Perché sono grato a Renata Tosi

Perché sono grato a Renata Tosi

La lettera di un trentenne che ha incrociato sul proprio cammino quello del sindaco di Riccione.

Antefatto.
Sono un giovane. Ho 30 anni. Sono uno di quelli che sarebbe dovuto diventare un grillino. Odio la politica e tutti quei vecchi che stanno lì a difendere la poltrona facendo leggi per continuare a fregarsi i soldi.
Il mio giudizio è sempre stato “non ho nulla da imparare da voi, non mi affascinate, cercate di non interferire nella mia vita perché mi fate schifo e, alle circostanze che avrebbero potuto implicare una presa di posizione, rispondevo cordialmente che avevo da fare e che non c’è sicuramente tempo da perdere in questo mondo di ladri.

Primo fatto.
Vengo invitato da un mio collega (riccionese), nel dicembre 2014, a un incontro pubblico dal titolo “Riccione il buon governo – al lavoro per il bene di tutti” nel salone comunale di Riccione. Non sono un riccionese, ma lavoro qui.
Vedo lì per la prima volta il nuovo sindaco, Renata Tosi. Il quale aveva invitato l’autrice di un libro (che non avevo letto) sul governo della Siena del XIV secolo. Non so bene perché ho deciso di partecipare a quell’incontro, fatto sta che è stato davvero interessante. L’autrice descriveva quello che oggi sembra fantascienza, invece si tratta di storia. I politici dell’epoca venivano eletti dal popolo e lavoravano duramente al suo servizio. Il “bene comune” era ciò per cui essi spendevano le loro energie. A conclusione dell’incontro il sindaco prende la parola e, ringraziando la relatrice, dichiara di essere interessata a creare una classe politica per muoversi proprio in tal senso. Una politica a servizio dell’uomo, delle imprese, della popolazione e della città di Riccione.

Secondo fatto.
Nel mio nuovo lavoro mi capita di dover relazionarmi con enti pubblici, con dipendenti pubblici… “benvenuto nel mondo!” mi ha detto qualcuno con i capelli più bianchi dei miei. Non c’è competenza, competitività, c’è invece inerzia, insomma si batte la fiacca. Ma il problema non è nemmeno questo. Il problema è che poi ti devi relazionare con questi illustri signori, non puoi mica bypassarli.
Tutto questo per dire che cresce sfiducia e malcontento verso istituzioni e cosa pubblica.

Terzo fatto. La svolta.
Vengo invitato dal mio collega a cena con il sindaco. Un’occasione imperdibile. Incuriosito da questa elegante signora mi presento alla cena pieno di domande e aspettative. I conti non mi tornavano. Lei aveva ereditato un team di dipendenti comunali, pubblici, come quelli di cui parlavo prima. La vedevo spesso sul giornale o sui social tutta affaccendata in mille iniziative una più creativa dell’altra. Le ipotesi che avevo erano fondamentalmente due: la prima, mire espansionistiche o di carriera politica; la seconda, un lauto stipendio che giustificasse questo suo operare.
Devo confessare che c’era nel mio cuore una speranza latente che non fosse come tutti gli altri.
Ci sediamo un po’ imbarazzati, eravamo cinque ragazzi di 30 anni. Lei cortese e accomodante viene tempestata di mille domande di tutti i tipi: “ma chi te lo fa fare?” oppure “ma quanti soldi ti danno per accettare un impegno del genere?” e ancora “perché tu vuoi lavorare a servizio del bene comune?”.
Siamo andati a casa contentissimi dopo quella cena. Ho incontrato una persona, non solo un politico. Renata non ha avuto paura di descrivere le sue fatiche e ciò che la appesantiva. Mi ricordo che il punto che mi aveva più affascinato era lei, la sua persona, la sua grinta, il fatto che sembrasse instancabile.
Sotto un fuoco incrociato di domande, che non avevano filtri di nessun genere, che è tipico dei ragazzi giovani, feriti, che non hanno paura di chiedere e a cui non la si racconta troppo facilmente, lei tiene banco, argomenta, racconta, si apre.
Quella sera lì io ho toccato con mano un volto diverso della politica. Non lo faceva per la fama, non lo faceva per i soldi, non lo faceva per la carriera politica. Lo faceva per lei stessa. E infatti si vedeva. Era felice. Come chi ama quello che fa e quindi lo fa con gioia, ma anche impegno, determinazione, professionalità.
Io ringrazio il sindaco Renata Tosi perché grazie a lei, attraverso di lei, un giovane italiano che aveva abbandonato l’interesse alla politica, ha cominciato a sperare ancora.
Una canzone che è stata scritta quando mio padre aveva 18 anni comincia così: “Mi sono alzato mi son vestito e sono uscito solo solo per la strada, ho camminato a lungo senza meta finché ho sentito cantare in un bar”.
È quello che è successo a me. Il punto interessante di questa canzone scritta da Mogol e Carlo Donida è tutto lì, in quel “finché”.
La vita va, con le aspettative disilluse tipiche di un trentenne che vive in Italia nel 2017, e poi a qualcuno (fortunato come me) capita di imbattersi in una possibilità diversa. Non so come andrà a finire, ma io sono immensamente grato a questa persona.

Un trentenne che ha conosciuto Renata Tosi

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