L’ostensorio della Dea e il trono di Verucchio: nuove congetture

L’ostensorio della Dea e il trono di Verucchio: nuove congetture

A Verucchio è possibile ipotizzare la soluzione di due grandi problemi storici importanti: com'era la religione etrusca prima dell'influenza greca e perché la donna etrusca in epoca storica manteneva numerose posizioni di potere.

I POPOLI DELLA DEA E GLI INDOEUROPEI
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Le statuette ‘steatopigie’ femminili preistoriche sono le ben note rappresentazioni del corpo femminile con sviluppo ipertrofico delle masse adipose e muscolari dei seni, delle cosce, del ventre e dei glutei. Semplificando alla grande, dopo o contemporaneamente ai dipinti sulle pareti delle grotte testimonianze di popolazioni sciamaniche di cacciatori, queste immagini femminili sono tra le prime rappresentazioni estetiche e culturali di una società ai primordi che le archeologhe femministe hanno definito come l’insieme dei “popoli della Dea”. La Dea sarebbe la divinità che caratterizza al femminile tutto il periodo del Neolitico con la nascita della religione, dell’arte, dell’agricoltura, dell’allevamento di animali domestici, della scrittura.
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Dagli anni ’70 del secolo passato le femministe hanno scoperto dei fatti storici mai prima affrontati: la diffusione dei popoli che adoravano una Dea Madre, diffusi nella “Europa antica”, intorno al Mediterraneo, nell’Asia minore e nell’India, ma anche altrove. L’archeologo marchigiano Leandro Sperduti calcola una durata del fenomeno storico complessivo della Dea di 40 mila anni, dal tardo Paleolitico a tutto il Neolitico con persistenze fino all’Età del Ferro. La vulgata femminista propone un cosmo culturale a predominanza femminile nell’Europa antica che sarebbe terminato con le invasioni dei popoli indoeuropei, pastori guerrieri di origine caucasica o dalle pianure dell’Ucraina e della Russia, forti nell’arte della guerra per la scoperta dell’arco e delle frecce, del carro da guerra e domatori del cavallo. I popoli che le archeologhe e storiche femministe chiamano Kurgan hanno messo fine con la guerra e con l’assimilazione culturale al regime della religione, società e potere della Dea, e si sono appropriati delle varie manifestazioni dell’unica Dea trasformandole in divinità individuali: madri, spose e figlie dei loro Dei maschi – Joseph Campbell (1904-1987) Dee. I misteri del divino femminile, Tlon, Roma 2024, p. 35 -.
Lo stesso autore tuttavia ipotizza una ricomparsa della Dea nel VII secolo a. C., testimoniata nell’Iliade, un periodo interessante per Verucchio come vedremo – in Dee cit. p.126.
Inoltre il Campbell analizza fenomeni simili di predominio maschile in altre aree culturali, come la Siria, la Mesopotamia, l’Egitto ad opera di invasori semiti, popoli del deserto.
Per Marija Gimbutas (1921-1994), archeologa e storica lituana emigrata negli States, la crisi della religione e della cultura dei popoli della Dea sarebbe avvenuta tra il 4300 e il 2800 prima di Cristo.
La stessa archeologa prende in esame la religione e la cultura etrusca, nella sua prima fase villanoviana. Siamo in tempi meno arcaici. Etruschi, con Verucchio la prima Ariminum, e Celti nell’VIII e VI secolo a.C. sono popoli della Dea come i Minoici, ma l’influenza indoeuropea di tip culturale li travolge, mediata dai Micenei, non dovuta a scontri e invasioni – Marija Gimbutas, Le Dee viventi, Medusa, Milano 2005, p 234 e ss, 243 e ss –.
