“Bologna ha ucciso il ‘Fellini’ ma a Rimini ci abbiamo messo del nostro”

“Bologna ha ucciso il ‘Fellini’ ma a Rimini ci abbiamo messo del nostro”

Esponente del Pd, vice presidente e presidente di Aeradria dal 2000 al 2005, Gabriele Morelli ripercorre le occasioni mancate dell'aeroporto di Rimini. E ricostruisce il ruolo decisivo di Bologna e di quanti a Rimini hanno sempre remato contro. Fino a far scappare una gallina dalle uova d'oro che avrebbe portato 10 milioni di euro l'anno. Mentre esprime anche molti dubbi sulle cordate che si sono misurate per ottenere la gestione. Perché servirebbero montagne di soldi, che nessuno ha, e le non scelte della Regione pesano come macigni sul presente e sul futuro.

gabriele-morelli“Le cordate che hanno partecipato al bando del “Fellini”, compresa quella che ha ottenuto la gestione, mi sono sembrate da subito molto deboli”. Chi parla è un ex presidente di Aeradria, Gabriele Morelli (nella foto). Esponente del Pd (candidato sindaco a Bellaria alle ultime amministrative), a lungo dirigente regionale di Cna, è stato a capo della società di gestione dell’aeroporto di Rimini dal 2003 al 2005 e vice presidente nel triennio precedente. Si è dimesso a causa di una pagliacciata inscenata dalla sinistra contro i voli dei soldati americani sullo scalo di Miramare, che avrebbe portato 10 milioni di euro l’anno, per metà nelle casse di Aeradria e per l’altra metà come ricchezza per l’economia riminese. Averceli, oggi. Parleremo anche di questo con Morelli nell’intervista che segue.
“Sia chiaro, vorrei sbagliarmi nel giudizio sulla debolezza delle cordate e per una ragione molto semplice: per il bene che voglio all’aeroporto di Rimini e per la necessità che questo territorio ha di poter contare su una infrastruttura adeguata”.

Perché parla di debolezza?
Perché gli investimenti minimi che servirebbero per portare lo scalo di Miramare ad un livello accettabile di sostenibilità sono tali che occorrerebbero ingenti capitali e forti relazioni. E i capitali, come appare anche dalle cronache di questi giorni, non sembrano esserci. Il problema oggettivo del “Fellini” è quello che non ha i numeri, le quantità, per una sostenibilità della gestione. E’ una struttura prevalentemente estiva, di incoming, che negli ultimi anni ha beneficiato del mercato russo, ma si ferma qui, non c’è outgoing, non si regge al di fuori dell’estate.

Questo emerge anche dalla relazione conclusiva del curatore fallimentare.
Infatti è così, e con le sole risorse del territorio non si riesce a gestire l’aeroporto, come insegna la storia di Aeradria.
Le cordate che abbiamo visto in campo per il bando Enac penso che potrebbero gestire più o meno l’esistente, ma niente di più. Tutta la lunga vicenda di Aeradria dimostra che per fare del marketing “aggressivo” e ottenere i voli low cost servono montagne di soldi e ci si svena prima di raggiungere il break even. Io ho sempre rifiutato il meccanismo del vuoto su pieno.

Cioè?
Se ne parlò anche durante la mia presidenza ma mi sono sempre rifiutato di seguire la strada dell’investimento promozionale di marketing per il sostegno dei low cost.
Al posto di quella operazione proposi un progetto trasparente di pre-aumento di capitale, prestiti obbligazionari convertibili: un piccolo aumento di capitale nel 2003 lo facemmo e poi ne era previsto un altro nel 2005 più consistente che avrebbe preparato l’ingresso del privato.

Privatizzazione che non andò mai in porto.
Condizione necessaria per preparare la privatizzazione era l’accordo con la compagnia aerea statunitense “World Air”, che avrebbe portato 5 milioni di euro l’anno per Aeradria, permettendoci anche di coprire quei 2 milioni annui di disavanzo che l’aeroporto aveva. Ma finì come tutti sappiamo e così abortì anche la privatizzazione, per la quale i rapporti con Meridiana erano in una fase avanzatissima. Questa compagnia aerea era entrata in rotta di collisione con Bologna che aveva aperto le porte a Ryanair e così era disponibile a creare la sua base operativa a Rimini e ad acquisire progressivamente quote fino alla completa privatizzazione.

