Il cartellone teatrale riminese è come la Rai: ci sono tante belle cose di cattivo gusto. E qualche spettacolo per scandalizzare la bigotta di provincia o l’albergatore arricchito con la Ferrari in doppia fila. La cultura non è avvertita come una necessità ma come un’impellenza sociale.
Quanto costa la stagione teatrale?
Per capire qualcosa del tuo Comune, caro riminese, devi essere Alberto Tomba. Ergo: addestrarti nell’arte dello slalom. Esempio: la stagione teatrale dei teatri riminesi – l’orrore staliniano del ‘Novelli’ e la sobria ‘bomboniera’ degli Atti. Per capire quanto costa – i dati sono ancora parziali – devi scaricare e consultare 14 determine dirigenziali. Poi tirare le somme. Tra servizi stampa, affissioni e – soprattutto – cachet artistici siamo arrivati, per il momento, a 384.010 euro. Per la cronaca, gli spettacoli più cari sono stati The Pride (e te credo, c’era Luca Zingaretti, il Commissario Montalbano sotto altre spoglie), che è costato 36.960 euro, Cabaret della Compagnia della Rancia (34.650 euro) e la Fedra di Seneca con Laura Marinoni (33mila euro al nostro teatro regionale, nonché nazionale, Ert). Costa tanto, costa poco? Poco c’importa, l’importante è che il cartellone sia eccitante. Beh, ecco… il cartellone teatrale riminese è come la Rai: ci sono tante belle cose di cattivo gusto. E qualche spettacolo per scandalizzare la bigotta di provincia o l’albergatore arricchito con la Ferrari in doppia fila. La cultura, insomma, non è avvertita come una necessità ma come un’impellenza sociale, un dovere civico. Ragion per cui, si tenta di architettare un cartellone che accontenti tutti – senza far impazzire alcuno. Si va a teatro come si fa la pipì, d’altronde, per soddisfare la biologia e poco più – l’erezione, comunque, non avviene mai.
Il sogno proibito del Teatro di Tradizione
Il SuperGiovane Sindaco di Rimini, tuttavia, crede nella cultura come credibile ancella del turismo. Cioè: mette soldi e tante – forse troppe – idee. I soldi, sfogliando il Bilancio di previsione del 2017, sono, per “Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali”, 6 milioni di euro. L’idea forte è quella di tramutare il Teatro Galli in Teatro di Tradizione, “insieme agli altri 6 presenti nella nostra regione (Ferrara, Reggio Emilia, Parma, Modena, Piacenza, Ravenna)”, scrivono i nostri eroi amministrativi nel Dup. Un progetto, segnalano, “plausibile ma difficile senza un forte impegno delle istituzioni locali. Bisogna tener conto che si tratta delle eccellenze dei teatri di tradizione in Italia, un punto di arrivo molto ambizioso”. Sul tema ‘che ne facciamo ora del Galli?’ questa testata ha scritto tanto. L’ambizione di diventare Teatro di Tradizione non guarda alla gloria, è ovvio, ma alle mammelle di Stato, gonfie di euro. Quanto ai soldi destinati “per l’anno 2016” tramite il Fondo Unico per lo Spettacolo ai Teatri di Tradizione, leggiamo che i più ricchi sono il ‘Bellini’ di Catania (1 milione e 339.686 euro) e il ‘Regio’ di Parma (1.153.945 euro), seguiti dalla Fondazione Ravenna Manifestazioni che incassa 935.453 euro. Cifre importantissime, ma che non servono a coprire neppure una annata di Sagra Musicale Malatestiana riminese. Ogni Teatro di Tradizione, poi, ha una storia societaria propria. Ad esempio, nella Fondazione Ravenna Manifestazioni, che emana anche il Ravenna Festival, notevole calamita di finanziamenti statali (leggendo il Bilancio del 2015, incassa tra Stato, Regione e Comune 2 milioni e 606.593 euro), ci sono in tanti, tutti, dal Comune di Ravenna alla Provincia, da Confcommercio, Confesercenti, Cna, Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna a Arcidiocesi e Fondazione Arturo Toscanini. Nella Fondazione Teatro Comunale di Modena (872.554 euro dal Fus), invece, bastano alla bisogna il Comune e la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena. Ora, non è che la congiuntura bancaria riminese faciliti, oggi come oggi, la costruzione di una Fondazione ad hoc per gestire il ‘Galli’…
Lo Stato preferisce i Motus alla Sagra
Nel sottobosco statalista, poi, va detto, la Sagra Musicale Malatestiana (per cui il Comune ha ricevuto dal Fus 83.358 euro) è meno attraente dei Motus, associazione teatrale riminese d’avanguardia che a questo giro di Fus ha incassato 93.529 euro (ma l’“Impresa di produzione di teatro di innovazione nell’ambito della sperimentazione” – rima imbarazzante e tautologia spuria – che incassa di più è la ‘Raffaello Sanzio’ di Cesena con 351.231 euro). Tanto vale che il Comune incarichi i Motus di gestire una stagione teatrale ‘d’avanguardia’, agli Atti, chessò, magari ne vedremo delle belle. Già perché il problema della gestione teatrale è un bubbone grosso così. Al di là delle utopie – in attesa che il bozzolo del ‘Galli’ divenga la farfalla di una Teatro di Tradizione – tocca essere concreti. La stagione teatrale riminese, pur con la buona volontà degli amministratori pubblici e dei dirigenti-direttori artistici, è grigia, priva di grinta, di personalità. Va bene per gli abbonati di una certa età e per gli studenti obbligati a teatro sotto tortura di prof. Che fare? La cosa più semplice. Delle scelte. Scegliere qualcuno che scelga. Con criteri chiari, abolendo il contentino a tutti e a tutti i costi – i teatri, si sa, sono un eletto bacino elettorale. E differenziare il progetto teatrale. Per il contemporaneo, ad esempio, congiungersi all’Associazione Riccione Teatro, che detiene il premio di drammaturgia contemporanea più longevo e più celebre d’Italia. Anche lì, tuttavia, i problemi proliferano: Riccione Teatro lavora, attualmente, senza soldi pubblici – la quota societaria del Comune, di 70mila euro – perché il governo è caduto senza deliberare in merito. E questo è l’anno dei 70 anni del Premio Riccione – nel 1947, per inciso, vinse il premio tale Italo Calvino. In Riviera, davvero, pare che la cultura sia l’ultimo dei problemi. E noi paghiamo il biglietto.
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