Sul Sangiovese Street Festival di Coriano

Sul Sangiovese Street Festival di Coriano

Quando 52 anni fa si decise di santificare il sangue di Giove...

Dopo aver sdoganato, grazie a Paolo Massobrio e ai 70 delegati del club di Papillon, la seppia coi fagioli, e con le teste che ci sono in giro non è stato per niente facile, ci dedichiamo al Sangiovese Street Festival, che si svolgerà nel mio Paese, oggi e domani.
Quando 52 anni fa si decise di santificare il sangue di Giove, mio babbo, Fafen de forne, e lo zio Primo, avevano già messo a dimora i primi 7 ettari del vitigno più diffuso in Italia. Come diceva allora il P.C.I., la nostra Storia viene da lontano, ma e “mi ba” democristo-culogiallo, era convinto che la nostra terra, le nostre crete, avrebbero dato alla nascente enologia riminese un buon contributo. Non per niente, l’abate Antonio Battarra, nato alla Pedrolara (1714) nella Pratica Agraria insegnava ai rurali come allevare la vite.
Morale della favola, a me di: artisti, cantanti, giocolieri, nani e ballerine, equilibristi e mangiafuoco, non me ne frega una cippa. Mi appassiona, mi sta a cuore il Sangiovese di Coriano, la specificità, l’identità, la qualità, la visibilità, la storia, e la remunerazione, cosa di non poco conto. La politica dei porti aperti anche in campo enologico non mi è mai piaciuta. Il logo “Terre di Coriano”, todos caballeros, non convince nada. Chi voglia fare impresa ed accoglienza con il binomio turismo e agricoltura nella Patria del Sangiovese, nella Montalcino di Romagna, deve essere esempio e stimolo perché ne abbiamo un disperato bisogno e, immodestamente, lo sappiamo fare bene.
Rurali sempre.

COMMENTI

DISQUS: 0