“C’è molto da migliorare nel governo della Regione Emilia Romagna”. Parla Bonfiglio Mariotti

“C’è molto da migliorare nel governo della Regione Emilia Romagna”. Parla Bonfiglio Mariotti

L'addizionale Irpef e quella sul gas sono alle stelle. Fra le più alte in Italia. Bisogna finirla di mettere le mani nelle tasche dei redditi medio bassi per “ingrassare” enti che spendono senza controllo e anche con logiche clientelari. Va recuperato lo squilibrio strutturale e finanziario che pone da tempo la Romagna in una condizione di minorità rispetto all'Emilia. L'imprenditore riminese entra nel dibattito in vista del voto e pone la necessità che a Bologna, e anche a Rimini, la gestione della cosa pubblica punti davvero a sviluppare ricchezza per il territorio. Sempre più in difficoltà.

“Un’amministrazione pubblica deve essere impegnata a sviluppare ricchezza per il proprio territorio e soprattutto a creare le condizioni per dare un futuro lavorativo ai giovani, che sempre più numerosi scelgono la strada dell’estero, anziché “spremere” cittadini e imprese con una tassazione esagerata”. Bonfiglio Mariotti (nella foto), imprenditore, a capo di Bluenext e presidente di Assosoftware, risponde così quando gli si chiede quali sono a suo parere le priorità da inserire nell’agenda politica della Regione Emilia Romagna e i temi che dovrebbero trovare spazio nel confronto elettorale in vista del voto del 26 gennaio.

Può spiegarci il suo punto di vista?
La Regione, ma questo vale per certi versi anche per il Comune di Rimini, deve fare un salto di qualità amministrativa, abbandonando quella concezione bulimica che li contraddistingue: l’ente pubblico “ingrassa” se stesso senza mai saziarsi, a spese di chi lavora e con molta fatica porta a casa uno stipendio risicato.

Quindi mano troppo pesante sulle tasse…
Certo, facciamo il caso dell’addizionale Irpef. Stefano Bonaccini ha stabilito aliquote molto alte rispetto ad altre Regioni: superiori a quelle della Lombardia, del Veneto (che ne ha una unica pari all’aliquota della fascia di reddito più bassa fissata dalla nostra Regione), delle Marche, della Toscana, del Friuli Venezia Giulia, dell’Umbria e potrei continuare. Certo, c’è anche chi fa peggio, come il Lazio del governatore Nicola Zingaretti… Vogliamo parlare del Comune di Rimini?

Cinque Regioni a confronto sull’addizionale Irpef

Parliamone.
L’addizionale comunale fra 2018 e 2019 ha avuto un balzo incredibile. La soglia di esenzione per redditi imponibili è scesa da 17mila a 15mila euro. Fino al 2018 c’era l’esenzione per i redditi fino a 16999,99 euro e una aliquota unica dello 0,3. Dal 2019 si è registrata una impennata notevole che, bisogna chiarirlo, colpisce soprattutto pensionati e redditi dipendenti. Il Comune di Riccione, ad esempio, non applica l’addizionale Irpef. Quel balzo di cui parlavo quanto incide su un reddito lordo di 30mila euro annui (che al netto significano 1300 euro al mese, non certo una cosa da nababbi)? Per quasi 184 euro, più del doppio rispetto al 2018 (90 euro), portando nelle casse comunali nel 2019 circa 10 milioni di euro (in precedenza la metà). Mentre per l’addizionale regionale incide per 491 euro. Sommando l’imposta versata al Comune e alla Regione si raggiunge quasi quota 700 euro per un reddito di 30mila euro…, se sono due i soggetti tenuti al pagamento della addizionale Irpef in una famiglia, si sale a 1300-1400 euro. A me sembra una follia. E non c’è solo l’Irpef…

