La cultura statalista che ci rende sudditi del capoluogo regionale

Quant'è lontana la politica al governo a Rimini da quel che cerca di trasmettere Matteo Renzi per il futuro dell’Italia? Molto. Certe rivendicazioni

Quant’è lontana la politica al governo a Rimini da quel che cerca di trasmettere Matteo Renzi per il futuro dell’Italia? Molto. Certe rivendicazioni nei confronti di Bologna, che escono da Palazzo Garampi, hanno il sapore di una sorta di leghismo costiero. E spingono nella direzione anacronistica di aumentare, invece che ridurre, la sfera dell’intervento pubblico.

di Sergio Gambini


Scusatemi se parto da lontano e metto assieme cose diverse, purtroppo però, leggendo la traduzione giornalistica della politica locale, spesso si ha l’impressione che i suoi protagonisti affrontino le questioni della amministrazione e del governo della cosa pubblica come se il nostro territorio non facesse parte del paese.
Al meglio l’orizzonte è quello di un’aspra rivendicazione nei confronti di Roma e di Bologna, ma la narrazione dei nostri guai si ferma lì, come se la drammatica situazione italiana non dovesse indurre interventi anche locali per riformare la macchina e l’intervento pubblico.

Sinceramente non so quali saranno i risultati dei sondaggi demoscopici che misurano il consenso a Renzi dopo il difficile braccio di ferro sul Jobs Act.
Siamo ad un tornante di grandi trasformazioni ed è paradossale che occorra richiamare una forma di misurazione del consenso dell’opinione pubblica per capire se l’impegno riformista avrà la forza per procedere.
Se si dovesse basare solo sul parere e sulle indicazioni delle organizzazioni di rappresentanza e su quello dei principali organi di informazione che gli sono largamente contrari, Matteo Renzi avrebbe già dovuto gettare la spugna da tempo.
E’ riuscito ad andare avanti solo perché le europee sono andate come sono andate e la sua narrazione dell’Italia ha incontrato e continua ad incontrare la voglia di farcela di molti.
E’ tuttavia chiaro che il fattore Renzi ha radicalmente spiazzato e resa evidente l’insostenibile vecchiezza di tanta parte di quei mondi.
Sono diversi anni che la riflessione politica più avvertita si è soffermata sul distacco tra società politica e società civile, tra paese legale e paese reale. Oggi assistiamo ad un fenomeno inedito che sposta la frattura invece dentro la società civile e specularmente dentro la società politica.

Una buona spia di questo strano clima politico e culturale è un dato che ha sorpreso gli esperti del settore: il crollo di audience dei talk show televisivi.
La polemica è rovente, ma i telespettatori se ne stanno alla larga e si sono dissolte consolidate comunità di ascolto
La verità è che accendi lo schermo e sai già cosa diranno. Tutti, con uno stile sempre più simile ed urlato, contro Renzi, contro l’Euro, contro i tagli della spesa, contro le nuove regole del mercato del lavoro.
Siccome non si intravede nessuna proposta credibilmente alternativa l’unico sapore che rimane è una voglia disperata di conservare lo status quo.
Di usare la vecchia lingua dei piccoli e grandi privilegi, di dileggiare il cambiamento in atto perché troppo timido, poco efficace, incompleto, lento. Col risultato che alla fine sembra si inviti a non cambiare nulla.
Gli ascolti crollano, perché c’è una parte di questo paese, invece, che avverte che così non si può andare avanti e che è disposta a rischiare i propri privilegi e le proprie rendite di posizione, per scommettere su un percorso nuovo. E’ una parte del paese che chiede una nuova narrazione e vuole farsi nuova comunità.

