Turismo: è il momento del riformismo

Turismo: è il momento del riformismo

di Giuseppe Chicchi A che punto è la “governance” del turismo italiano? Nessuno ne parla, come se i problemi di maturità del nostro turismo fossero al

di Giuseppe Chicchi

A che punto è la “governance” del turismo italiano? Nessuno ne parla, come se i problemi di maturità del nostro turismo fossero altra cosa rispetto al modo in cui è gestito questo campo economico. I ministri che si sono succeduti negli ultimi anni (Rutelli, Brambilla, Gnudi) non hanno lasciato segni tangibili di capacità d’innovazione, ma non è stata tutta colpa loro.
Per spiegare lo stallo attuale bisogna risalire all’inizio del primo decennio del secolo quando accade qualcosa di apparentemente incomprensibile.
Il 29 marzo 2001 il Parlamento approva la legge quadro del turismo (l.135) che riorganizza le competenze così: lo Stato fa la programmazione nazionale, le regioni quella locale, i comuni e le province organizzano i territori turistici. Un approccio “federalista” che però non disperde il valore ancora forte sui mercati della “marca” Italia.
Tutto bene, dunque?
No, perché dopo soli sei mesi (18 ottobre 2001) il Parlamento vara la Riforma del Titolo V della Costituzione che, all’articolo 117, in nome della devoluzione, assegna alle Regioni la competenza “esclusiva” in materia turistica.
Contraddizione nella contraddizione: sempre nel 117, il Commercio estero resta invece nel campo della “legislazione concorrente” fra Stato e Regioni: vuol dire che i due livelli istituzionali “concorrono” fra loro nel legiferare in materia.
Domanda: il turismo non è forse e in buona misura commercio estero? Perché allora questo diverso trattamento?
E’ ovvio che gli errori si pagano. Così succede che lo Stato per molti anni non mette più soldi nel turismo o, se li mette, scattano i ricorsi delle Regioni alla Corte appena il ministro di turno cerca di dettare indirizzi omogenei nel paese.
Come si permette? Il turismo è competenza esclusiva delle Regioni!
Così le Regioni cominciano a farsi concorrenza fra loro, la somma dei loro investimenti in promozione è superiore a quello che spendono Spagna e Francia, lo Stato è deresponsabilizzato e non si cura del turismo. La “marca” Italia perde posizioni anche perché nessuno mette mano al prodotto che, già maturo, tende ormai decisamente al declino. Le Regioni che dovrebbero occuparsene, non hanno più risorse per l’innovazione delle imprese e gli incentivi fiscali non sono di loro competenza. Non parliamo neppure dell’innovazione dei territori, visto il crollo degli investimenti pubblici che stiamo registrando in questi anni.
A conferma della gravità della questione, a un certo punto cerca di metterci una pezza la Corte Costituzionale con la sentenza n. 88 del 2007 con la quale afferma che esigenze di carattere nazionale possono motivare una “deroga”, cioè il fatto che lo Stato disciplini con leggi la materia. E’ però evidente che il regime di “deroga”, come forse ironicamente suggerisce la Corte, è almeno inadeguato alla competizione internazionale che in campo turistico è quanto mai agguerrita e riguarda in particolare le destinazioni balneari.
C’è dunque da chiedersi se esista una Regione sufficientemente ispirata ai valori del riformismo, magari l’Emilia-Romagna che ha una grande tradizione in proposito, che prenda in mano la bandiera di una riforma dell’art. 117 per riportare il turismo nell’ambito della “legislazione concorrente”, restituendo poteri allo Stato, facendogli così assumere la giusta responsabilità, come per l’agricoltura e l’industria. Non sarà risolutivo dei problemi del turismo ma di certo aiuterà a ritrovare il passo. Il momento pare propizio visto che si è appena insediata la Commissione dei Quaranta che deve mettere mano alla nostra Costituzione. Temo però il conservatorismo delle Regioni e l’indifferenza dei sindacati d’impresa e del lavoro rispetto a queste tematiche istituzionali, apparentemente lontane dal loro quotidiano, in realtà maledettamente vicine.

Laureato in Lettere, dal 1981 al 1987 Giuseppe Chicchi è assessore regionale all’Ambiente e alla Difesa del suolo alla Regione Emilia Romagna, dal 1987 al 1990 è assessore regionale al Turismo e al Commercio e si occupa della crisi della mucillagine del 1989 (Legge Carraro /Vizzini) e della riqualificazione delle strutture alberghiere. Vara in particolare una legge regionale per il cambio di destinazione degli hotel obsoleti e una legge che istituisce un fondo rischi per i mutui in valuta estera in campo turistico.
Oltre a ricoprire vari altri incarichi, dal giugno 1992 al luglio 1999 è stato sindaco della città di Rimini e dall’aprile 2002 all’aprile 2006 amministratore delegato di Apt Servizi della Regione Emilia Romagna. Nell’aprile 2006 viene eletto Deputato della XV legislatura nella Camera dei Deputati.
Dal 2005 è titolare dell’insegnamento in Politica ed economia del turismo presso la Facoltà di Economia della Sapienza di Roma. E’ membro del Comitato Scientifico di TRE-Tourism Real Estate, Venezia 2010 ed è presidente onorario di FORMAE, Società Cooperativa di Urbanistica e Progettazione.
E’ autore di numerose pubblicazioni in tema di turismo. Fra queste:
“Diario di bordo, intervista sul turismo a Pietro Arpesella”, prefazione di Sergio Zavoli, Capitani editore, Rimini 2000; “Il governo della complessità” in “L’Italia. Il declino economico e la forza del turismo” a cura di A.Celant e M.A.Ferri, Università La Sapienza, Marchesi editore, Roma 2009; “La politica del turismo” in Il mondo e la Storia, vol. III, Istituto della Enciclopedia Italiana, Treccani, Roma 2010.

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