. Appena arrivati abbiamo chiesto al vescovo la benedizione speciale. Perché siamo cristiani, lo siamo sempre stati”. O come quella di un monaco anziano, malmenato e costretto ad assistere in ginocchio all’incendio del suo monastero e alle raffiche di mitra contro il crocifisso. Riuscito a fuggire pur con le osse rotte ha cominciato a girare tra le tende degli sfollati per portare loro conforto e distribuire aiuti. Ha raccontato che il dolore più grande e straziante “non è stato vedere incendiare il suo monastero ma quegli spari contro il Crocifisso, contro il mio Gesù”. O come quella di Haidi, fuggita col marito cieco e i suoi 5 figli, che ha saputo solo in ritardo dell’arrivo degli uomini del Califfato e nella fuga ha incontrato un posto di blocco a cui però non ha potuto pagare la tassa e così un miliaziano le ha strappato di dosso la figlioletta di 3 anni e gliel’ha rapita. Lei e il marito si romproverano ogni giorno di non averla saputa proteggere: “Ogni giorno prego Maria che me la riporti a casa”. Non si tratta, ha detto la giornalista in piazza Tre Martiri, di persone deboli, sono spicci e diretti nel denunciare le violenze del Califfato e le inefficienze della comutà internazionale, ma non sono persone angosciate. Bisognose di tutto e addolorate, ma non angosciate. I vescovi e i loro preti si adoperano per coordinare gli aiuti, li segnano in registri e stabiliscono priorità”.
Il comitato Nazarat ha rinnovano l’invito ad aderire alla raccolta fondi per aiutare i cristiani in fuga (alla vigilia di un inverno molto freddo) promossa da Asia News e dall’Avsi.

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