I silenzi e le ambiguità di Prodi sulle radici cristiane d’Europa

I silenzi e le ambiguità di Prodi sulle radici cristiane d’Europa

Ricostruzioni curiose e contraddittorie sulla sconfitta subìta da papa Giovanni Paolo II e dall’intera Chiesa cattolica quando il politico bolognese era a capo della Commissione a Bruxelles. Una nota della Diocesi su come è stato scelto il relatore catto-dem: c’era un’alternativa, una donna nel frattempo candidatasi. Indovinate in quale lista.

La scelta della Diocesi di Rimini di catechizzare i cattolici in vista delle elezioni europee affidando la predica a Romano Prodi non ha mancato di generare polemiche all’interno dello stesso fronte cattolico, come sanno i nostri lettori.
«Con lui a Bruxelles – ha affermato Sergio De Vita del Popolo della Famiglia – nel 2004 il Parlamento Europeo rifiutò l’accorato invito di San Giovanni Paolo II ad inserire nel preambolo della Costituzione il riferimento alle “comuni radici giudaico-cristiane”».

Il tema si è appena riaffacciato alle cronache giacché papa Francesco, durante il viaggio apostolico in Bulgaria, ha rivolto una battuta a un giornalista. «Francesco – riferisce Repubblica – commenta anche il fatto che il simbolo dell’Ue – la corona di stelle – tragga origine dall’immagine dell’Immacolata Concezione: “Non hanno voluto citare le radici cristiane, ma Dio si è vendicato così”, sorride.»
Dunque l’uomo che parlerà per la Diocesi di Rimini il 10 maggio è il medesimo che era a capo dell’UE quando furono alzati muri nei confronti della Chiesa cattolica, guidata all’epoca da papa Wojtyla? E quale fu il ruolo del politico bolognese nella faccenda?

Stando alle parole dello stesso Prodi, almeno in una sua prima versione dei fatti, il mancato «riconoscimento esplicito, nel Preambolo della Costituzione [europea], del ruolo storico del cristianesimo» andava considerato «davvero un tassello mancante» (la Repubblica, 30 giugno 2005).
In un discorso ufficiale successivo, nel 2007, l’ex presidente della Commissione europea raccontò altro: «Mi lascio andare ad un ricordo personale e lo faccio per la prima volta in pubblico, mi sono adoperato lungamente e silenziosamente per introdurre il riferimento della radici cristiane nella Costituzione europea. Credo, però che non esserci riuscito non vuol dire che il testo le disconosca».

Per sua stessa ammissione, dunque, Prodi lavorò a favore delle radici cristiane, ma in un modo del tutto particolare: con il «silenzio». Un silenzio talmente efficace che alla fine esse, le radici, furono effettivamente silenziate.

Il mutismo del fondatore dell’Ulivo, atteggiamento prolungatosi durante il suo mandato quinquennale di presidente della Commissione europea dal 1999 al 2004, fu confermato anche da un vicepresidente del Parlamento europeo: «Non c’è traccia di suoi interventi (di Romano Prodi, ndr) in difesa delle radici cristiane presso il Parlamento europeo, né nei suoi discorsi presso la Commissione o in dichiarazioni in conferenze-stampa. Non c’è traccia di una sua teorica perdurante difesa dell’origine cristiana nemmeno negli interventi resi presso i lavori della Convenzione», dichiarò l’on. Mario Mauro in un’intervista a Libero del marzo 2007.

Rimaniamo al discorso in cui Prodi – all’epoca presidente del Consiglio – rivelò i suoi passati silenzi ed esaminiamone un altro punto. Riferisce il Corriere della Sera: “Prodi ha ricordato il suo impegno che lo ha portato a presentare e proporre emendamenti, «ma quando l’ho fatto – ha rivelato – mi sono sentito dire: ‘Mettiteli in tasca. Non li possiamo discutere perché c’è una storia che ci divide’». Il premier ha ricordato quella fase costituente del Trattato europeo, quando ricopriva la carica di presidente della commissione Ue, lasciandosi andare a quello che definisce «un ricordo personale mai reso pubblico fino ad oggi»”.

Scopriamo così che l’allora presidente della Commissione era talmente presidente, che veniva invitato a “mettersi in tasca” i fogli con le sue proposte di emendamento alla Costituzione europea. Invitato da chi? Lo possiamo immaginare. Proprio un bel metodo democratico, quello dell’UE di Bruxelles.

Ma andando avanti negli anni, Prodi ha trovato il modo di dare un significato suo personale, diremmo alquanto originale, alla storica, epocale sconfitta subìta su questo tema non solo dal papa Giovanni Paolo II ma da tutta la Chiesa cattolica: «Si è riparato a questo – dichiarò nel 2009 – attraverso l’articolo 52, in cui non vi è solo il riconoscimento dello status delle religioni nei singoli Stati ma vi si trova anche e soprattutto la proposta di un dialogo strutturato tra l’Unione e le Chiese. Ritengo questo, quindi, un passo in avanti rispetto al semplice e nudo riconoscimento».