Perdura un tradizionale silenzio su queste ipotesi matriarcali da parte delle archeologhe e degli archeologi della tradizione ‘scientifica’ e accademica, impegnati nelle campagne di scavi di reperti preistorici e protostorici, e capaci di descrizioni minuziose dei dettagli, ma con teorizzazioni carenti quanto alla genesi estetiche, religiose e sociali dei popoli della Dea, minoici, celtici, etruschi e altri, in particolare qui tratteremo dei Villanoviani ed Etruschi di Verucchio. Anche ai ragazzi solitamente ben preparati della divulgazione on line – cito per tutti gli eruditi e simpatici Valentino Nizzo, Gioal Canestrelli, Mattia Scarpetta – manca il prima nella trattazione della donna etrusca e della religione etrusca, che viene descritta solo come appare dopo la riforma greca indoeuropea. Questo silenzio è stato di recente violato dall’archeologo marchigiano Leandro Sperduti, già citato, con un magistrale saggio, quasi un’omelia, sulla Grande Madre online.
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L’immaginario religioso estetico dei popoli della Dea è illustrato nel testo fondamentale Il linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea madre nell’Europa neolitica di Marija Gimbutas preparato negli anni dal 1975 al 1985. La tesi generale di una preminenza femminile dal tardo Paleolitico per tutto il Neolitico fino all’Età del Ferro e l’attribuzione alle donne dell’origine della teologia materna, dell’arte, dell’agricoltura e della scrittura sarebbe dimostrata e concluderebbe certi discorsi senza capo e già accennati come quelli sulla religione degli Etruschi che viene presa in considerazione esclusivamente nella sua fase di influenza greca micenea e posteriore; o quelli nell’ambito dell’importanza delle donne etrusche, descritto come una costante, ma in realtà senza accorgersi che si tratta di un potere residuale e declinante.
In questa prospettiva storiografica femminista vedremo a Verucchio dal nono e ottavo secolo prima di Cristo la fase primitiva della religione villanoviana etrusca quando appare una sola Dea, forse l’Uri etrusca, sia pure in molteplici personificazioni, accompagnata da figure sacre maschile ma di minor rango.
La Dea è madre della vita di vegetali, animali e umani, ma è anche signora della morte; è ‘il’ Luna che come Dea nelle tre fasi corrispondenti alle tre età delle femmine: bambina, signora, vecchia, è la signora degli animali, e l’incarnazione di numerosi animali femminili ma anche maschili, scrofe e tori. Campbell presenta un’articolazione in questo vasto territorio della Dea, la Dea della Terra e la Dea del Cielo apparsa quest’ultima dopo secoli di osservazioni dei fenomeni celesti. La Dea è anche ‘la’ Sole, nominato al femminile, la capostipite, nella fase declinante della religione della Dea e in epoca ellenistica-romana, di una dinastia di maghe e di streghe da Circe e Medea che arriva alle oraziane Canidia e alla nostra Folia. La Dea è la padrona dei destini e le sue sacerdotesse sedute in troni con suppedanei celebrano il rito della filatura e tessitura che rappresenta simbolicamente il potere della Dea sulla vita degli umani, come poi in ambito greco faranno le Moire – Joseph Campbell, Dee cit. p.35 –.
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LA SIMMETRIA SPECULARE, CHIAVE DI COMPRENSIONE E DI RAPPRESENTAZIONE
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Una particolarità formale – un significante – si nota nelle rappresentazioni sacre.
Già le statuette ‘steatopigie’ del tardo Paleolitico si presentano nel corpo simmetricamente perfette per la posizione eretta e per la bipartizione simmetrica speculare: il corpo umano è simmetrico diviso in due parti da una linea ideale verticale, le quali parti sono speculari, uguali ma rovesciate o invertite come le immagini allo specchio. E possiedono nell’ombelico il centro del corpo e dell’universo. Considerate un’ipotesi spaziale: intorno a queste due metà simmetriche e speculari del corpo femminile si crea un’aura spaziale di forma sferica che definiamo tuttora con le posizioni del corpo umano a cui da sempre siamo abituati: testa / piedi – sopra/sotto -; destra / sinistra; davanti / dietro: uno spazio totale e speculare. Quando il cielo notturno e diurno sarà familiare agli astronomi e alle astronome protostoriche, questa sfera prenderà forme geometriche più precise rimanendo peraltro antropomorfa.
