Il “vecchio” Palazzo del Congressi crolla sotto i colpi delle pale e viene raso al suolo dalle ruspe. Fra le macerie spunta anche la Pompei di Cagnoni
Il “vecchio” Palazzo del Congressi crolla sotto i colpi delle pale e viene raso al suolo dalle ruspe. Fra le macerie spunta anche la Pompei di Cagnoni (magnifico conio di Massimo Lugaresi, uno degli ultimi politici di razza rimasti a Rimini) ma i lavori procedono a spron battuto.
Che cosa si sta demolendo? Nella fretta di veder sorgere Acquarena, un supermercato, l’immancabile residenziale e direzionale, si corre il rischio di dimenticare quale costoso gioiello è stato demolito come l’ultimo e inservibile dei ruderi. Mentre aveva pochi anni di vita e ancora parecchie potenzialità. In tanti restano convinti che, anziché il nuovo Palas, costato 100 milioni di euro, la strada da seguire avrebbe dovuto essere quella di un intervento di restyling sul vecchio Palazzo dei Congressi ora trasformato in un cumulo di macerie. Con un decimo dei soldi spesi per la navicella si sarebbe ottenuto un bellissimo e funzionale Centro congressi. Anche perché il piano regolatore Benevolo prevedeva il residenziale al posto della vecchia Fiera (e tanti mq di superficie utile in più rispetto alla soluzione maturata adesso dietro la fretta dei buchi di bilancio da tappare), mentre si è finiti per fare il contrario.
E’ la fine degli anni ’70 quando si decide di costruire il Palazzo dei Congressi. Presidente dell’Ente Fiera era ancora Italo Lazzarini. La progettazione fu affidata ad un pool di architetti e ingegneri riminesi: Ulderico Vicini, Stefano Piccioli, Giuseppe Ferri, Enrico Ortalli, Gabriele Bianchini.
Non pochi pensieri si affacciarono alla mente degli amministratori locali del tempo perché il progetto ebbe un peso finanziario enorme per le casse degli enti coinvolti. Così come catalizzò parecchie energie lo studio dei contenitori congressuali “concorrenti”, per realizzare qualcosa di unico e avanzato rispetto alle richieste del mercato. Non ci si fece mancare niente, compresi alcuni viaggi all’estero per verificare i centri congressi esistenti in Europa e fuori. Si andò fino in America per carpire le tipologie più nuove e meno rigide dal punto di vista degli utilizzi. Fu infatti questa la tipologia che venne scelta per il Palazzo dei Congressi di Rimini: ambienti modulari, “elastici”, capaci cioè di ospitare congressi da mille a 10 mila persone.
Il Palazzo prende forma sotto la presidenza di Rodolfo Lopes Pegna (che si insedia al comando dell’Ente Fiera in mezzo a resistenze durissime nel 1981 e ci resta fino al 95; dopo di lui Cagnoni, che quindi regna da circa 20 anni) e la direzione di Luciano Chicchi (Igino Bonatti era vice direttore), il progetto viene ritoccato e rivisto per ben tre volte, anche per abbassare i costi, ad un certo punto quantificati in 12 miliardi di lire. Non mancano le polemiche sulla viabilità, questione non ancora risolta, tanto è vero che il Quartiere 3 punta il dito contro la costruzione del Palazzo dei Congressi perché avrebbe portato l’inferno in termini di traffico e mobilità.
Ad aggiudicarsi l’appalto il Consorzio Cooperative di Forlì, e siamo già nel 1984. Prima dell’estate di quell’anno partono i lavori. L’investimento è ingente: 8 miliardi delle vecchie lire. Un mutuo da 1 miliardo e mezzo viene acceso con la Cassa di Risparmio di Rimini e non è proprio a buon mercato perché è concesso al tasso del 20,50%.
La prima volta che si mette piede nel nuovo Palazzo è il gennaio 1986 e per ospitare la Mostra Internazionale dell’Alimentazione, ma i lavori non sono terminati, tanto è vero che la consegna della struttura è provvisoria. Manca poi il collegamento con i padiglioni della vecchia Fiera, che arriverà di li a breve. Solo nel giugno 1990 il Palazzo dei Congressi potrà dirsi ultimato. Questo significa che si è abbattuto un Palazzo di poco più di 20 anni di vita e che aveva visto la luce come un progetto all’avanguardia, avanzatissimo e funzionale. Ha avuto anche l’onore di finire nel “Manuale di progettazione edilizia”, edito da Hoepli, come modello di edilizia congressuale.
A conti fatti, oggi si fa tabula rasa di un Palazzo che ai tempi costò 8 miliardi di lire più qualche miliardo di arredi interni (tutto buttato?), alcuni dei quali tecnologicamente all’avanguardia e in ottime condizioni. A partire dalle tribune mobili, una sorta di cassettiera a libro che si apriva e chiudeva, acquistata in Germania, dotata di un trattore speciale in grado di rimorchiare le tribune e portarle nell’interrato. Per non parlare dei micropali “piantati” fino a 15 metri di profondità.
C’è poi il capitolo Convention Bureau, di recente “assorbita” da Rimini Fiera. Pure in questo caso a guardare indietro non si può fare a meno di notare un altro passaggio storico. Il dibattito su Convention Bureau occupa i primi anni 90 (ma il tema era già entrato nel vivo nel decennio precedente) e lo fa in maniera vivace attraverso i protagonisti di allora sulla scena del mondo economico, turistico, fieristico e politico. Una delle prime idee fu quella di costituire un consorzio formato da privati ed Ente Fiera con pari peso: si sarebbe dovuto chiamare Adria Convention Bureau, secondo l’idea di Nicola Sanese: “Non un carrozzone ma un agile strumento operativo”. Incontrò tante resistenze e naufragò. Dopo lunghe trattative sembrò cosa fatta l’accordo fra Adria Congrex, Ente Fiera, Cooptur, Aia, Confcommercio, Confesercenti e Assoturismo, tanto che il cda dell’Ente Fiera vota nel 1994 la costituzione del “Convention Bureau della Riviera di Romagna”. Salterà tutto al momento della firma dal notaio dell’atto costitutivo, salvo poi ricompattare il progetto cambiando qualcuno dei protagonisti. In tutto occorreranno circa 15 anni per il parto di Convention Bureau, che parte sotto la presidenza di Lorenzo Cagnoni e la direzione di Gabriella Ghigi. Dopo di lei Stefania Agostini.
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