Dialoghi col massone/1: Rimini vista dalla loggia è ferma a “Gradisca”

Dialoghi col massone/1: Rimini vista dalla loggia è ferma a “Gradisca”

Dagli anni dell'ONU (One Nation Underground) Rimini non ha inventato più nulla in termini di eventi. Notte Rosa e Molo Street Parade sono tappeti giovanili sotto ai quali si nasconde la polvere di una città che ha fatto tabula rasa del mondo della notte. Massimo Pulini? Bravo, però... L'assessore alla cultura che servirebbe alla città? Marino Bonizzato. Non solo perché bloccherebbe il teatro da default. Ma perché è uno dei pochi ad avere compreso il genius loci della città. L’età imperiale romana e il Rinascimento ci hanno regalato monumenti che sono arrivati fino ai giorni nostri. Cosa stiamo lasciando noi alle generazioni che verranno? Intervista a Moreno Neri. Dall'Arci al Grande Oriente d'Italia.

Il massone che non t’aspetti si chiama Moreno Neri. Non è un notabile. E non cela la sua appartenenza alla Libera Muratoria. E’ uno dei pochi massoni riminesi a non nascondersi dentro il tempio ma a metterci la faccia. In alcune occasioni rituali indossa grembiule e guanti bianchi e prende posto nella Loggia Giovanni Venerucci. Ma la sua cifra è quella dell’erudito, studioso – come si è soliti sintetizzare – della tradizione classica e umanistica e più in generale di quella esoterica.
La presentazione di un libro a Rimini non si nega nessuno. Tranne che a Moreno Neri, che pure pubblica nella collana “il pensiero occidentale” della Bompiani (“Commento al sogno di Scipione” di Macrobio, nel 2007, il “Trattato delle virtù” di Pletone nel 2010 e da ultimo “Dialoghi per massoni” di Gotthold Ephraim Lessing e Johann Gottfried Herder). Che si è meritato l’attenzione di Giovanni Reale, per una vita docente all’Università Cattolica e al San Raffaele, dal quale ha ricevuto la lusinghiera mission di curare tutti gli scritti di Pletone. E’ un profondo conoscitore del Tempio Malatestiano. Eppure a Rimini viene tenuto ai margini. Forse per la sua appartenenza alla massoneria o forse per non essere più nei giri giusti della città, dei quali ha comunque fatto parte.

Classe 1954, fino a metà degli anni 90 è stato uno dei punti di riferimento dell’Arci di Rimini col ruolo di presidente provinciale, ha fatto parte del gruppo “degli impetuosi ragazzi dell’ONU (One Nation Underground)”, come li definì Pier Vittorio Tondelli, cioè il manipolo di creativi che ha segnato una lunga stagione di eventi, discoteche (Rock Hudson, Io Street Club, Slego), concerti (come quello dell’86 allo stadio di Rimini con Zucchero, Joe Cocker e Miles Davis) e trovate “pubblicitarie” (“Rimini come Hollywood” sul colle di Covignano) da meritarsi paginate sull’Espresso. E’ stato anche nel consiglio di amministrazione dell’Azienda di Promozione Turistica e per diversi anni vicepresidente del Consorzio del Festival teatro in piazza di Santarcangelo, inaugurando la nuova stagione che portò ad esempio nella città clementina i Mutoid. Un passato nella politica su posizioni radicali e socialiste, ad un certo punto della sua vita ha deciso di azzerare il contatore. E fare ingresso nella massoneria. Fresco di stampa, ma è solo l’ultimo di una serie, il suo “Il Bussante. Che cos’è (e non è) la Massoneria” (editoriale Jouvence), con prefazione del Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia, Stefano Bisi. Svela l’abc della massoneria. L’essenza spiegata ai profani. L’incontro con lui è stata una sorpresa, non solo per quello che ci ha detto sulla massoneria di Rimini (ne parleremo nella seconda puntata), ma per la sua lettura della crisi nella quale la città si dibatte, per come analizza le politiche turistiche, sempre sostanzialmente le stesse da Gradisca alla Notte Rosa, fino alle nuove pallide imitazioni degli eventi che fiorivano quando il modello riminese era una magnifica macchina da guerra.

Perché Moreno Neri si è fatto massone?
La mia adesione alla massoneria risale al 96-97, quando ho abbandonato la vita politica.