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Sembra tutto ovvio e banale, invece queste dimensioni corporee, che le donne della Dea proiettarono nello spazio, alcuni astronomi oggi ancora le proiettano nel cosmo come la sua forma intera. E rivelano dei significati inaspettati in diversi ambiti che ci mettono di fronte a verità nuove, anche se alla fine sembrano le scoperte dell’acqua calda. Per dirne una: in uno dei suoi seminari, lo psicoanalista francese Jacques Lacan (1901-1981), che era amico fraterno del filosofo che ha studiato la percezione sensibile Maurice Merleau Ponty (1908-1961), scrive che non si può appendere un quadro astratto capovolto. Straordinaria e ovvia intuizione, l’alto/basso rivela la inaspettata struttura antropomorfa dell’arte pittorica astratta – sulla contrapposizione tra astrattismo e organicità si è consumato un secolo di dispute assurde, si veda il mio saggio in Rimini 2.0 sul monumento della resistenza nel parco fratelli Cervi di Rimini.
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Un accenno bisogna pur fare perché apre molte strade interessanti all’indagine teorica dell’argentino Ignacio Matte Blanco (1908-1995) che sposa la psicoanalisi alla matematica, e contrappone il simmetrico – caratteristica dell’inconscio e dell’infinito matematico – all’asimmetrico – caratteristica del determinato e del conscio logico. Forse nelle ragioni di Matte Blanco si trova la chiave per penetrare nella mente dei nostri lontanissimi antenati umani della cultura della valle dell’Ariminus che stiamo esplorando.
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L’ARCHETIPO PROTOSTORICO: L’OSTENSORIO DELLA DEA DI VERUCCHIO VIII SECOLO PRIMA DI CRISTO
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Uso il termine “archetipo”, strumento gnoseologico di Carl Gustav Jung (1875-1961), perché permette di individuare una sequenza dì immagini o di temi, di diversa cronologia e di diverse culture, a partire da un’immagine originaria, che può presentarsi con varianti di dettaglio, per mezzo della quale è possibile ordinare in sequenze certi fenomeni immaginali simili. Nel nostro caso si tratta di un archetipo spaziale locale e cosmico che ha le caratteristiche di simmetria speculare del corpo umano.
La cultura villanoviana etrusca di Verucchio del IX-IV secolo prima di Cristo, che verrà sintetizzata più sotto, rappresenta la cultura religiosa politica e artistica “popoli della Dea”, della grande cultura matriarcale come ce l’ha presentata Marija Gimbutas, anche se probabilmente in una forma tarda e forse finale.
E tuttavia l’immaginario e il simbolico di tutte le raffigurazioni trovate negli scavi di Verucchio mostra la religione etrusca nei suoi primi tempi ancora determinati dall’unità della multiforme ma unica Dea – “è sempre lei” scrive Leandro Sperduti in molte altre situazioni -, prima che le sue molteplici ipostasi dovessero condividere il pantheon con divinità maschili.
A Verucchio potrebbero esserci problemi ancora aperti sulla condizione femminile e sul potere già forse messo in crisi o probabilmente condiviso tra maschi e femmine. Le rappresentazioni nel dossale del trono – in particolare il tema ipotizzato della lotta per il potere tra due donne, la vecchia regina e la giovane pretendente – potrebbero essere ormai mitologia e non rappresentare più la situazione storica reale della città villanoviana etrusca. Joseph Campbell fa risalire al VII secolo a.C. un ritorno della Dea in area micenea – sulla porta di Micene la Dea è rappresentata come una colonna in mezzo a due leoni o grifoni simmetrici, un’astrazione della Signora degli animali – a spese di Zeus – si veda Dee cit. pp.124-125 –.
Lo stesso autore allarga la sua visione all’intero mondo antico dove quasi negli stessi tempi avvengono altre invasioni; citiamo tra le altre quelle dei Semiti abitanti dei deserti allevatori e predoni che invadono l’Asia minore e le terre del meridione del Mediterraneo, con i loro Elohim che si liberano totalmente delle consorti incarnazioni della Dea – Joseph Campbell, Dee cit. p. 31 –.
