Il sindaco Gnassi troverà il tempo, tra un evento e l’altro, per aprire i cantieri che contano?

Le mille famiglie riminesi che fanno impresa nel turismo sono state di fatto abbandonate a se stesse, oscurate da sfavillanti "cartoline". E' invece

Le mille famiglie riminesi che fanno impresa nel turismo sono state di fatto abbandonate a se stesse, oscurate da sfavillanti “cartoline”. E’ invece lì che risiede la prima risposta se si vogliono dare prospettive di ripresa e di crescita al nostro turismo ed è lì che risiede l’occasione irripetibile per il complesso delle attività produttive e di servizio legate all’edilizia. Al grande risparmio delle famiglie della piccola impresa turistica riminese va lanciata una sfida per un nuovo ciclo di investimenti.
Ce la farà il primo cittadino? Sono passati tre anni e mezzo dalla sua elezione e non c’e più giustificazione che tenga. Analisi dell’immobilismo che regna nell’urbanistica e che fa spegnere decine di imprese. E delle strade per uscirne.

Dove eravamo rimasti?
E’ quella dello spaesamento la sensazione che rimane addosso se si prova a ricercare il filo del percorso delle vicende urbanistiche della nostra città. L’andamento del dibattito è quello di un fiume carsico che periodicamente riappare alla superficie magari per iniziativa di singoli privati che si ritengono penalizzati da scelte dell’amministrazione o dai rappresentanti degli attori economici, professionali e del lavoro che gravitano attorno al comparto dell’edilizia. Non si intravede però un disegno coerente, con tempi certi per uscire dalla situazione di stallo nella quale versa il settore e l’azione di governo.
Le difficoltà complessive che esso conosce in tutto il paese, l’attesa di nuovi provvedimenti legislativi di carattere nazionale, la consapevolezza sempre più diffusa che le norme regionali in vigore da oltre un decennio si sono dimostrate troppo farraginose e di difficile applicazione, tutto ciò ha creato un clima quasi di rassegnazione fatalistica, come se nulla potesse essere fatto per dare speranza e migliorare la situazione locale con opportuni interventi.
Le recenti richieste di concordato preventivo di molte delle più importanti imprese del settore riminesi, con esiti che in alcuni casi potrebbero portare al fallimento, rendono ancora più drammatico lo scenario.
Il fiume carsico perciò, non sembri una contraddizione, assomiglia sempre più ad una palude nella quale nulla si muove e ci si infervora soltanto per singoli episodi, come il motore immobiliare del Palas o i permessi edilizi per la ruota panoramica sul porto, magari spinti dall’intervento della magistratura.

Intendiamoci, è difficile non essere d’accordo con il Sindaco Andrea Gnassi sulla crociata che ha intrapreso, fin dalla sua campagna elettorale, contro il mattone e la riminizzazione. Si può contestarne il retroterra culturale o discutere il tratto propagandistico che spesso caratterizza la sua iniziativa o ancora la mancata coerenza rispetto a quelle di dichiarazioni di alcune specifiche scelte, ma difficilmente, valutando la qualità urbana che ci hanno consegnato decenni di edificazione caotica e scadente, si può negare la centralità del tema.
Più complicato è capire se gli strumenti scelti per la sua battaglia siano quelli giusti, se possano cioè effettivamente produrre i risultati desiderati o se non rischino invece di consegnare obiettivi condivisibili e necessari, che dovrebbero rappresentare il moderno orizzonte di una città nuova, al mondo dei sogni e delle velleità irrealizzabili.
Un esame di questa natura tuttavia non può prescindere da una osservazione preliminare che riguarda i molti ed accesi critici delle evocazioni del Sindaco, particolarmente coloro che si lamentano, più o meno legittimamente, per le conseguenze sul mercato immobiliare e sulle attività produttive del settore edile. Queste voci purtroppo non si sono levate quando il mercato immobiliare riminese è stato devastato dalle abnormi quantità edificatorie immesse, quando Rimini era diventata la città delle varianti ad personam e si minava la possibilità di tutti i cittadini e di tutte le imprese di potere contare sulla certezza e sull’eguaglianza delle regole.
La sensazione è che, al di là della legittima tutela di interessi di singoli, prevalga in troppi la voglia di rimettere in moto gli stessi meccanismi viziati che sono stati all’origine della bolla immobiliare che si è creata e rapidamente sgonfiata negli anni passati.
Se le imprese dell’edilizia, ad esempio, sono state trasformate di fatto in società immobiliari e sono oggi schiacciate da un invenduto enorme, non può certo essere imputato alle scelte di Andrea Gnassi.
La rincorsa dissennata alla rendita immobiliare, che ha gonfiato il settore dell’edilizia riminese per circa 10 punti percentuali in più della media regionale, era assai prevedibile che finisse malamente, ma nessuno dei protagonisti dell’impresa ha mai richiesto al governo locale di porre un freno, anzi.
Per queste ragioni le richieste da rivolgere a chi guida il comune di Rimini sono, credo, di tipo diverso e dovrebbero assumere il punto di vista proposto dal Sindaco di una netta rottura con il passato come il punto di partenza di una verifica stringente delle molte contraddizioni e incongruenze dell’azione di governo che hanno causato la situazione di stallo attuale.

