Collaboratore di Silvio Ceccato, amico di Lucio Fontana, Pino Parini è una delle intelligenze più corrosive di questo Belpaese di beoti. Ha costruito il primo robot e ha firmato un paio di antologie scolastiche memorabili. Sue opere sono custodite al Museo della Città. Ma in città tutti lo ignorano.
Nel bunker di un genio
Din don. Rimini, zona marina, nei dintorni dell’Embassy. Casa assai gradevole, nobile. L’uomo che mi apre pare una icona di marmo. Sorride. Se gli aprissi il cervello, ora, con un tagliacarte, chissà quanti universi scopriremmo. Pino Parini ha compiuto 93 anni a gennaio, il suo studio, ricavato in un margine della casa, sembra la grotta di Diogene, il bunker di un genio. Parini, metrando in modo buffo, è uno degli uomini più intelligenti di questo Belpaese di cretini.
Non ho bisogno di riposare sul cuscino della verità
“Come sta?”, gli faccio, pernottando nel formalismo. Lui rompe subito gli schemi. “Non mi chieda come sto, come vuole che stia? La vecchiaia è orrenda. Mi chieda, piuttosto, cosa sto leggendo”. Mi correggo. “Cosa sta leggendo?”. Venga con me. Lo seguo. Una pila di libri. “Mi sto occupando di meccanica quantistica. Mi pare la teoria che spieghi meglio il funzionamento del cosmo. Anche se tutti questi scienziati hanno un difetto”. Quale? “Ontologizzano”. Cioè? “Infine, pensano di avere ragione”. E perché non dovrebbero credere di avere ragione? Lui mi guarda come se fossi un po’ scemo. In effetti, al cospetto di Parini mi sento un polpo più che un essere umano. Gli occhi di Parini sono spalancati, mobili, curiosi. Come quelli di un bimbo. “Senta, ho visto che ha studiato Cristianesimo antico, mi interessa, mi spieghi meglio”. In realtà le domande le dovrei fare io… “…certo, devo dire che Dio in quanto metafora è affascinante. Ma, mi dica, non crede che San Francesco sarebbe più interessante senza il pensiero dell’aldilà?”. Le stavo chiedendo dei fisici che studiano la meccanica dei quanti… “Giusto, ha ragione. Beh, sbagliano anche loro. Le interessa come la penso?”. Sono qui per questo. “Ho scoperto proprio ora, nella vecchiaia, in questa insopportabile vecchiaia, che tutto quello che dico è una supposizione. Mi sono ripulito dal bisogno inconscio di riposare sul cuscino della verità. La supposizione, vede, non ha una soluzione di verità, ma possiede un dinamismo evolutivo. Per questo, le intimo di non prendere per vero nulla di quello che dico”. Che colpo da biliardo filosofico.
Alle origini dell’Intelligenza Artificiale
Pino Parini si è quasi incidentalmente diplomato all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Era il 1948, il suo maestro è stato Giorgio Morandi. Mi mostra delle acqueforti. Di lucida bellezza. “Ne avrò realizzate centinaia. Solo per amici. Non saprei quanto valgono e non me lo chieda”. Per capire chi è davvero Parini occorre sfogliare un articolo de L’Europeo del 1964. Il magazine, diretto all’epoca da Giorgio Fattori, affida a Gianni Roghi un servizio intitolato “Sotto il segno della mente”. Un “gruppo di pittori romagnoli” lavora insieme a Silvio Ceccato, il pioniere della cibernetica, per comprendere come funziona il cervello di un artista di fronte al quadro. “Estetizzare le forme convenzionali, ripetute, come quelle che spesso tracciano i bambini è facile, poiché rispondono a criteri di economia mentale, che è a fondamento della percezione”. Questo dice Parini al giornalista, visibilmente sbalordito. Quel gruppo di artisti, che con tenacia fondono l’estetica alla scienza, sta tentando “di costruire una macchina capace di operazioni mentali, una macchina che sia in un certo modo un modello della mente umana”. Insomma, siamo agli albori del robot, alla genesi dell’Intelligenza Artificiale. Proprio quell’anno, gli artisti si riuniscono nel Gruppo V – che sta per ‘visione’ – una delle più avventurose esperienze estetiche di quegli anni, che ribollono di creativi – in campo letterario nascerà di lì a poco il Gruppo 69. Il Gruppo V, capitanato da Parini, è tutto riminese: tra i membri illustri ci sono pure Gerardo Filiberto Dasi e Vittorio D’Augusta. A seguito del convegno fondativo, accaduto a Rimini, il Gruppo V espone ad Avezzano, a Milano, a Zagabria, a Ferrara.