Nell’VIII secolo tra i lussuosi oggetti dei corredi funebri delle sacerdotesse e dei guerrieri verucchiesi, a principale testimonianza del perdurare in questa società villanoviana etrusca della religione della Dea, è emerso un piccolo oggetto prezioso, una specie di ostensorio che ricorda anche la nostra acquasantiera domestica, che potrebbe avere avuto per i Villanoviani Etruschi di Verucchio il valore che per noi oggi ha il Crocefisso.
Si tratta di una tazzina sostenuta da un daimon maschile nudo dalla testa leonina. Questo essere demonico maschile potrebbe essere ‘antenato di Ercole che porterà sul capo la testa di leone. Il piccolo recipiente, forse destinato a offerte di cibo o di liquidi alla Dea, ha una grande ansa che raffigura la Dea degli Animali in piedi, con funzione di asse verticale, con ai lati due animali simmetrici speculari; contiene la Dea un doppio cerchio; su quello esterno vediamo una processione di cinque figurine animali in discesa dal vertice, cinque a destra e cinque a sinistra.
Nella scheda dedicata all’esemplare 1-2/1970 – in Le ore e i giorni delle donne a cura di Patricia von Eles, edito da Pazzini Verucchio 2008, p. 183 – Tiziano Trocchi elenca i numerosi esemplari dell’ostensorio trovati a Verucchio e nelle città etrusche di Roselle, Vetulonia, Chiusi, Bisenzio, Veio, e cita l’interpretazione di Marco Pacciarelli della figura sacra femminile e della relazione con il cosmo.
Ci sono nei sepolcri di Verucchio in questa tipologia anche rappresentazioni ‘astratte’ della Dea, che appare in altre forme astratte fino alla semplificazione puramente geometrica del doppio cerchio vuoto che appaiono in gran numero come elementi decorativi in cinture e negli oggetti, come nel cinturone Lippi tomba I/1984 – si veda la scheda di Carlo Negrini nell’opera citata a p. 167.
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LA DEA AD CIRCULUM
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La Dea ad circulum è la Dea degli Animali, creatrice delle diverse forme di vita nel mondo terreno ma qui con valore cosmico, come “Madre cosmo” – Joseph Campbell, Le Dee cit. p.135 -. Rappresentata in asse nel suo ostensorio tra due animali simmetrici, la Dea mostra un punto concentrato di significati religiosi e spaziali, una sorta di mappamondo cosmico-religioso espresso nella forma circolare a sua volta antropomorfa. Anche le forme geometriche perfette sono simmetriche speculari: sezionata la sfera mappamondo in un cerchio, diviso da un diametro verticale, si ottengono due metà simmetriche speculari come quelle di un corpo umano. Lo stesso fenomeno è visibile in tutte le figure geometriche regolari; siamo sempre nella serie della scoperta dell’acqua calda. Come appare dall’analisi delle immagini negli altri oggetti, per esempio nella spalliera scolpita del trono che stiamo per esaminare, la Dea ad circulum con le sue forme simmetriche speculari fornisce, nell’insieme e dentro l’illustrazione narrativa, una sorta di meccanismo formale gnoseologico originario: le simmetrie speculari indicano il tutto-uno e le due parti che lo formano. Queso schema corporeo cosmico antropomorfo fornisce il criterio complessivo della rappresentazione in tutte le produzioni visive, anche nelle raffigurazioni particolari degli spazi locali, nelle sequenze narrative nelle quali un’artista deve sistemare visivamente le storie o i miti della Dea e delle sue sacerdotesse.
Vedremo che in questi racconti o presentazioni di singole storie e miti, gli artisti verucchiesi villanoviani etruschi usano nella presentazione di cose, animali, vegetali e persone, le sequenze degli spazi doppi speculari, come se fossero le uniche ‘logiche’ descrittive spaziali e temporali possibili dell’unità della storia. Lo spazio sacro della Dea deve dare forma anche alle scene rappresentabili del microcosmo umano.
