Le Poste di Miramare non vanno demolite: un punto clamoroso nella lunga querelle con gli eredi Ceschina

Le Poste di Miramare non vanno demolite: un punto clamoroso nella lunga querelle con gli eredi Ceschina

La vicenda che contrappone gli eredi Ceschina a Poste Italiane e al ministero dello Sviluppo Economico dagli anni 90 è arrivata ad una conclusione almeno per la questione più importante: il bene resta pubblico perché deve essere garantito "lo svolgimento funzionale ed efficiente del servizio postale nel fabbricato", anche se costruito su un'area di proprietà dei Ceschina e occupato "d'urgenza" a metà degli anni 80.

La vicenda che contrappone gli eredi Ceschina a Poste Italiane e al ministero dello Sviluppo Economico, comincia negli anni 80 e verte su un’area di circa 1.600 metri quadrati sulla quale, a seguito di una “occupazione d’urgenza”, venne edificato il palazzo delle Poste di Miramare.
I Ceschina chiesero la restituzione del terreno e il risarcimento dei danni per il mancato godimento del bene, sottratto loro nel 1985. Ebbero la meglio davanti al Tar dell’Emilia Romagna che annullò gli atti espropriativi con una sentenza del 1996 confermata anche in appello nel 2004. Seguirono altri ricorsi e nel 2013 il Tar sentenziò che l’area in questione andava restituita ai legittimi proprietari. Fu però una decisione “parziale” che lasciò aperta una porta a Poste Italiane: “…accoglie, nei sensi di cui in motivazione, la domanda di restituzione dell’area illegittimamente occupata e, per l’effetto, condanna Poste Italiane S.p.A. alla reintegrazione dei ricorrenti nel possesso di detta area, salvo che – nel termine di centoventi giorni dalla notificazione a cura di parte della presente sentenza – intervenga un provvedimento di acquisizione ex art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 …”.
L’amministratore delegato di Poste Italiane dispose l’acquisizione del bene al patrimonio dell’ente e quantificò il dovuto ai Ceschina in 65.142 euro, ritenendo però di non dover sganciare un solo euro in quanto era già stata riconosciuta ai Ceschina una indennità di espropriazione di oltre 165.500 euro.

Ma a questi ultimi la soluzione non andò a genio, anche perché Poste Italiane non aveva fra l’altro motivato a dovere l’interesse pubblico all’origine della occupazione dell’area e perché l’atto acquisitivo sarebbe stato viziato da incostituzionalità (ecco perché la definizione della querelle ha anche dovuto attendere il pronunciamento della Corte costituzionale sulla legittimità costituzionale di un articolo del Testo unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità).

Nel 2015 il Tar decise (ma con sentenza ancora non definitiva) che, in effetti, Poste Italiane non aveva fornito una adeguata motivazione per avallare il “pubblico interesse” perché ometteva “di illustrare le inderogabili ragioni di interesse pubblico che eccezionalmente legittimano la misura acquisitiva e il sacrificio del diritto di proprietà dei ricorrenti, non essendo a tal fine sufficiente il generico richiamo al carattere pubblico del servizio postale”.

E siamo alla nuova sentenza, depositata nella giornata di ieri. Nel maggio del 2016 Poste Italiane ha adottato un “nuovo provvedimento di acquisizione sanante dell’immobile”, che questa volta secondo il Tar “risulta congruamente motivato” ed anche dimostrata la “extrema ratio”. Il servizio pubblico postale di Miramare eroga un servizio “ad un bacino di utenza di circa 23.000 abitanti in una località densamente urbanizzata”, vi è la “oggettiva irreperibilità, in base al vigente strumento urbanistico del comune di Rimini” di aree alternative aventi le stesse caratteristiche previste dalla legge, nelle quali potere trasferire il suddetto ufficio postale e la demolizione dell’ufficio postale che “da 25 anni garantisce quotidianamente e in modo efficiente un servizio pubblico” è palesemente contraria all’interesse pubblico, oltre che antieconomica. Inoltre, il terreno non è utilizzato dai proprietari dal lontano 1985 ed ha una ridotta capacità edificatoria (è classificato “verde attrezzato e servizi stradali”) per cui “rispetto al delineato interesse pubblico all’acquisizione, risulta recessivo quello dei privati precedenti proprietari”.
Per quanto riguarda invece la valutazione dell’immobile fatta da Poste Italiane e il calcolo dell’indennizzo, il Tar rimanda al giudice ordinario.

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