C’è prima di tutto un problema di procedure, che come si sa nell’ente pubblico hanno la forza della sostanza. L’impressione è che il percorso scelto dal Comune di Rimini non avesse, fin dall’inizio una chiarezza del traguardo da raggiungere. Se l’obiettivo era quello di andare ad una drastica riduzione delle previsioni di edificazione si sarebbe dovuta percorrere una strada diversa, che consentisse, nel contraddittorio tra pubblico e privato, così come previsto dalle norme di legge, di fare valere l’interesse pubblico preminente.
L’esempio del Comune di Milano è illuminante. Il sindaco Pisapia all’inizio della sua sindacatura ha proposto la revoca del PGT (così si chiama nella legislazione urbanistica lombarda il nostro PSC) varato dalla Moratti e rapidamente, utilizzando gran parte del lavoro della giunta precedente, ha concluso l’iter di approvazione del nuovo. Pubblicato in meno di un anno sulla gazzetta regionale, fine della paralisi che a Rimini dura invece da un tempo interminabile.
E’ vero, la legge lombarda prevede un diverso regime di salvaguardia, che ha facilitato le cose, ma la sostanza però è che nel giro di un anno il nuovo PGT è stato definitivamente approvato e pubblicato, gli imponenti tagli alla capacità edificatoria sono stati effettuati e si sono introdotte inoltre innovative misure di liberalizzazione e semplificazione richieste delle imprese che noi neanche ci sogniamo. Insomma gli obiettivi erano chiari e il sindaco ha potuto intraprendere la via più breve per raggiungerli ed anche se tutto ciò non ha risolto la crisi del settore, ha però rapidamente restituito agli operatori un quadro normativo certo non inficiato e paralizzato da doppie salvaguardie come invece avviene a Rimini.
Qui purtroppo l’ascesa di Andrea Gnassi alla guida della città non aveva alla base altrettanta chiarezza e scontava invece un peccato di origine nella scelta di continuità con l’amministrazione precedente il cui esponente di maggiore rilievo, Maurizio Melucci, è stato il suo principale sponsor durante la corsa delle primarie. Insomma per molti mesi ha agito un potente freno politico ad una scelta di rottura con il passato.
Solo recentemente, purtroppo però con grande ritardo, dopo i mesi persi con la presentazione del manifesto politico, rappresentato dal Master Plan, si è affacciata l’idea di iniziare un percorso che pone mano ad atti appropriati, dal punto di vista procedurale, per ottenere la svolta auspicata nella politica urbanistica.
Si potrebbe dire meglio tardi che mai, se però fossero già chiari i tempi e l’approdo, perché in questa indeterminatezza di traiettorie, trovano spazio e legittimazione iniziative di ogni genere. Nel vuoto della politica, nel ripiegamento della cultura delle istituzioni e delle procedure amministrative, la tutela dei diritti veri o presunti rischia di passare ad altri protagonisti, come la magistratura.
Niente di più naturale se si tratta di valutare e giudicare posizioni singole, ma qui è in gioco il futuro dell’economia riminese, l’idea di città che deve accompagnarci nel futuro e non è cosa che possa essere lasciata in surroga a commissari ad acta e a magistrati civili, penali o amministrativi che siano. E’ un compito che spetta, o meglio spetterebbe, alla politica ed alla amministrazione scelta democraticamente dai cittadini. A questo servono le procedure pubbliche più corrette ed efficaci, che sono anche quelle più “garantiste” dell’interesse dei singoli.