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IL CRITERIO SIMMETRICO SPECULARE NELLA RESA DELLO SPAZIO DEI RACCONTI IMMAGINALI E SIMBOLICI
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Esamineremo quindi, con criterio ‘filologico’, nel senso di aderente alle forme concrete delle rappresentazioni, un monumento davvero speciale di simmetrie speculari plurime: il dossale del trono di Verucchio.
La rappresentazione simmetrica speculare passerà indenne nei secoli e la si può trovare nelle rappresentazioni in maestà di figure e arme araldiche del nostro medioevo e dei secoli seguenti, come altrove ho precisato.
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IL TRONO DI VERUCCHIO
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Fu scoperto in frammenti lignei dal Sovrintendente Vinicio Gentili (1914-2006) nella necropoli Lippi, tomba 89 anno 1972 (Patrizia von Eles, scheda nell’opera citata p. 185 vedi sotto). Ricomposto, è oggi custodito nel Museo di Verucchio.
La forma speciale del trono è ornata nel dossale da una ‘grande’ composizione – e dico ‘grande’ perché pur avendo misure da miniatura, appare nella struttura visiva come il modello di un vasto affresco -. Probabilmente non si tratta di una composizione originale nel senso di unica, ma una scena di repertorio politico religioso ripetuta: si è scoperto un frammento ligneo presumibilmente della stessa tipologia compositiva in un’altra tomba.
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L’insieme appare nella sua struttura spaziale strutturata come lo spazio sferico dell’universo antropomorfo della Dea; la sfera però in realtà è qui modificata come una palla da rugby schiacciata – strana analogia con l’immagine dell’universo non multiverso che troviamo online –. Il senso cosmico è dato da sette ‘ruote’ circolari a sei raggi. Se la nostra lettura persuade, per reiterazione della forma perfetta, potrebbe trattarsi ancora del cerchio col corpo astratto della Dea, incorniciato da quattro e più cerchi di tondini e linee.
Tutta la composizione è incorniciata anche da sequenze di circoletti semplici e doppi, infinite reiterazioni astratte della Dea in ripetizioni decorative. Le sette ruote le interpretiamo in senso cosmico come ”le sette potenze planetarie” della “Regina del cielo” e cioè, con i nomi che presero nei tempi del patriarcato ellenistico-romano, Luna, Sole, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno” (Robert Graves, I miti greci pp. 3 e 21). Si vedano questi dei astrali etruschi e classici ancora ‘vivi’ nella Cappelle dei Pianeti nel Tempio Malatestiano.
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Tutto lo spazio tra le cornici e le figure delle scene del dossale del trono di Verucchio è occupato da animali, cerve e cervi, cigni o anatrelle, scimmie, uccelli con qualche tratto di vegetazione, secondo l’effetto di pieno che assicura la composizione detta horror vacui – orrore del vuoto – che simboleggia la gioiosa fecondità e creatività della Dea nella gran quantità dei viventi.
Un frammento ligneo di un mobile trovato in una tomba di Verucchio rappresenta un coito, starei per dire una “scena primitiva”: i due protagonisti sono uno di fronte all’altro a significare quanto meno una pari dignità nell’atto, non un attivo e una passiva, uno sopra e una sotto. La donna ha il potere creativo della Dea.
Le sette ruote si sovrappongono alle scene della fascia superiore, ma toccano anche quella inferiore.
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IL DOPPIO DUELLO DELLE DUE DONNE
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Al centro delle due fasce che dividono l’ovale ci sono due scene simmetriche verticali, non speculari. Sono il centro doppio che esprime il significato principale del trono: come avviene la mutazione delle regine. Le due figure protagoniste di ogni scena nucleare corrispondono nel numero e nell’azione.
Sono scene di duello tra due donne – connotate tutt’e due dalla lunga treccia come ogni figura femminile del dossale –. In entrambe le scene, una donna alla nostra sinistra raffigurata più alta e quindi più attempata: la vecchia regina; l’altra donna alla nostra destra è più bassa e la facciamo più giovane: la pretendente al titolo. L’interpretazione che si tratti di due regine, quella in carica e quella vuole ucciderla per prendere il suo posto, verrà giustificata più sotto. Intanto cerchiamo di descrivere queste scene centrali.
