Ma gli industriali di Rimini non dovevano contribuire al salvataggio di Banca Carim?

Ma gli industriali di Rimini non dovevano contribuire al salvataggio di Banca Carim?

Sono vicini i tempi in cui si leggevano dichiarazioni in tal senso da parte del presidente di AssIndustria.

In questo triste scivolamento della Cassa di Risparmio di Rimini verso le fauci di un nuovo azionista di riferimento, che la sottrarrà, di fatto, dall’orbita dell’omonima Fondazione, vanno evidenziate almeno due caratteristiche che di rado sono pubblicate dalla interessata superficialità dei commentatori.
In primis non si può non notare la debolezza dei vertici della Cassa di Risparmio di Rimini e della sua Fondazione. Infatti, è impensabile che non si potesse e tuttora non si possa fare qualcosa di più rispetto allo strapotere delle ispezioni e del commissariamento di CARIM da parte della Banca d’Italia, che da anni sembra impegnata ad incardinare l’intera organizzazione bancaria del Paese su pochi e grandi istituti di credito (guarda caso tra i principali azionisti della stessa Banca d’Italia), impoverendo, di fatto, l’articolato e diffuso sistema bancario territoriale che in qualche modo serviva a dare credito e sostegno finanziario all’altrettanto diffuso e articolato sistema di imprese della media e piccola industria, dell’artigianato, del commercio e delle libere professioni. Chiudendo un cerchio che lascia ben poco all’immaginazione e che anche a Rimini, come in altre parti del Paese, realizzerà lo scopo di sottrarre quote di autonomia e gran parte delle capacità decisionali dal territorio di appartenenza.
Quello riminese già povero di suo, per debolezze di vario tipo: da quelle della rappresentanza politico-istituzionale (da sempre), a quelle dell’incapacità di fare squadra, unità e sintesi su obiettivi di interesse comune. Da quelle derivanti dalle limitate dimensioni delle singole imprese (per esempio degli alberghi e strutture ricettive in genere) a quelle di carattere strutturale [per esempio nel sistema delle infrastrutture: strade, porti, ferrovie, aeroporti (!)], senza riuscire a creare e sviluppare relazioni, convergenze e collaborazioni con i territori vicini e concorrenti.

In secondo luogo l’origine privatistica della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini, cioè non derivata da fonte pubblica come gran parte delle altre Fondazioni bancarie d’Italia. Per meglio dire: la Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini e quindi la sua banca, traggono origine da finanziamenti di privati cittadini. Caratteristica di non poco conto se si pensa che quell’origine privatistica dovrebbe imporre atteggiamenti, decisioni e orientamenti convenientemente coerenti da parte dei vertici della Banca e della Fondazione. Ma quali vertici?
Sarà stato saggio mettere a capo della banca un presidente modenese che con Rimini poco “c’azzecca”? E un direttore che, pur essendo di scuola Bankitalia, è alla sua prima esperienza di direzione generale di un istituto di medie dimensioni?

Si era pensato che un presidente della Fondazione espressione degli industriali riminesi avrebbe potuto incrementare la capacità di ricapitalizzazione da parte di quel ceto imprenditoriale. In realtà l’apporto più evidente che certi mondi hanno dato al destino della Banca è stato il contribuito dei soliti “prenditori” che, con i propri default aziendali, hanno pregiudicato il già difficile equilibrio economico-patrimoniale di quella che un tempo era considerata la banca di riferimento della provincia di Rimini. Eppure sono vicini i tempi in cui il presidente di AssIndustria gonfiava il petto nel dichiarare che gli industriali di Rimini avrebbero contribuito al salvataggio della Banca, sottraendola dalle grinfie di un cavaliere bianco che oggi ha la ghiotta occasione di farsene un sol boccone con un investimento ridotto, grazie ad una serie di errori e non scelte (quanto tempo perso parlando, e solo parlando, di fusioni e piani industriali), il tutto ripartito fra palazzo Buonadrata e piazza Ferrari. Arriviamo così agli ultimi ripetuti esercizi di bilancio, di certo non brillanti e appesantiti da continue imposizioni di classificazione del credito da parte degli ispettori di Banca d’Italia.
Darsi per vinti è sempre sbagliato. Nonostante le avversità generali, le debolezze elencate e la intrinseca modestia del sistema locale, può esserci ancora l’energia e l’intelligenza per evitare la fine ingloriosa della Cassa di Risparmio e di conseguenza della Fondazione. Sarebbe un miracolo! Ma crederci non costa nulla.

M.S.

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