Vicino a quella panchina di via Coletti è stato ammazzato il giovane senegalese Macka Niang nella notte tra il 17 e il 18 aprile. Perché in piena estate è ancora transennata e con la pedana a pezzi?
E’ la notte tra il 17 e il 18 aprile. Macka Niang, senegalese ventisettenne, è seduto su una panchina in ferro messa pochi anni fa a corredo del nuovo ponte di San Giuliano. La panca poggia su un impiantito di doghe che imitano il legno, in modo da risultare un piccolo palco.
La seduta, perpendicolare al ponte di via Coletti, permette di scorgere la statua dedicata a Federico Fellini, posta più in basso, sul lato destro del fiume, appena defilata, ma dalla personalità imponente e intricata come quella del regista. Sempre sulla destra, il lungofiume degli artisti (da nove anni una sorta di galleria d’arte all’aria aperta), con i variopinti murales illuminati anche di notte, accompagna il Marecchia a morire in Adriatico. In quella notte di primavera perde la vita anche quel giovane africano, raggiunto da due proiettili sparati forse per scambio di persona, vendetta, gelosia o razzismo; ancora non si sa.
La Polizia di Stato ha arrestato due albanesi, ma le indagini sono tuttora in corso. A proposito di indagini: la pedana di doghe è stata smontata pezzo per pezzo per permettere agli inquirenti di cercare con più agio, ogive, bossoli o comunque tracce, utili all’inchiesta. Da quando è avvenuto il delitto, sono trascorsi più di due mesi e mezzo. Per forza di cose, la vita deve riprendere il proprio ritmo o, come si direbbe a teatro, “lo spettacolo deve continuare”. E’ un esercizio che talvolta può apparire cinico, ma come detto, la cadenza della vita lo impone.
In questo lasso di tempo, qualcuno (dall’etichetta sulle transenne, e gli incarichi che si leggono sul sito dell’azienda, si direbbe Anthea) avrebbe dovuto ripristinare la pedana per ridare alla visione panoramica d’insieme l’aspetto che aveva prima del fatto di sangue. E’ doveroso per gli abitanti, per coloro che qui svolgono la loro attività e per i turisti che ignari dell’accaduto, non si capacitano nel vedere una panchina inspiegabilmente transennata e lastre di plastica e lamiere di ferro ammassate là, in qualche modo. Le considerazioni che fanno gli esercenti di zona non sono affatto benevole. Si coglie una nota di insofferenza. La cosa viene giudicata una sciatteria nei confronti degli ospiti, specialmente quelli stranieri (in prevalenza nordici, dicono) che non sono abituati quanto noi alle oramai croniche negligenze e al disordine che vedono nel Bel Paese.
“Pare un gran problema”, ci dice il proprietario di un albergo poco distante, “rimettere a posto quelle quattro tavole in croce. Qui, a tutti è dispiaciuto per quel poveretto morto ammazzato nel fiore degli anni, mi creda. A distanza di tanto tempo però, bisogna che tutto torni come prima. Abbiamo fatto i salti mortali per trasformare quell’argine un po’ triste in un luogo che in molti vengono a fotografare, vuoi per la scultura dedicata a Fellini, vuoi per le casette di pesca su palafitte piuttosto che per ammirare le pitture sui muri. Dopo tutto questo, all’inizio del percorso ci si trova davanti quell’ammasso disordinato. Per carità, non è la fine del mondo, tuttavia, che ci vuole?”.
In effetti, il Lungofiume degli Artisti non è certamente la via Krupp di Capri e nemmeno la Promenade des Anglais di Nizza, ma il selvatico romanticismo dello scenario è coinvolgente quanto basta per invogliare alla passeggiata sull’argine del fiume e cogliere dalle immagini dipinte sulle pareti delle case un distillato di verace comunicazione visiva, possibilmente alla luce di un tramonto ruffiano. Il nostro interlocutore ci pare abbia ragione. Basterebbe uno sforzo minimo per ridare decoro al luogo. Tra l’altro, mentre parliamo con l’imprenditore, attraversando il ponte notiamo che le doghe della passerella pedonale hanno diversi buchi. Quando metteranno mano alla pedana della panchina, siamo fiduciosi che sostituiranno anche quelle antiestetiche tavole rotte.
“Perché non provate a telefonare ad Anthea per sollecitare un intervento rapido?”, chiediamo. “Macché telefonare, l’ultima volta che ho chiamato per far presente un problema ci sono voluti mesi, prima che intervenissero”. In verità, ancora una volta, pensiamo che l’albergatore sia nel giusto.
Abbiamo anche noi qualcosa da ridire sugli interventi di Anthea e come di consueto, ci avvarremo di adeguata documentazione fotografica. Nel frattempo, auguriamoci che finalmente qualcuno si muova. Se possibile, prima di Natale.
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