Bufale felliniane? I retroscena di un “inedito”

Bufale felliniane? I retroscena di un “inedito”

La vicenda insegna che più urgente del Museo Fellini è costituire un centro studi dedicato al Maestro.

Oggi anche Angelucci stronca l'attribuzione de L'Olimpo. Ma c'è chi lo va scrivendo da mesi che su quel testo ci sono più dubbi che certezze. Tanto da chiedere una perizia.

Eureka, ovvero: la rissa dei fellinologi
Repetita iuvant. Oggi, sabato 15 aprile, il Giornale pubblica una pagina che farà rumore. La firma Gianfranco Angelucci, già regista di film dimenticabili, già sceneggiatore di Federico Fellini per Intervista (1987), già direttore della Fondazione Fellini di Rimini, quando esisteva, dal 1997 al 2000 e che su Fellini, di fatto, investe la sua professionalità. Angelucci ha trovato il tempo di leggere L’Olimpo, l’inedito di Fellini tirato fuori dalla palude degli archivi riminesi da Rosita Copioli e stampato, in pompa, all’inizio dell’anno, da Sem, neonato marchio editoriale fondato dai fuoriusciti di Mondadori, Riccardo Cavallero e Antonio Riccardi. L’analisi linguistica di Angelucci lascia poco spazio ai sofismi: L’Olimpo, promosso come una primizia felliniana, in realtà è una sòla, lo dimostrano “il lessico, la sintassi, la costruzione della frase, e infine certe affermazioni fuori registro che Fellini non avrebbe mai pronunciato, come sa bene chiunque abbia avuto con lui anche soltanto una conoscenza superficiale”.

Meglio tardi che mai: la sfilza dei fatti
A me, sinceramente, la bagarre dei fellinologi mi fa sbellicare dalle risa. Soprattutto, me ne importa nulla. Mi fa sorridere che Angelucci, con la bordata, faccia il Lancillotto oggi. Di quel para-inedito di Fellini, una specie di Ur-Fellini, di Post-Fellini, di micidiale fake news fellinesca, mi sono occupato in una reiterata, irritante – per molti – serie di articoli sulla defunta Voce di Romagna. Il primo articolo uscì in concomitanza con l’ingresso in libreria de L’Olimpo: era il 20 gennaio scorso, titolo: “Fellini nell’Olimpo. Un inedito ‘divino’”. Fin da subito la vicenda non era per nulla chiara. Per due ragioni:

a) nessuno sapeva di quel testo, Rosita Copioli giura di averlo scoperto nel 2013, mentre “stavo lavorando alla mostra sui libri di Fellini, poi ospitata al Teatro Galli”;
b) il testo è la fotocopia di un dattiloscritto. L’originale non c’è, non si sa che fine abbia fatto.

Il mistero, come si dice, s’infittiva, fino a diventare un’Amazzonia filologica. Intanto, mi rendo conto che in troppi mi dicono un mare di balle, d’altronde Fellini, per restare in tema, era un ballista nato. E scopro che:

a1) non è vero che nessuno sa di quel testo di Fellini sui miti greci – che gronda eros a buon mercato, con svolazzi barocchi, da tutti i pori. Una scheda tecnica dell’Istituto dei beni culturali della Regione Emilia-Romagna segnala che tra le “fotocopie” custodite a Rimini esistono “appunti, trame, tracce di sceneggiatura per progetti che purtroppo non videro mai luce”, tra cui, appunto, L’Olimpo;
b1) il testo che giace negli archivi riminesi non è firmato espressamente da Fellini. Il regista firma la pagina di apertura e stop. Ma si tratta di fotocopie, di una firma in fotocopia (!). Per altro, si tratta di fotocopie assai malmesse: su ottanta pagine totali, una ventina di queste – le ho visionate dal vivo, in ‘Gambalunghiana’ – sono a metà, pare impossibile ricostruire la verità delle frasi a meno che uno non sia Nostradamus, un’altra ventina, invece, è segata di sbieco.

Nonostante questo, i curatori della versione editoriale de L’Olimpo se ne guardano bene dal suggerire che quell’inedito felliniano forse di Fellini non è.

…è la stampa baby…
Breve cronistoria dell’inchiesta che feci mesi fa. Il 24 gennaio scorso esco su La Voce di Romagna con un ulteriore articolo, dal titolo-granata “E se quello non fosse un Fellini?”. Stando all’unica erede per Dna del Maestro, Francesca Fabbri Fellini, “siamo certo che sia dello zio ed è un testo meraviglioso”, ma come fa a saperlo? Le ragioni dei sentimenti non cedono ai bruti fatti della filologia. Contatto, allora, Gianfranco Angelucci. Secondo le mie prime supposizioni, potrebbe essere lui l’autore di quel testo. Angelucci si scansa, ma mi conferma quello che scrive oggi, tre mesi dopo, “chi abbia dimestichezza con la scrittura di Fellini sa che quel lavoro non è stato scritto del tutto da Federico”. A questo punto, dopo l’uscita sul quotidiano, mi contatta il figlio di Brunello Rondi, storico sceneggiatore di Fellini. Il figlio giura che il testo, L’Olimpo, è di suo padre, che in casa girava l’originale di quel soggetto fitto di sesso compulsivo (esempio: Zeus è un “mitico atleta divino della foia sessuale” che sbandiera il suo “divino fallo promessa di inesauribile penetrante delizia” mentre Pasifae, desiderando “ancora la penetrazione del toro” precipita “in delirante masturbazione”). Solo che mancano le prove schiaccianti, siamo nel campo delle supposizioni e delle probabilità – che, a questo punto, rimarco, andavano ben sottolineate nel libro uscito per Sem, invece lì ha vinto il ‘non vedo-non sento-ma parlo’. Comunque, il 26 gennaio esco con un articolo dal titolo esplicativo: “L’inedito: e se fosse di Brunello Rondi?”, suggerendo che “una perizia potrebbe sciogliere l’enigma”, dacché sulle fotocopie malandate appaiono rari ma indicativi sgorbi grafici, micro-correzioni che andrebbero comparate alla grafia di Fellini e a quella di Rondi. Ma, appunto, di sciogliere l’enigma frega a nessuno. Lo stesso 26 gennaio esco su il Giornale con un breve articolo in cui avanzo perplessità: “e se questo, più che un progetto di film, fosse un incredibile ‘scherzo’ teso da Fellini o da quelli del suo harem ai fellinisti?”. Ora, a polemiche placate, Angelucci, che è un fellinologo vero mica un vile scrivano come me, si erge sul trono del virile castratore di presunti inediti.

Morale: prima di fare il Museo Fellini occorre studiare
La morale è doppia. Primo: a questo punto, più che le presentazioni celebrative – di cui il Comune di Rimini si riempie la panza – bisognerebbe fare delle precise analisi sul presunto inedito. Altrimenti Rimini rischia di aggravare una figuraccia nazionale – avvalorata, per altro, in sede introduttiva, dall’atavica penna del senatore Sergio Zavoli. Secondo: prima di spendere soldi – che fanno gioco ai progetti politici del Sindaco e non a quelli culturali della città – per un fatale Museo Fellini, bisogna studiare. Cioè, costruire un comitato scientifico di felliniani doc e un Centro studi dedicato a Fellini. Altrimenti rischiamo di costruire contenitori privi di contenuto, che fanno eco alle manie di onnipotenza dei politici di turno. Prima studiamo, poi costruiamo, è meglio.

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