Per renderci conto che le braccia delle figure sono destre o sinistre, come coi guerrieri, dobbiamo immaginare i corpi di fronte al nostro. La cosa è difficile però perché le donne sono viste di fianco. Se riusciamo a individuare destra e sinistra delle donne di fronte ai nostri lati come già affermato, ma anche qui repetita iuvant: troviamo che sono destre le mani e le braccia che vediamo davanti alla nostra sinistra, mentre sono sinistre quelle che stanno davanti alla nostra destra. Non sono in grado di vedere bene nelle modulazioni dei resti lignei delle foto – pubblicate nel volume Guerriero e sacerdote a cura di Patricia von Eles –, e tanto meno nelle aree dell’originale. Giovano i bei disegni della von Eles a linea continua, ma si dovrebbero considerare anche i rigonfiamenti e i tagli delle figure lignee che indicano la posizione delle braccia verso di noi davanti o dietro nelle figure.
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IL DUELLO SUPERIORE
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Alla nostra sinistra, vediamo la donna più alta che teneva in alto una spada – scomparsa -, probabilmente del tipo di quella della donna più bassa, dal manico a due alette. Questa donna più alta, dalla foto che mediante un’ombra sotto il braccio, che la colloca verso di noi, ci appare con il braccio destro armato davanti, e tiene con il braccio sinistro in basso – che sembra separato dal corpo – uno scudo rotondo piccolo raffigurato di lato. Tiene la spada con la destra, e lo scudo nella sinistra, dunque è nella posizione realistica. La donna più bassa, dalla foto che con un’ombra mostra il braccio sinistro rilevato verso di noi, tiene la spada con il braccio sinistro in alto, e lo scudo con la destra in basso. In questo caso, la tenuta della destra e della sinistra non è reale ma è speculare. Mi chiedo se questa inversione serva allo scultore per avere simmetrici i dettagli delle due spade in alto e dei due scudi in basso.
Una migliore descrizione analitica che rilevi in modi più precisi le rotondità dei muscoli per definire meglio la destra e la sinistra, potrebbe dare risultati più precisi.
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IL DUELLO INFERIORE
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La seconda scena di duello tra due donne, una leggermente più alta alla nostra sinistra e una meno alta alla nostra destra, rappresenta in simmetria verticale non speculare, un raddoppio con varianti per l’episodio principale della storia o meglio del mito rappresentato. Qui tutta un’estesa rappresentazione fa da cornice a un duello tra due donne, che riteniamo sempre una più vecchia e una più giovane. Ma potrebbe essere una rappresentazione gerarchica tra due donne in realtà di altezza pari, solo la regina in carica ha un corpo più grande per gerarchia formale dimensionale.
La scena del duello inferiore, come stiamo per vedere, ha infatti un triplice contesto doppio, in gran parte simmetrico speculare.
Al centro, la donna più alta tiene con il braccio destro in alto qualcosa che potrebbe essere un abito; simbolicamente, vedremo, l’abito regale o di cerimonia – con le maniche divise in due parti. La statua di una vestale massima, conservata nel Museo delle Terme di Diocleziano di Roma, mostra la veste inferiore della sacerdotessa con maniche separate e allacciate per il lungo con nastrini. La spada tenuta con la sinistra e l’abito con la destra sono il segno della parte non realistica della rappresentazione.
La donna leggermente più bassa tiene l’abito con la sinistra, e tiene la spada con la destra come se fosse un pugnale che cala verso il basso. Salvo migliori autopsie, fatte da qualcuno che ci veda meglio di chi scrive, che tengano meglio conto, se possibile, dei rilievi lignei delle braccia e quindi che permettano un migliore posizionamento di spade, scudi e abiti.
Complessivamente, credo si possa dire che si tratta della doppia rappresentazione di un solo duello. Un duello in raddoppio verticale visibile anche nella posizione delle figure, che però sono tutte e quattro verticali e non sono capovolte. Ma lo scudo rotondo e l’abito potrebbero significare due tempi o due tipologie del duello.