La prova del fuoco di quel percorso, oltre al passaggio alla Camera del Jobs Act, sarà la presentazione della Legge di Stabilità.
Siamo ancora alle slides, ma l’intento e chiaro, se Renzi vuole mantenere le promesse di diminuzione del carico fiscale e di rilancio degli investimenti, la stangata sul sistema pubblico sarà assai consistente.
Ministeri, Regioni, Comuni, società pubbliche, municipalizzate e partecipate varie dovranno fare la loro parte, pesantemente.
“Per le prossime elezioni nazionali del 2019, a mio avviso, sarebbe giusto scendere dagli 8.000 Comuni italiani a 2.500 azzerando i Comuni con meno di 15.000 abitanti. Verrà cambiato l’assetto del paese”. Queste sono parole recenti di Piero Fassino.
Non era mai successo che il presidente dei comuni italiani si facesse interprete della necessità di una svolta come questa.
L’aria insomma è cambiata e non sarà più consentito che i tagli delle risorse destinate dallo stato centrale agli enti territoriali si trasformino, pur di conservare antichi assetti, in un aumento della pressione fiscale a livello locale. Dovranno tradursi invece in una robusta spending review dal basso. Fine dello scaricabarile.
D’altra parte i comportamenti virtuosi (vedi fusione dei comuni di Poggio Berni e di Torriana) dimostrano che se si cambia è possibile generare anche a livello locale un dividendo di risparmio da distribuire ai cittadini in termini di minore pressione fiscale.
Quanta mole di lavoro ci sia da fare da questo punto di vista è evidente. Dovrebbe monopolizzare la discussione pubblica locale, perché si tratterà di vincere forti resistenze, di progettare diversi assetti del pubblico che elevino la qualità e minimizzino i sacrifici per i cittadini.
Sono i presupposti per la costruzione di un nuovo spirito di comunità che, lo dico con grande rispetto per i successi dei vari circenses pubblici che animano le notti riminesi, ha bisogno di qualcosa di più solido di quella che un tempo si sarebbe chiamata “cultura dell’effimero”.

Torniamo alla narrazione nostrana ed alla sua stupefacente lontananza da quella che cerca di trasmettere Matteo Renzi per il futuro dell’Italia.
Non so se ho capito bene, ma mi pare che il fulcro del ragionamento proposto dai vertici delle istituzioni locali, suoni come un lungo elenco di richieste rivolte a Bologna.
Al nuovo governo regionale verrà domandato di mettere mano al portafoglio e ingiunto di rendere disponibili importanti risorse pubbliche. Una rivendicazione un po’ confusa, fatta con la voce roca, da leghismo costiero.
Non è ben chiaro di cosa stiamo parlando. Sembra più una lista della spesa, nella quale stanno assieme cose molte diverse. Infrastrutture civili a gestione necessariamente pubblica come il sistema fognario e infrastrutture della mobilità come l’aeroporto che, dopo il fallimento, saranno necessariamente gestite da privati. Ma ci sono anche la Fiera, il TRC ed altro ancora. Neanche fossimo negli anni ’80, in pieno deficit spending e immersi in un orizzonte statalista.
Ad un calcolo approssimativo parliamo di molti milioni, ma soprattutto di impegni che, in alcuni casi, ignorano del tutto l’obbligo di tagli in cui sarà coinvolto, volere o volare, l’intero sistema pubblico della nostra regione.
E’ un film già visto, quello nel quale da Rimini arrivano a Bologna proposte irricevibili, oppure suggerimenti che spingono nella direzione anacronistica di aumentare invece che ridurre la sfera dell’intervento pubblico.
E se invece a Bologna dicessimo con la forza necessaria che chiediamo risorse mirate ed in quantità credibile, perché per altre infrastrutture ce la caveremo da soli, aprendoci al mercato e facendo una rigorosa spending review dal basso? Magari anche verificando scrupolosamente la fattibilità, i benefici reali e le eventuali alternative od integrazioni per opere pubbliche come il TRC.
E’ invece la cultura statalista che ci rende sudditi del capoluogo regionale. Il modello Hera per le fiere o per gli aeroporti, ammesso che fosse percorribile dal punto di vista finanziario, farebbe del nostro territorio solo terra di conquista per qualche holding a controllo pubblico con il cervello altrove.
Siamo stati, e forse lo siamo ancora, una delle aree regionali più dinamiche ed aperte alla competizione. E’ quella l’identità migliore della nostra comunità ed è anche la nostra carta forte da giocare per tutte le infrastrutture che possono essere convenientemente gestite da privati.
Al pubblico vanno imposte altre priorità, come insegnano le drammatiche giornate di Genova. Per quelle priorità, sono certo, i pugni sul tavolo a Bologna o a Roma sarebbero disposti a batterli tutti, come può e deve fare una vera comunità.

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