Può ricordarci come andò la storia dei voli americani?
Grazie al direttore Umberto Golinelli venimmo a sapere che la World Air, compagnia civile americana che operava in Irlanda, era alla ricerca di un aeroporto baricentrico in europa per il trasbordo dei militari in licenza verso il Medio Oriente. Avevano bisogno di un aeroporto militare, con tutte le dotazioni di sicurezza, in quanto erano soldati americani ad essere trasportati.
Così ci candidammo, ma preparammo il tutto in silenzio perché sapevamo quello che sarebbe successo. La Provincia e il Comune di Rimini erano d’accordo e mi diedero il via libera. La posta in gioco era allettante: 5 milioni di euro per l’aeroporto e altrettanti per il territorio perché gli equipaggi avrebbero cambiato continuamente e alloggiato in hotel a Rimini.

E poi cosa accadde?
Preparammo tutto con un lungo e delicato lavoro, numerosi incontri con i rappresentanti della compagnia aerea e con quelli delle istituzioni che detenevano la maggioranza del capitale sociale in Aeradria. Anche l’aeronautica militare aveva dato l’assenso. Era tutto pronto. Quando la cosa passò dal Comitato provinciale per la sicurezza scoppiò il caso, nel senso che il giorno dopo uscì sui giornali come una minaccia per il territorio anziché per ciò che rappresentava veramente, cioè la gallina dalle uova d’oro. Rifondazione comunista, in modo del tutto ideologico, fece le barricate, i centri sociali tentarono di occupare gli uffici dell’aeroporto… si arrivò addirittura a questo.

E i sindaci assecondarono i comunisti di lotta e di governo….
Esattamente, Rifondazione minacciò la rottura e il sindaco di Riccione, Daniele Imola e quello di Rimini, Alberto Ravaioli, si misero di traverso. Io, che avevo già firmato il contratto con “World Air”, mi dimisi con una lettera ufficiale.

Ma c’erano problemi reali di sicurezza?
No. Il clima che si viveva non era quello che conosciamo oggi, non c’erano fondate preoccupazioni. Consideri che abbiamo tenuto la bomba atomica e gli americani per 40 anni all’aeroporto di Rimini, non è che non fossimo abituati. Ma vinse il massimalismo. Fu una gigantesca occasione persa.
Volevamo poi candidarci a diventare piattaforma aeroportuale merci del centro Italia guardando ai nuovi mercati più distanti: paesi arabi, mercato russo, cinese…

Per bloccare i voli americani si misero di traverso Rifondazione comunista e parte del Pd, mentre l’idea della piattaforma merci perché non ha avuto seguito?
Perché nemmeno questa fu vista bene dalla politica locale, sbagliando un’altra volta. La conformazione e la dislocazione del nostro aeroporto avrebbero consentito la piattaforma merci senza impatti dannosi, considerando anche che quei voli sarebbero avvenuti principalmente di notte. Non solo. Avendo un’autostrada a poche centinaia di metri, avremmo potuto abbastanza facilmente ottenere un casello a servizio dell’aeroporto, escludendo quindi la città dall’attraversamento dei mezzi, i riminesi non se ne sarebbero nemmeno accorti. Va considerato che, sfruttando la lunghezza della pista e una serie di strutture dell’aeronautica inutilizzate, saremmo potuti diventare la seconda piattaforma merci in Italia. Ma il danno l’ha fatto soprattutto Bologna…

In che senso?
Direi che Bologna è stato “il” problema e non solo di Rimini ma della Romagna e della regione. L’errore strategico che ha pesato sugli aeroporti e sulle fiere.
E’ una scelta, o meglio non scelta, che stiamo pagando e che pagheremo, purtroppo. Quattro aeroporti sono un non senso in una regione come la nostra. Una sciocchezza, qualcosa di ridicolo rispetto ai contesti della globalizzazione, e così scientemente vengono buttati via soldi pubblici da anni.
Invece di fare sistema fu fatta una operazione di cannibalizzazione, e Bologna sfruttò Forlì in funzione anti Rimini, per penalizzarci. Forlì può essere considerato uno scalo inventato di sana pianta da Bologna, che ci ha speso anche parecchi soldi, e solo per danneggiare la possibilità di crescita di Rimini.