Ma anche?
L’addizionale regionale sul gas in Emilia Romagna è fra le più alte in assoluto in Italia. Sa che aliquota applica la Regione Lombardia? Zero. Nulla. Il Veneto lo 0,007747 per il primo scaglione (contro lo 0,022000 dell’Emilia Romagna), lo 0,023241 per il secondo scaglione (contro lo 0,030987 dell’Emilia Romagna), lo 0,025823 per il terzo scaglione (contro lo 0,030987 dell’Emilia Romagna) e così via… Perché in Emilia Romagna la “tassa sul gas” a favore della Regione deve essere tanto salata, anche tenendo conto di una situazione climatica non certo peggiore di Veneto e Lombardia, che addirittura non applica questa accisa? Anche questa addizionale ricade pesantemente sulle famiglie, e ad avvertirla sulla propria pelle sono prima di tutti i redditi medio bassi, perché se la ritrovano in bolletta, dove il costo finale risente più delle tasse che dei consumi.

Se ci fossero qui Bonaccini e Gnassi le risponderebbero probabilmente che però queste entrate vengono utilizzate per progetti, investimenti, welfare…
E ci mancherebbe che non fosse così, ma finiscono anche a mantenere una “macchina” amministrativa molto costosa e in rivoli di spesa molto opinabili. La Regione Lombardia ha il doppio degli abitanti dell’Emilia Romagna ma una incidenza di dipendenti pubblici inferiore alla nostra: quelli lombardi sono il 4,1% del totale della popolazione residente (bambini e anziani inclusi), da noi il 5,1%. Se si guarda al Veneto si scende al 4,6%, il Piemonte al 4,9%.
Inutile far finta di non sapere che molte risorse prendono strade “clientelari”, in ultima analisi sono utili solo al mantenimento del potere. E questo risulta preoccupante perché, ripeto, si mettono pesantemente la mani nelle tasche di chi ha redditi da sopravvivenza. La “spesa pubblica” non può non tenere conto dell’impoverimento di cui soffrono sempre più ampie fasce della popolazione e territori, primo fra tutti quello di Rimini. La Cgil regionale nell’ultimo rapporto dell’Osservatorio dell’Economia e del Lavoro in Emilia-Romagna, uno strumento approfondito e serio, ha scritto che “la frenata dell’economia, già evidente nel 2018, è divenuta più intensa nel corso del 2019, per il quale è prevista una crescita del Pil quasi nulla a livello nazionale e nettamente più alta ma sempre molto bassa in Emilia-Romagna: +0,5%, un terzo di quella del 2018, meno della metà di quella prevista nell’insieme dell’area Euro (+1,2%)” e che “le componenti che incidono maggiormente su questo rallentamento sono la domanda interna, la spesa degli enti pubblici e gli investimenti”. A proposito delle condizioni socio-economiche della popolazione, ha richiamato l’attenzione “sull’innalzamento dell’indice di povertà relativa”. Non basta dirsi di sinistra per intestarsi politiche a favore dei ceti meno garantiti, anzi, spesso assistiamo all’esatto contrario.

Quello che lei dice cozza contro la narrazione quotidiana che descrive i nostri territori come “un passo avanti” (lo slogan elettorale di Bonaccini) o della “dolce vita” (Rimini), insomma il non plus ultra.
Direi che bisogna sempre fare la tara alla comunicazione, che a Rimini e in Regione a volte supera la realtà. Ad esempio i numeri altisonanti che si leggono ogni anno per il Capodanno di Rimini, il numero degli hotel e dei ristoranti aperti… o gli ingressi al Museo. Oppure la prosopopea continua sui contenitori culturali (Fulgor, Teatro Galli, Museo Fellini): sono un tassello, per altro costosissimo e da gestire con capacità per non rischiare che si trasformino in zavorre dal punto di vista finanziario, ma non la soluzione di tutti i nostri problemi. A fare la differenza sono i fatturati di hotel e attività varie, l’occupazione stabile e continuativa…, mentre sappiamo bene che il nostro turismo viaggia su prezzi bassi, quando non stracciati, su un’occupazione precaria e su retribuzioni conseguenti: ma se una persona lavora solo due o tre giorni alla settimana e solo qualche mese all’anno come può avere una visione sul futuro e pensare di costruirsi una famiglia, magari di mettere al mondo qualche figlio? E nei centri storici i negozi chiudono a raffica.