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I GUERRIERI, I GIUDICI DI GARA E I BAMBINI
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La scena inferiore del duello ha una cornice narrativa simmetrica speculare. Ci sono quattro guerrieri disposti due e due ai lati della scena delle duellanti. I due alla nostra sinistra tengono con la destra una lancia, e con la sinistra uno scudo che copre tutto il corpo visto di lato; e tengono la testa voltata, come indica l’elmo, presumibilmente verso il duello – oppure non lo stanno guardando? La visione potrebbe essere interdetta -. I guerrieri alla nostra destra invece tengono lo scudo con la destra e la lancia con la sinistra. Sono dunque figure speculari; forse sono pensate reali ma invertite nelle posizioni come omaggio simmetrico speculare al sacro corpo della Dea. Guerrieri e duellanti sono su un palco che ha dei cigni nuotanti alla sua base – il fiume Ariminus? – mentre su un alto seggio due figure maschili con un bastone sembrano i giudici di gara di un campo da tennis. Sulla sezione di un muro che ha un’ala prospettica di traverse di legno, un bambino accovacciato con una bacchetta o bastone per parte. Anche questo teatrino simmetrico prospettico, con figure umane di incomprensibile significato, a parte il significato della rappresentazione della società che assiste all’evento, indica l’importanza e la centralità del duello tra le due donne, già accentuata dalla simmetria verticale.
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I DUE CARRI DELLA FASCIA INFERIORE
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Fanno subito venire in mente i due carri conservati agli Uffizi di Firenze ma provenienti da Urbino del trionfo di Federico di Montefeltro e della giovane e sfortunata moglie Bianca Sforza, opus di Piero della Francesca, pittore che ha anche altre profondità archetipiche. Ha visto una rappresentazione arcaica poi scomparsa?
I carri di Verucchio sono rappresentati di fianco; con i due lati brevi simmetrici inseriti alle estremità del corpo lungo, ma con le ruote viste di fronte. Un nodo ‘prospettico’ arcaico di rappresentazione su un’unica superficie piana di superfici in profondità – come nei volti di profilo delle figure egiziane con l’occhio rappresentato di fronte; troviamo queste sovrapposizioni persino nel VI secolo d.C. sui mosaici della fronte dell’abside di S. Apollinare in Classe a Ravenna, la testa del bue simbolo dell’evangelista Luca è rappresentata di profilo ma il muso è frontale.
Sui due carri simmetrici speculari troviamo delle varianti: su quello di sinistra, dietro il conducente che tiene le redini di due cavalli, su un seggio è raffigurata una figura maschile che ha in mano lo scettro del cuculo o di Era. Probabilmente il re; dietro il re due figure femminili si chinano su una cesta o un vaso dentro il quale si intravvede un tondino che potrebbe essere la testa di un bambino. Viene alla mente la figura della gigantessa femminile dalla lunga treccia che mette un bambino dentro un vaso, nel calderone celtico di Gundestrup, nel riquadro dove i guerrieri appiedati hanno uno scudo alto quanto il corpo; anche i Celti erano o erano stati un popolo della Dea. Segue il carro una figura maschile. L’altro carro simmetrico speculare presenta alcune varianti: sul seggio è seduta una figura femminile, la regina, e intorno al cesto o vaso con la testa del bambino ci sono due figure maschili. Sul cesto una sorta di composizione a bicchiere contenente una sfera che non so interpretare.
Mi sembra che la simmetria speculare dei due carri possa indicare che si tratti di un solo carro di trionfo o di esibizione di maestà forse della regina vincitrice. Le varianti distinguono le due forme di potere, quello virile in aumento e quello arcaico femminile in diminuzione. Sul cesto col bambino vedi sotto.
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LE SCENE SUPERIORI
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Mediante simmetrie speculari formali: due capanne-tempio, ognuna con due sacerdotesse che preparano un cibo da ritenere sacro – sul tipo della mola salsa com’è stato interpretato – ; due doppi telai, che forse significano un solo telaio e per di più con una sola faccia reale, allogato in un solo tempio, fanno un contorno simmetrico speculare al duello superiore, più stretto di quello sottostante. Tempio e telaio indicano probabilmente il centro religioso politico, il tempio e la reggia.
