Illegittimo un pezzo del Piano spiaggia: il Consiglio di Stato dà ragione a un bagnino

Illegittimo un pezzo del Piano spiaggia: il Consiglio di Stato dà ragione a un bagnino

Palazzo Garampi ha un vizio: “Eccesso di potere”.

Secondo i giudici amministrativi il divieto di installare nuovi bar è contrario alla libertà d’impresa.

“Confliggente con la disciplina normativa”, “vizio di eccesso di potere”, “irragionevolezza e nella contraddittorietà della scelta”, “spazi di discrezionalità”, “palesi profili di contraddittorietà e di illogicità”, “eccesso di potere per uso sviato della discrezionalità”, “inattendibile”, “incoerente previsione”, “potenzialmente lesiva dei valori ambientali”, “anticoncorrenziale”: sono le parole, che non ammettono appello, con le quali il Consiglio di Stato ha letteralmente fatto a pezzi una norma del Comune di Rimini.
Non è facile trovare altri casi simili, in cui un testo di valore normativo partorito da fior di dirigenti e amministratori pubblici – dopo anni e anni di studi, costosi incarichi esterni, discussioni in commissione e in consiglio, adozioni, deduzioni, controdeduzioni, approvazioni, varianti e chi più ne ha più ne metta – alla fine del lungo percorso venga stroncato con tale durezza dai giudici.
Questo è proprio ciò che è successo a Rimini per il Piano spiaggia.
La “capitale delle vacanze” balneari dovrebbe essere specializzata nel sapere come si gestisce un arenile, ma al contrario si vede giudicare “illegittima” e quindi annullata dalla magistratura, una norma del Piano stesso. Limitatamente ad un solo articolo, il n. 23, ma non è un’inezia né un articolo qualunque, bensì un pilastro di grande significato economico: quello che non permette l’apertura di nuovi esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, ulteriori rispetto a quelli già esistenti al momento dell’adozione dello strumento urbanistico.
Peraltro non è una decisione improvvisata, ma è l’esito di lunghissima schermaglia iniziata con un ricorso al TAR di Bologna presentato nel lontano 2008 dalla Società Bagno Elio di Lappi Stefano (Torre Pedrera): uno stabilimento balneare che, solo soletto, a parte l’assistenza legale dell’avvocato Sandra Bonfè, ha saputo perseverare e dimostrare le sue ragioni, mettendo all’angolo lo squadrone capitanato dal Comune di Rimini e composto da Provincia e Regione Emilia-Romagna, gli enti che avevano dato via libera alla norma ritenuta illegittima. Fra l’altro il Consiglio di Stato ha assegnato la vittoria nella causa al bagnino di Torre Pedrera, ribaltando quanto deciso in primo grado dal TAR.
Riepiloghiamo quindi la storia dello scontro a colpi di carte bollate.

Nel 2002, all’epoca della giunta Ravaioli, palazzo Garampi comincia a porsi il problema di un nuovo Piano spiaggia coordinato con la nuova legge urbanistica regionale. Con tempi da esodo biblico, nel 2006 si arriva a un primo risultato, subito da modificare perché – udite udite – i tecnici avevano sbagliato una tabella “dimenticando” una concessione demaniale con tanto di chiosco bar soprastante. Per non parlare della contrarietà delle categorie. Nel frattempo era arrivato anche il cosiddetto decreto Bersani di liberalizzazione delle licenze commerciali. Il Piano dell’arenile viene approvato nel 2008 ma subisce una variante, andata in porto definitivamente nel 2011, che comunque non recepiva la liberalizzazione “bersaniana” dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, confermando il contenuto dell’articolo 23 già contestato dall’inizio dal Bagno Elio. Il battagliero bagnino di Torre Pedrera insiste chiedendo nel 2011 l’“annullamento previa sospensione dell’efficacia” degli atti del Piano Spiaggia. Il TAR di Bologna respinge l’istanza, in attesa di sentenziare nel merito. Attesa che si fa lunga. A sorpresa il Consiglio di Stato, cui il bagno aveva chiesto di esprimersi, dà un primo segnale positivo all’operatore economico privato, accettando le sue ragioni e spronando il giudice di primo grado a fissare con sollecitudine l’udienza di merito. Motivo: “il ricorso pone questioni (soprattutto in relazione al delicato tema dei rapporti tra esigenze di pianificazione e programmazione territoriale ed esigenze di liberalizzazione delle attività commerciali) che meritano di essere approfondite nel merito”.

Si arriva al 2013: il TAR di Bologna decide di respingere il ricorso del Bagno Elio: fra i motivi della sentenza, il fatto che la cosiddetta riforma Bersani “ha lasciato ferma la possibilità di prevedere, in astratto, restrizioni all’apertura di nuovi esercizi commerciali fondate su ragioni serie ed ulteriori. Tra queste assumono preminente importanza le prescrizioni contenute nei piani urbanistici, rispondendo all’esigenza di assicurare un ordinato assetto del territorio, che possono porre limiti agli insediamenti degli esercizi commerciali e dunque alla libertà di iniziativa economica”.
Bagno Elio ed avvocato Bonfè non si danno per vinti e tornano ad appellarsi a palazzo Spada. E’ una specie di traversata nel deserto, ma nel marzo 2017 il Consiglio di Stato sentenzia l’illegittimità e l’annullamento dell’articolo 23 del Piano spiaggia.
La motivazione è lunga e molto tecnica. La sintetizziamo così: il decreto Bersani consente una programmazione limitativa da parte dei Comuni, ma solo per impedire un aggravio del carico urbanistico, vale a dire restrizioni limitate a casi eccezionali per proteggere “interessi generali, superiori a quello della libertà d’impresa”. Il vero errore del Comune di Rimini – e degli altri enti pubblici che hanno dato approvazione alla norma – è quello di vietare nuovi esercizi, mentre al contempo prevede nello strumento urbanistico la possibilità di aumentare la superficie degli esercizi già esistenti, fino a 200 mq. E’ in questa contraddizione che i giudici romani affondano la lama: il piano “rivela palesi profili di contraddittorietà e di illogicità, che si traducono nel vizio di eccesso di potere per uso sviato della discrezionalità”. La decisione di far lievitare i chioschi-bar esistenti è “potenzialmente lesiva dei valori ambientali allo stesso modo dell’insediamento di nuovi esercizi”. In più, appare essere una “decisione preordinata a cristallizzare l’assetto di mercato esistente al momento dell’adozione della delibera, impedendo, in chiave anticoncorrenziale, l’accesso ad esso di nuovi esercenti”.

Quali sono le conseguenze della sentenza?
Per ora l’amministrazione non ha dato segno di reazione, favorita dal clima cloroformizzato della politica cittadina.
Si dice che “non cambierà nulla”, almeno nell’immediato. Tuttavia l’ingranaggio saltato nel meccanismo del piano dell’arenile, potrebbe portare novità nell’attuazione dei comparti (o meglio dell’accorpamento degli stabilimenti balneari): una partita che i bagnini stanno giocando non più e non soltanto nei confronti dei chioschisti, ma dovendo guardarsi le spalle dai futuri bandi europei delle concessioni.

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