La Fondazione Carim in cerca di identità (e risorse)

La Fondazione Carim in cerca di identità (e risorse)

Anche per il 2020 l'ente di Palazzo Buonadrata potrà contare su soli 210mila euro da distribuire nei quattro settori che contraddistinguono la sua attività istituzionale. E' aperto il dibattito interno su come garantire un futuro, utile anche per il territorio, a questa importante istituzione. Ma lo scoramento si avverte: l'ultima assemblea generale non ha raggiunto il numero legale.

Erogazioni col freno a mano tirato anche per il 2020, ferme a 210mila euro come nel 2019, quando furono inferiori, seppure di poco, a quelle dell’anno precedente, cioè 225mila euro. E’ lo stato dell’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, che ora deve concretizzare l’obiettivo di battere strade nuove per darsi un diverso assetto e soprattutto assicurarsi un futuro, partendo dalla mai realizzata dismissione degli assets patrimoniali di natura immobiliare. Lo sottolineano caldamente anche i revisori dei conti.

L’attività istituzionale si è ridotta considerevolmente negli ultimi anni: solo nel 2012 la Fondazione distribuiva 2 milioni 900mila euro (ma in precedenza molti di più), quindi 1 milione 900mila sia nel 2013 che nel 2014, poi 1 milione 700mila, 1 milione 300mila nel 2016 e dal 2017 il vistoso calo: 660mila, scesi ulteriormente lo scorso anno e nel 2019. Quel che è successo è molto chiaro: banca Carim ha smesso di erogare dividendi, fino a diventare di proprietà di Crédit Agricole.

Nel 2020 la Fondazione prevede di distribuire queste somme nei quattro settori di intervento: 10mila euro per arte, attività, beni culturali, 150mila euro per educazione, istruzione e formazione (assorbiti da Uni.Rimini), 25mila euro per volontariato, filantropia e beneficenza, e 25mila euro per lo “sviluppo locale ed edilizia popolare” e qui l’uscita è a favore del piano strategico (destinatario di 25mila euro nel bilancio 2018), di cui la Fondazione è socio fondatore e partner anche nell’Agenzia del piano strategico.
Va detto che questi 210mila euro arrivano quasi interamente dalle risorse accantonate negli esercizi precedenti.

Nel 2018 la Fondazione ha ceduto l’intera partecipazione azionaria detenuta in Carim a Crédit Agricole, incamerando appena 0,194 euro per ognuna delle 27.948.323 azioni detenute, pari a 5.421.975 euro.
Come un ricco nobile caduto in disgrazia, la Fondazione riceve qualche “aiutino” esterno: su progetti di comune interesse, sui quali però chi elargisce vuole avere una determinante voce in capitolo, Crédit Agricole anche per il 2020 dovrebbe mettere a disposizione oltre 500mila euro per iniziative in campo sociale e culturale. Così come il Fondo di solidarietà derivante dalla associazione fra fondazioni di origine bancaria dell’Emilia Romagna (circa 100mila euro).
Nota positiva, nel 2020 non si prevede un disavanzo, come invece da consuntivo 2018 e previsione 2019.

Visto che è inutile piangere sul latte versato, il tema per la Fondazione è quello di guardare avanti: in che modo? Il dibattito interno è aperto. Che fare sul fronte delle entrate. I costi di funzionamento continuano a calare ma i tagli non bastano. Occorre intervenire sui beni immobiliari e finanziari e aumentare i ricavi, operazione più facile da enunciare che ha mettere in pratica.
Che aria si respira all’interno della Fondazione? Un segnale lo ha fornito quel che è accaduto in occasione della assemblea generale del 28 ottobre scorso, che all’ordine del giorno aveva anche e soprattutto il documento programmatico di previsione per l’esercizio 2020: è “saltata” per mancanza del numero legale, evento raro o forse unico nella storia della Fondazione.

COMMENTI

DISQUS: 0