Le tue numerose esperienze a cavallo fra politica, cultura e turismo le ho ricordate nella introduzione. Invece, perché l’abbandono della politica?
Ero presidente dell’Arci da tredici anni e ad un certo punto, in parte perché mi trovai in disaccordo su determinate scelte e in parte per la rottura che si consumò fra Psi e Pci, venni “eliminato”.

Le ragioni del disaccordo immagino sarebbero complesse da spiegare, ma quale fu la rottura politica?
All’inizio degli anni 90, segnati da “mani pulite”, si ruppe quel dialogo fra Psi e Pci che aveva contrassegnato tutte le organizzazioni della sinistra fino a quel momento (Lega delle Cooperative, Cna, Arci, Confesercenti…). Un dialogo che era stato abbastanza positivo anche perché queste due forze politiche, nella fase della collaborazione, si controllavano e si bilanciavano a vicenda. Con tangentopoli una intera classe politica socialista fu cancellata, facendo sparire anche le migliori teste pensanti del Psi.

E se capisco bene, per te fu un momento difficile anche sul versante personale.
Mi cascò il mondo addosso ed ebbi una crisi che all’inizio fu di tipo esistenziale e dalla quale uscì approdando alla massoneria.
Considerato che in quegli ambienti legati all’Arci e all’Onu c’erano, fra persone in prima fila e altre che ci frequentavano, anche coloro che in seguito diventarono in gran parte la classe dirigente della città, se devo dare una lettura politica di quello che sta attualmente succedendo a Rimini sono portato ad andare ai ricordi di quel che accadde ormai 20 anni fa perché li c’erano tutte le premesse di un certo modo di intendere la politica, non più indirizzata al bene civico, cominciavano a prevalere altre logiche.

Come valuti la politica culturale dell’amministrazione comunale di Rimini? A detta di molti l’assessore Pulini sta mietendo successi.
Massimo Pulini è un bravo assessore alla cultura anche se concentrato solo nel campo di sua competenza, dove sta realizzando iniziative ottime. La cultura però non è fatta solo di arti visive e sul resto mi sembra poco presente. Per come la vedo io, l’assessore alla cultura a Rimini dovrebbe fare un grande lavoro di coordinamento. Se devo dirti di che assessore alla cultura ha bisogno la città in questo momento, non ho dubbi….

Non vorrai mica farmi l’identikit dell’assessore ideale?
No, no, ti faccio proprio un nome: Marino Bonizzato.

Perché proprio lui?
Prima di tutto perché fermerebbe il teatro Galli “com’era dov’era”. Se dal punto di vista urbanistico si parla di rischio default per il Trc, dal punto di vista culturale il Galli è destinato a portare al default il bilancio culturale. E poi ci vorrebbe una persona come Bonizzato all’assessorato alla cultura perché ha una visione generale della città, conosce il genius loci di Rimini. E chi è arrivato a comprendere il genius loci di Rimini non può che essere un buon assessore alla cultura.

Rimini ha un un grande passato, anche in termini di presenze storiche e architettoniche, ma di quel che abbiamo costruito negli ultimi decenni cosa è destinato a rimanere?
Rimini ha avuto due momenti splendidi della sua storia che continuano ad arricchire anche il nostro tempo: l’età imperiale romana, e quindi soprattutto l’Arco d’Augusto, il ponte di Tiberio e possiamo aggiungerci anche la Casa del Chirurgo. E il Rinascimento, che ci ha lasciato il Tempio Malatestiano e Castel Sismondo. Cosa lascia la contemporaneità? Mi viene in mente solo la darsena di Marino Bonizzato e null’altro. Osservando la darsena, che pure è collocata in un contesto purtroppo orrendo, mi sembra sia l’unica opera che ha la possibilità di permanere nel trascorrere del tempo.

I monumenti che hai ricordato andrebbero valorizzati meglio?
Le presenze romaniche sono sempre state considerate come dei corpi estranei a Rimini. Per la Rocca Malatestiana ci vorrebbero un concorso di idee e le risorse per intervenire. Non è comunque facile perché anche solo pensando alle torri, così come le vediamo oggi sono praticamente un terzo di quel che erano. Per il Tempio Malatestiano ci vorrebbe una maggiore attenzione da parte della Diocesi. Il fatto che sia una cattedrale e quindi con funzioni religiose, ne limita un po’ la fruizione ai visitatori. Mi è capitato alcuni anni fa, in estate, di assistere all’allontanamento di una turista francese perché aveva le spalle scoperte. Mi sono permesso di dire al sacrestano che altrove mettono a disposizione dei visitatori degli scialli, ad esempio. Poi non si può visitare la parte retrostante i pilastri delle cappelle.
Di certo se si volesse puntare sulla città d’arte ce ne sarebbe di lavoro da fare a Rimini e ancora molte risorse nel sottosuolo da portare alla luce.