Infine è necessario che l’approdo immaginato di questo traiettoria di cambiamento non abbia nulla a che fare con una prospettiva tipo “decrescita felice“, perché la decrescita, felice non lo è mai.
Non si può dimenticare che una fetta molto larga dell’economia riminese afferiva fino a qualche anno fa al blocco edilizio immobiliare (35% circa). Ci sono imprese e servizi, migliaia di lavoratori e professionisti che vivono di queste attività e che la crisi ha colpito drammaticamente.
Si può ragionevolmente puntare ad un progressivo e lento ridimensionamento del settore entro percentuali simili a quelle regionali (cosa per altro già in parte avvenuta come conseguenza della crisi), ma lanciare un messaggio che può essere travisato come segnale di azzeramento, oltre ad essere assolutamente immotivato, costruirebbe le basi sociali di una opposizione e di un rifiuto del governo locale “a prescindere” molto estesi. Si tratta, purtroppo, di un processo già in atto che il voto di protesta nelle sue diverse manifestazioni ha abbondantemente evidenziato.
Va affrontato perciò con grande decisione il tema della rigenerazione urbana come scelta di qualità, ma prima di tutto come scelta di crescita, come scenario che accompagna e fornisce sbocco a quella traiettoria di cambiamento, capace nello stesso tempo di assicurare all’industria dell’edilizia riminese una prospettiva per gli anni futuri.
Da questo punto di vista la necessità di robuste correzioni è più che evidente.
Una scelta esclusivamente basata sulla presentazione e realizzazione (purtroppo ancora aleatoria) di alcune più o meno prestigiose “cartoline” non basta.
Non basta perché una scelta di questo tipo si espone alla critica di chi respinge la prospettiva di puntare su nuove e più presentabili cordate rispetto a quelle del passato, perché comunque cordate rimangono, ma soprattutto perché occorre aggredire alcuni nodi che abbiano la forza di ridisegnare l’insieme del tessuto urbano e che al contempo possano rappresentare una nuova chance per le imprese del settore edile.
Il vantaggio è che questi nodi fanno riferimento a proprietà pubbliche che possono essere interessate da interventi “importanti”, senza alimentare una speculazione immobiliare ormai ridotta al lumicino e perciò più esasperata.
Mi riferisco all’area-chiave della stazione ferroviaria, decisiva per una nuova frontiera della mobilità e per la ricucitura della città storica con la città del mare, ma anche a tutte le aree che afferiscono al demanio detenuto dal Ministero della Difesa.
Quella della Caserma Giulio Cesare che è collocata alla base dell’asse che conduce a San Marino e che con cinquant’anni di ritardo potrebbe rievocare tutte le suggestioni immaginate dal professor De Carlo con il suo centro direzionale. Quella altrettanto importante del Villaggio Azzurro sull’asse della Marecchiese, quella dell’aeroporto, strategica per i destini del nostro scalo, sull’asse che porta sud.
Chi ama Vauban a Friburgo avrebbe di che sbizzarrirsi. Come potrebbe sbizzarrirsi con due segni della storia romana della nostra città, come il Ponte di Tiberio e l’Anfiteatro, o con il tema irrisolto dell’attraversamento urbano del vecchio alveo del Marecchia e del porto canale.

Ciò tuttavia che ritengo imprescindibile è dare un futuro al tessuto urbano che ospita la ricettività turistica. E’ lì che ci giochiamo la partita vera e che la nebbia, da tempo, è più fitta. Nessuno tuttavia sembra curarsene.
Per anni mentre si blaterava di nuove “cartoline” la nostra ricettività ha continuato a scendere vertiginosamente la scala sia della qualità urbana complessiva che di quella dei singoli immobili. Una serie di criticità si sono sovrapposte e sedimentate, dalla mobilità, al mancato adeguamento alla normativa antincendi, da una matrice urbana ormai obsoleta, al declassamento estetico di edifici progettati negli anni ’50, alla mancanza di garanzie adeguate in caso di eventi sismici gravi.
Le mille famiglie riminesi che fanno impresa nel turismo sono state di fatto abbandonate a se stesse, oscurate da sfavillanti cartoline.
E’ invece lì che risiede la prima risposta se si vogliono dare prospettive di ripresa e di crescita al nostro turismo ed è lì che risiede l’occasione irripetibile per il complesso delle attività produttive e di servizio legate all’edilizia.
Al grande risparmio delle famiglie della piccola impresa turistica riminese va lanciata una sfida per un nuovo ciclo di investimenti.
Occorrono molti elementi per lanciare questa sfida, novità di tipo fiscale, di carattere burocratico e normativo, ma soprattutto un nuovo approccio nei regolamenti e nelle previsioni dell’urbanistica che spettano esclusivamente al Comune. Lo scopo è quello letteralmente di rigenerare e ricostruire la nostra zona turistica, che è rimasta sostanzialmente uguale a quella edificata dopo le distruzioni della guerra, negli anni del boom.
Troverà tempo il nostro sindaco tra un evento e l’altro per aprire questo cantiere? Sono passati tre anni e mezzo dalla sua elezione e non c’e più giustificazione che tenga.

Sergio Gambini

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