Perché Bologna avrebbe fatto questo?
Bologna ha sempre visto solo il proprio ombelico, non ha mai avuto una visione regionale e in più, in una certa fase, ci ha messo del suo il terribile Clò (ex ministro e in passato presidente dell’aeroporto di Bologna, ndr), che scientemente lavorò per affossare l’aeroporto di Rimini. Appena Forlì non è stata più utile, Bologna gli ha tolto i “viveri” ed è crollato. A Bologna manca la mentalità da città metropolitana, è molto provinciale.

Quando parla di Bologna a chi si riferisce esattamente?
Al Comune e alla Camera di Commercio in primis, mentre alla Regione imputo la debolezza politica e strategica di non essersi imposta con Bologna per costringerla a sedersi al tavolo e decidere come – attenzione, non se – il sistema aeroportuale si dovesse fare. E tutto questo avrebbe dovuto farlo subito, senza aspettare che Bologna s’inventasse Forlì e senza sprecare soldi pubblici. Lo stesso ragionamento vale per le Fiere dove il “Bolognacentrismo” sta creando danni enormi. Bologna vuole essere il dominus in campo aeroportuale e fieristico, e questo non va bene.
Il dato politico è che Bologna ha sempre voluto e vuole ancora oggi tutto per sé. E questo ha anche risvolti negativi per Bologna stessa…

Quali?
Oggi il “Marconi” ha milioni di passeggeri ma si è un po’ declassato, riempiendosi di low cost. Per quei nuovi 200 metri di pista ha speso una barca di soldi che avrebbe potuto investire in modo migliore, anche in chiave di concorrenza con altri aeroporti. E’ Rimini ad avere un potenziale enorme sul piano della infrastruttura, non Bologna, e una Regione con un minimo di visione ne avrebbe approfittato, facendo di Rimini la base intercontinentale per spiccare davvero il volo. Oggi, di fronte alla situazione della nostra economia, gli errori fatti emergono ancora con maggiore gravità. Un sistema regionale emiliano romagnolo degli aeroporti sarebbe stato il terzo per importanza in Italia insieme ai “poli” di Milano e Roma.

Però il discorso che i cattivi sono sempre gli altri non è molto convincente.
Infatti, a parte il caso dei voli americani, molti danni sono stati causati dagli araldi di Bologna che Rimini ha sempre avuto in casa. Durante la mia presidenza mi sono trovato accaniti oppositori nella giunta del Comune di Rimini. La verità è che a livello riminese non si è mai veramente voluto investire sull’aeroporto, perché dove lo si è voluto fare non ci si è fermati davanti a niente, svenandosi, vedi Fiera e Palas. Credo che i maggiori appetiti sullo scalo di Miramare non siano mai stati provocati dai voli ma dalla possibilità di costruire lì una seconda città sfruttando i 340 ettari disponibili una volta smilitarizzato il “Fellini”.

Come vede il ruolo di San Marino nelle vicende dell’aeroporto?
San Marino è un po’ come le nostre ambizioni, alte ma potenziali. Inutile nascondere che la mancanza di soldi e un sacco di problemi interni hanno pesato. Non è mancata la buona volontà ma le risorse non sono mai arrivate dal Titano, che sull’aeroporto ha investito in modo simbolico.

Il tema dei quattro aeroporti c’è ancora tutto, come vede il futuro di Forlì e Rimini post fallimento?
Il problema resta interamente e anche i nuovi gestori dovranno necessariamente fare i conti con questo scenario, e sinceramente non so come riusciranno a sopravvivere. Nella mia esperienza ho visto che l’innamoramento per l’aeroportuale ha fatto buttare tanti soldi a molti imprenditori, un po’ come avviene nel calcio.

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