Non sono tutte rose e fiori, insomma, come invece sostiene Bonaccini…
Purtroppo no. L’Emilia-Romagna mostra una buona tenuta rispetto a molte altre regioni, che è figlia di una diffusa e consolidata laboriosità, di intrapresa imprenditoriale, di ingegno, tenacia e creatività che sono i tratti distintivi di questa terra. Ma non è più un’isola felice.
Ancora lo studio della Cgil parla del “crollo nella crescita del valore aggiunto, dal 3,6% del 2018 allo 0,3% dell’anno in corso”, della serie difficoltà in cui versa il settore manifatturiero, di una base imprenditoriale che si assottiglia sempre di più: 10 anni fa c’erano 145.496 imprese attive in Emilia Romagna, a fine settembre 2019 erano precipitate a 125.907, con una perdita di 19.589 imprese (-13,5 per cento); fra settembre 2018 e lo stesso mese del 2019 si sono perse 1.704 imprese (-1,3 per cento). Il commercio si è alleggerito negli ultimi 5 anni di 5.280 imprese (-5,6 per cento). Sempre nell’ultimo quinquennio l’Emilia Romagna ha visto falcidiare quasi 14 mila aziende (-3,3 per cento), contro un -0,3 per cento a livello nazionale. Si sono fatti ponti d’oro prima alla grande distribuzione o poi allo sbarco di Amazon in Romagna, scelte che raderanno al suolo ciò che resta del tessuto del commercio al dettaglio, stanno uccidendo i centri storici e precarizzano il lavoro.

Quindi qual è la sua proposta ai poteri pubblici che ci amministrano?
Anzitutto, visto che siamo in presenza di una tornata elettorale cruciale, spero che ci sia la consapevolezza da parte degli “attori” politici romagnoli che reclamano il cambiamento, dell’importanza, direi vitale, di recuperare lo squilibrio strutturale e finanziario che pone da tempo la Romagna in una condizione di minorità rispetto all’Emilia, che l’ha sempre fatta da padrona in termini di risorse, infrastrutture ed altro. La vicenda del ponte di Verucchio è emblematica: si corre ai ripari sulla spinta dell’emergenza, ma per anni i problemi non sono stati affrontati e risolti e le risorse regionali non sono state impegnate come sarebbe stato necessario. Porsi l’obiettivo di andare in Regione a rappresentare gli interessi di Rimini e della Romagna, mi pare il minimo sindacale. Mi piacerebbe che si ribaltasse la prospettiva: bisogna smettere di togliere ai “poveri” per ingrassare logiche da partito egemone, elettorali, di controllo… piuttosto gli enti pubblici devono mettersi a dieta dal punto di vista della spesa incontrollata e superflua per privilegiare il vero bene pubblico.

Emilia Romagna terra accogliente e solidale, con una percentuale di cittadini extracomunitari del 9,3% contro il 5,9% in Italia.
Bisogna distinguere fra immigrazione regolare e irregolare, ma una immigrazione massiccia e spesso incontrollata come quella che si è vista soprattutto con i picchi del 2017 – quando in Emilia Romagna fra centri di accoglienza straordinaria e Sprar si toccarono le 11.500 presenze – a mio giudizio rappresenta una stortura che non ha nulla a che vedere con la solidarietà. L’accoglienza e l’integrazione sono una cosa, lo sfruttamento di mano d’opera che genera sacche di povertà ed emarginazione, un’altra. Per non parlare di tutte le conseguenze in termini di sicurezza. Non vorrei che dietro alle belle parole si nascondessero quei “padroni del vapore”, come si diceva una volta, che approfittano, appunto, di una mano d’opera sottopagata per mantenere il loro livello di profitto anche durante la crisi, una moderna forma di “schiavismo”.

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