La cultura è un massacro. E i filosofi vogliono la morte dei loro avversari
L’ultima fotografia pubblicata da L’Europeo è la più interessante. Pino Parini disegna su un grosso foglio le forme principali della percezione visiva. Silvio Ceccato ha lo sguardo verso l’alto. In mezzo a loro, Lucio Fontana, l’artista che ha squarciato la tela, il padre del ‘movimento spazialista’. Sembra una specie di Scuola di Atene in scala ridotta, fantascientifica, ambientata nello studio di Fontana. “Devo riconoscere però, che allora abbiamo compiuto degli errori”, dice oggi Parini. Quali? “Ceccato con il suo Centro di Cibernetica, di cui mi onoro di essere stato un collaboratore, sia chiaro, rimase legato alla necessità di una soluzione definitiva. Non aveva capito che le nostre idee sono probabilistiche e mai assolute, che non possiamo credere ciecamente in ciò che hanno scritto Hegel, Shelling, Fichte, perché l’unica storia della filosofia possibile è una storia provvisoria della filosofia”. Ma lei, con il Gruppo Operazionista di Ricerca Logonica (che è qui: www.logonica.eu), un insieme di parole che è il luna park dell’intelletto – su operazionista e logonica Parini potrebbe tenervi inchiodati alla seggiola per settimane – ha continuato a studiare perfezionando le scoperte di Ceccato. “Certo, perché mi sembrava la via più interessante. Solo che poi ho scoperto una cosa ancora più interessante”. Che cosa? “Che ogni filosofo cova l’ambizione di mettere la propria firma su una filosofia che ammazzi tutte le altre, l’altro, gli altri”. Insomma, la cultura è un massacro. “Pensi alla parola ‘tolleranza’”. Una parola un tantino abusata, direi. “La ‘tolleranza’ soddisfa il bisogno che hai di sentirti buono. Tollerare l’altro significa sorridergli restando sulle proprie posizioni. Una ipotesi di relazione ben diversa dall’ama il prossimo tuo come te stesso, che sancisce una identità del tuo pensiero con quello dell’altro”.
L’ultima fatica: uscire da se stesso
Il talento didattico di Parini viene riconosciuto dallo Stato: nel 1978 il pensatore riminese “è chiamato a far parte della Commissione Ministeriale per l’elaborazione dei nuovi programmi della Scuola Media”. Insieme a Maurizio Calvesi, esimio storico dell’arte, Parini mette a frutto le sue conoscenze sulla percezione visiva firmando per La Nuova Italia testi scolastici innovativi come L’Immagine e Il linguaggio visivo. “Il punto di partenza è banale, è empirico. Le faccio un esempio: perché i bambini disegnano le montagne come un triangolo? Quali processi di semplificazione della forma e di percezione dell’insieme sono messi in gioco?”. Già insegnante di Teoria della percezione presso l’Accademia di Belle Arti e l’Istituto superiore per le industrie artistiche di Urbino, Parini è pressoché dimenticato dal Comune di Rimini, per cui realizzò una mostra didattica dieci anni fa. Da allora il nulla – nonostante al socratico pensatore poco importi – benché alcuni suoi lavori, leggendo il “Catalogo del patrimonio”, siano raccolti nel Museo della Città di Rimini. Alieno al marxismo come al fideismo cattolico (“hanno entrambi il cattivo difetto di volerci spiegare il senso della vita, di cui notoriamente non si sa nulla”), questo impenitente intellettuale che nelle case degli altri corre a spiare la libreria, “così so chi ho di fronte e come mi devo rapportare con lui”, ha un’ultima fatica da compiere. “Uscire da me stesso”. Addirittura? “L’uomo è una creatura debole, che ha bisogno di dare sicurezze a se e agli altri. Ma la storia si fa azzerando continuamente tutto”. Ha ragione Parini. Quando glielo dico, s’imbroncia. “E no, caro mio, lei così mi sfotte”. Perché? “L’avevo avvertita di non prendere per vero quello che le dico. Tutto ciò che dico è una mera supposizione. Vale finché ci pare che può valere”. Quando me ne vado, è come se galleggiassi nel vuoto, come un polpo che confonde la padella per l’oceano.
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