Da quattro anni Rimini è guidata da un sindaco che cerca di intercettare un turismo legato agli eventi di massa: la Notte Rosa, Molo Street Parade e altro.
Conosco Andrea Gnassi da quando era bambino, ha frequentato le iniziative dell’Onu e a volte mi sento in colpa…

Cioè?
Mi sento responsabile di aver contribuito a dargli qualche imprinting sul tema degli eventi… che però non funziona. Ho sempre pensato che la Notte Rosa non fosse altro che un’evoluzione, ma direttamente gestita dall’amministrazione comunale, di “Gradisca”, la festa di inizio estate che facevamo noi in anni lontani. Fra Notte Rosa e Gradisca vedo davvero poche differenze.

Già in Gradisca c’era il richiamo ai numeri da guinness: la festa più lunga dell’estate, la tavolata più lunga del mondo e così via.
Si. Una differenza è che la Notte Rosa gode sicuramente di maggiori finanziamenti, un’altra è che si è estesa su tutta la costa, ma la sostanza non cambia. Stessa “musica” da trent’anni, mentre il grande cambiamento è avvenuto nel contesto nel quale gli eventi si calano. Da questo punto di vista Rimini è irriconoscibile rispetto al passato.

In che senso?
La Rimini degli anni 80 e 90 non c’è più, il mondo del divertimentificio è svanito. Basterebbe contare le discoteche di allora e fare il confronto con quelle sopravvissute. E questo è un dramma: da un lato la politica ha fatto tabula rasa delle discoteche e del divertimentificio, azzerando un’offerta che catalizzava un turismo giovanile sconfinato. Formentera nasce per imitazione del modello della notte di Rimini e continua a fare di questa caratterizzazione il suo punto di forza. A Rimini a me sembra che da anni manchi un punto di forza nel turismo, il divertimentificio non è stato sostituito da nulla che avesse la stessa capacità di catalizzazione. Dall’altra sono spuntate Notte Rosa e Molo Street Parade … ma sono tappeti giovanili sotto ai quali si nasconde la polvere di una città rimasta senza “contenitori” per il turismo giovanile. Concentrando tutto in pochi giorni l’anno. Molo Street Parade risponde al fatto che siccome non si possono più andare a vedere i dj tutte le sere nei luoghi deputati, le discoteche, s’inventa una kermesse che li concentra in una serata. La scopiazzatura arriva fino al nome: Io Street Club, Molo Street Parade. Fra l’altro questi eventi hanno anche stroncato il famoso ferragosto riminese.

E l’imprenditore turistico è diventato il Comune.
Anche questo mi sembra abbastanza incredibile. Perché l’ente pubblico deve essere l’organizzatore e il gestore di eventi di questo genere? Evidentemente deve farlo perché ha creato il deserto in questo settore e non ha più permesso al mercato di esprimersi. Personalmente preferirei che i soldi “pubblici” venissero spesi in altro, ad esempio per una importante rassegna di filosofi.

Quindi tu dici che Rimini da città di tendenza quale era, è finita col riciclare il passato.
Copiando tra l’altro al ribasso, perché almeno l’Onu una certa creatività, seppure a volte demenziale, riusciva ad esprimerla e otteneva l’attenzione della stampa nazionale. Certe idee mediaticamente funzionavano molto bene.

Una bella stagione che si è persa…
Anche perché le persone che sono rimaste sul campo e che io credevo avessero ricevuto una formazione, in realtà sono rimaste statiche, non fanno altro che riprodurre sempre le medesime cose in un contesto che invece si è molto modificato. Dalla crisi delle mucillagini uscì l’idea di puntare sulla notte, nei momenti di forte crisi le scelte politiche di lunga gittata sono importantissime. Oggi queste scelte che traguardano il presente non si vedono.

1 – continua

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