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L’INTERPRETAZIONE SECONDO I MITI DELLA DEA SCOPERTI DA ROBERT GRAVES
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Il poeta e storico della mitologia, l’inglese Robert Graves (1895-1985) nell’opera I miti greci (1955, Longanesi 1993) a partire dalla mitologia greca ricostruisce con ipotesi sorprendenti la mitologia dei popoli della Dea che precede le invasioni indoeuropee e la mitologia greca. In Grecia i Kurgan sono i Dori, gli Achei e gli Eoli che hanno sostituito tra il 4500 e il primo millennio la civiltà minoica, le cui regge, spazzate via dall’eruzione del vulcano Santorini, scrive con commovente ottimismo Elvio Facchinelli ne La mente estatica, in riva al mare non avevano le mura massicce di Micene. Vero che le regge minoiche non avevano le mura, ma le difese erano interne ai grandi palazzi, consistevano nella loro complessità labirintica. Una visione meno ottimistica del regime delle regine dei popoli della Dea è propria di Graves:
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“In questo complesso religioso non vi erano né dei né sacerdoti, ma solo una dea universale e le sue sacerdotesse: la donna dominava l’uomo sua vittima sgomenta.” (I miti greci p.22).
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Ma quando in tempi anteriori le sacerdotesse regine si accorsero che il maschio aveva un ruolo nella procreazione e gravidanza, cominciarono lentamente a valorizzarlo. La regina si prendeva un giovane che l’ingravidava e regnava per un anno, alla fine del quale il re veniva sacrificato. Con il passare degli anni, il periodo di vita del re si allungò; poi nel sacrificio venne sostituito da un interrex e infine da un bambino, al quale il re cedeva la sua identità regia per un giorno. Il bambino veniva sacrificato e il re ritornava sul trono. Nel cesto o giara sui carri c’è il corpo del bambino sacrificato?
Ed ecco le ragioni del duello: la regina assumeva il potere dopo avere ucciso la regina precedente. Così si regolava la successione della grande sacerdotessa di Atena, nello scontro annuale delle vergini di Neith a Sais (Erodoto IV, 120; Robert Graves p. 36).
Mi sembra che questo mito di Sais possa spiegare il duello tra le due donne, la vecchia regina e la pretendente del trono di Verucchio. Qualcosa di analogo succedeva nel tempio di Diana nel Lazio dove un nuovo sacerdote prendeva il posto del vecchio che aveva ucciso.
Sul carro trionfale nel cesto forse c’è il cadavere del bambino che ha sostituito il re nel sacrificio. Non siamo affatto sicuri che nella Verucchio villanoviana etrusca questo costume sanguinario fosse ancora in vigore; si trattava piuttosto di un mito che raccontava la storia delle regine dei tempi arcaici.
Non presento questa interpretazione come ‘vera’, ma solo come un punto di partenza di nuovi sentieri interpretativi per arrivare a ipotesi meglio fondate. Ci si ricordi che nella interpretazione delle storie del trono siamo partiti dal materialista “ciclo della lana”.
Si tratterà di cercare in ambito etrusco, ma non solo, altre prove consistenti di simmetrie speculari e di parentele con i tesori archeologici di Verucchio.
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Patrizia von Eles ha curato gli ultimi scavi e la costruzione del museo di Verucchio; alla fine della sua scheda scrive:
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“L’interpretazione di tutta la rappresentazione deve essere cercata nell’ambito di cerimonie o culti nei quali ha un ruolo fondamentale una simbologia legata al mondo della natura e a manifestazioni cosmiche (le ruote raggiate e gli uccelli) cerimonie in cui le donne svolgono il ruolo primario”.
Nelle sue ultime pubblicazioni – Le ore del sacro, il femminile e le donne, soggetto e interpreti del divino?, Pazzini Verucchio 2007 – anticipa in sostanza quanto sopra descritto.
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