Riepilogando:
prima Prodi dice che il mancato riferimento alle radici cristiane è «un tassello mancante» nella costruzione dell’integrazione europea;
poi racconta di aver fatto molto per inserirle, ma «silenziosamente»;
infine – capolavoro – ribalta la frittata sostenendo che è stato meglio così, perché riconoscere il «dialogo» fra l’UE e le varie religioni (si badi: al plurale, nel mucchio), è stato «un passo in avanti».

Cambiamenti di rotta, ricostruzioni diverse e contraddittorie: perché? Ha provato a suo tempo a dare una risposta un servizio di Radio Radicale. Nel mancato riferimento alle radici cristiane dell’Unione europea «le responsabilità di Prodi sono evidenti», affermava Lanfranco Palazzolo: «Ma per quale ragione Prodi non ha fatto nulla per venire incontro al Vaticano in questi anni? In realtà, fino alla primavera del 2003 il politico bolognese non pensava di tornare a fare politica in Italia e mirava alla riconferma a Bruxelles – vedi il Financial Times del 2 aprile 2003 -. Quando ha compreso che questa ipotesi non sarebbe stata possibile ha cambiato completamente l’impostazione della sua politica. Ecco perché Prodi non ha mai risposto positivamente alle sollecitazioni della Chiesa cattolica per un riferimento alle radici cristiane.»
Secondo il giornalista di Radio Radicale, la dimostrazione sta nel fatto che il 5 dicembre del 2002, in una fase cruciale dei lavori sulla Costituzione europea, «nelle cinque pagine del suo discorso per presentare il contributo della Commissione, Prodi si guarda bene dal sottolineare i riferimenti alle “radici cristiane” dell’Unione europea per non urtare i settori “progressisti” del Parlamento europeo a cui tiene molto in vista di una sua possibile riconferma a Bruxelles». Motivi, dunque, – stando a Radio Radicale – di poltrona e di opportunità.

Ma torniamo all’oggi, al convegno elettorale della Diocesi con Romano Prodi del 10 maggio.
Dagli organizzatori, a seguito della nostra richiesta di chiarimenti, arrivano due notizie al proposito:
1) non ci saranno spese per i compensi al relatore, e nemmeno per il moderatore, “solo spese organizzative”;
2) il Progetto Culturale Diocesano – ci informa una nota di via IV Novembre – «in prima istanza aveva invitato Beatrice Covassi, capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea dal 16 aprile 2016. L’“ambasciatrice” della commissione europea in Italia. Purtroppo – prosegue la nota della Diocesi – la Covassi che pareva intenzionata a partecipare, ha disdetto la sua presenza ma dopo 2 mesi».
A causa del forfait della Covassi gli organizzatori hanno quindi «cercato un’altra figura dall’alto profilo, sempre sul tema Europa» – citiamo – e «la data del 10 maggio, così vicina alle elezioni europee, non era voluta ma è stata dettata dalle circostanze, cioè dall’agenda di Prodi davvero fitta di impegni già presi in precedenza».
Stando a Dagospia Beatrice Covassi aveva il suo incarico da parte di Bruxelles in scadenza, ma non avendo ottenuto l’agognata riconferma si sarebbe accasata partiticamente per tornare comunque in Europa da deputato. Che le cose siano andate così oppure no, quel che è certo è che in Europa la Covassi punta a tornarci con la lista del Partito democratico, lo stesso partito che Romano Prodi ha contribuito a fondare e per il quale fa il tifo. Conclusione: la conferenza diocesana sulle elezioni europee avrebbe visto comunque al microfono un pidino, Covassi o Prodi. Zuppa o pan bagnato.

APPENDICE DOCUMENTARIA
La norma cui fa riferimento Romano Prodi in una sua dichiarazione («si è riparato a questo attraverso l’articolo 52») è l’Articolo 17 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, acronimo TFUE, che assieme al Trattato sull’Unione Europea (TUE), costituisce quello che viene comunemente chiamato Trattato di Lisbona.
Ecco il testo dell’Articolo 17 oggi in vigore:
«Articolo 17
1. L’Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale.
2. L’Unione rispetta ugualmente lo status di cui godono, in virtù del diritto nazionale, le organizzazioni filosofiche e non confessionali.
3. Riconoscendone l’identità e il contributo specifico, l’Unione mantiene un dialogo aperto, trasparente e regolare con tali chiese e organizzazioni.»
Va notato che il TFUE è formato di ben 357 articoli, con allegati 37 Protocolli e 65 Dichiarazioni. Decine di migliaia di parole. Fra queste, i lemmi che fanno riferimento alla religione ricorrono solo quattro volte (una volta nell’art. 17, due volte circa il no a discriminazioni su base religiosa, una volta con riferimento al benessere animale in rapporto ai riti religiosi); la parola “chiese” solo due volte, appunto nell’art. 17. Nel TFUE non è presente alcuna altra parola riguardante la fede o il credo religioso, neppure al plurale, dei cittadini europei.
Così anche nel TUE, dove è presente un solo riferimento alla sfera religiosa, in questa riga del Preambolo: «ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell’Europa».

Fonti: TUE – TFUE

Renzo Mattei

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