Tutti gli errori che hanno portato a bruciare il titolo di capitale della cultura

Tutti gli errori che hanno portato a bruciare il titolo di capitale della cultura

Ci avevano raccontato che, grazie al decennio del rinascimento riminese, l'obiettivo sarebbe stato a portata di mano. Invece una gestione centralista e tante scelte che cozzano con la difesa del patrimonio culturale, hanno portato al risultato fallimentare. Fino alla ciliegina sulla torta: l'accusa di "intromissioni politiche", vera pensata da Tafazzi. E oggi commentare che tutto va bene e che il risultato più importante è già stato ottenuto, equivale a non aver capito quasi niente.

Secondo la narrazione nauseabonda che è andata per i fossi durante il decennio Gnassi, Rimini aveva già conseguito sul campo, per meriti indiscussi, il titolo di capitale della cultura, senza se e senza ma. Quasi quasi l’incoronazione c’era già stata. Il Galli inaugurato, il Museo Fellini e tutto il circo annesso, il Fulgor, l’area del ponte di Tiberio, il castello che dialoga con il teatro… Milioni di euro pubblici spesi e tante chiacchiere in libertà, non sono stati però sufficienti a portare a casa l’ambitissimo (anche per ragioni economiche) riconoscimento di capitale della cultura. Lo abbiamo scritto subito, era lo scorso luglio, che «la gestione della candidatura da parte dei soliti sapienti, con l’ausilio di qualche “tecnico”, conferma quel modus operandi centralista che si è visto all’opera nell’ultimo decennio: tutto in mano a pochi (ma pochi pochi) che pensano di poter decidere, fare e disfare, tutto tutto da soli. Non si sa bene in nome di quale scienza infusa». Da qui una serie di conseguenze, tutte negative, a partire da una candidatura calata dall’alto, senza implicare la cultura in tutte le sue diramazioni: «non ci si incammina in un progetto di questa portata senza coinvolgere tutta la città, e senza la consapevolezza che occorre mettere in discussione i «fondamenti dell’attività amministrativa». Senza cambiare paradigma, senza chiedersi cosa significa cultura e cosa significa città, cosa comporta candidarsi e perché, qual è il patrimonio capitale di cui Rimini dispone e come valorizzarlo». Lo scrivevamo ad aprile.
Accanto all’arte di saperla raccontare, espressa dal sindaco precedente, ha preso forma una strana idea di cultura: la cementificazione di piazza Malatesta in barba al fossato di Brunelleschi e in barba anche alla pianificazione precedente (il piano regolatore e anche il piano strategico avevano previsto il recupero del fossato); Castel Sismondo utilizzato quale sede della esposizione dei “ciaffi” felliniani (copyright Rimondini); le mura malatestiane forate per sostenere la passerella-ella-ella. Pressoché tutta la cultura riminese (e non solo) alzò la voce davanti a questi sfregi, ma a nulla valse la battaglia. Un presunto sindaco illuminato filò dritto come gli comandava il cuore. Qualcuno gli assegnò anche il riconoscimento “l’arte che salva l’umanità”.
Il nuovo sindaco non ha cambiato linea, regalandoci la cementificazione della rampa urbana del ponte di Augusto e Tiberio, e ad oggi non ha assunto nessuna decisione di rilievo per restituire alla città l’anfiteatro romano, palazzo Lettimi è ancora un rudere, l’antica pescheria subisce continui “maltrattamenti”, la Biblioteca Gambalunga scoppia e una soluzione alla ormai grave mancanza di spazi sembra di là da venire.
Ha tenuto per sé la delega alla cultura, senza averne il curriculum, e insieme ad altre deleghe molto impegnative: turismo e promozione della città, piano strategico, relazioni europee e internazionali. Non si può arrivare ovunque, e la cultura è un campo d’azione molto impegnativo che non tollera promiscuità.
Poi nelle ultime settimane è cominciato il lamento. Il sindaco Jamil Sadegholvaad ha battuto i pugni sul tavolo chiedendo che «il confronto rimanga sul merito e dunque sulle proposte culturali, senza che intervengano intromissioni di alcun tipo», supportato dall’ex sindaco e con la sponda del senatore penstallato Marco Croatti che già sembra muoversi con intenzioni serie, forse in vista di un’alleanza giallo-rossa alla prossima tornata elettorale di Rimini. Si è trattato di una pessima “tattica”, un po’ stile Tafazzi, che non ha certo giocato a favore di Rimini.
La batosta però non è stata utile a trarre qualche insegnamento, e lo si deduce dalle prime dichiarazioni a caldo.
Anche a commento della sconfitta, il sindaco torna sulla «catena di ‘invasioni di campo preventive’, scomposte anche da parte di chi dovrebbe essere super partes e poi di illazioni e di ombre che hanno velato la coda finale di quella che per i territori candidati non è una semplice competizione. È la regola del sospetto a cui neanche questa partita si è potuta sottrarre. Nulla di nuovo, ma non per questo bisogna ogni volta allargare le braccia e dire ‘è così’. Proprio perché consapevoli dello sforzo e del risultato riconosciuto da tutti da parte di Rimini e della Romagna, ci sarebbe voluta più attenzione, più rispetto e meno interessata sguaiataggine da parte di una politica che evidentemente vuole perennemente far sapere al mondo che ‘mi manda Picone’ vale più di qualsiasi sostanza e educazione istituzionale». Parole astiose, non meno scomposte delle “invasioni di campo preventive”, e fuori posto, che prima di tutto si sono abbattute sulla commissione che ha valutato i progetti e che si è espressa all’unanimità. Quando si perde ci si dovrebbe interrogare con serietà e profondità su quel che non ha funzionato, guardando anzitutto in casa propria, evitando di prendersela con il mondo, perché si rischia di perdere due volte.
Ma l’analisi poco convincente del sindaco riguarda anche «il primo risultato più importante» che sarebbe stato «già ottenuto». Quale, oltre al risultato mancato? «Quello di risvegliare l’orgoglio di una città e di una comunità, che in maniera compatta ha lavorato per condividere un progetto che va oltre alla candidatura e che riguarda l’idea che abbiamo della Rimini di domani. Il mio primo grazie quindi va alla città, che ha creduto e condiviso la sfida…». Ovvero come ribaltare una debolezza in una presunta forza. Non è questa la strada. L’idea della Rimini di domani va rivista, caro sindaco, dalle fondamenta. La cultura è una cosa seria e non ci si improvvisa quel che non si è.

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